Il Papa ci ha detto: “Impariamo da San Francesco che loda Dio anche nella morte”
Papa Francesco, nella catechesi dell’udienza generale di oggi, si è soffermato sul tema della preghiera. Poco prima era stato letto il Salmo 145 che recita: “O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre“. Spunto per la riflessione del Papa è un momento difficile della vita di Gesù e della sua missione. Francesco fa alcuni esempi: Giovanni Battista, dal carcere, dubita che sia proprio Gesù il Messia, nei villaggi dove Gesù ha compiuto tanti miracoli, c’è ostilità. Ma proprio nel momento della delusione, osserva il Papa, il Vangelo di Matteo “riferisce un fatto davvero sorprendente: Gesù non eleva al Padre un lamento, ma un inno di giubilo”, loda il Padre perché ha rivelato se stesso ai piccoli. (Mt 11,25).
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E Francesco si chiede perché Gesù innalza questa lode. La prima ragione, osserva, è il suo sentirsi figlio dell’Altissimo, figlio di colui che è il Signore del cielo e della terra. Ma poi c’è una seconda ragione:
Gesù loda il Padre perché predilige i piccoli. È quello che Lui stesso sperimenta, predicando nei villaggi: i “dotti” e i “sapienti” rimangono sospettosi e chiusi, fanno dei calcoli, mentre i “piccoli” si aprono e accolgono il messaggio. Questo non può che essere volontà del Padre, e Gesù se ne rallegra. Anche noi dobbiamo gioire e lodare Dio perché le persone umili e semplici accolgono il Vangelo. Nel futuro del mondo e nelle speranze della Chiesa ci sono i “piccoli”: coloro che non si reputano migliori degli altri, che sono consapevoli dei propri limiti e dei propri peccati, che non vogliono dominare sugli altri, che, in Dio Padre, si riconoscono tutti fratelli.
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Il comportamento di Gesù, afferma il Papa, ci aiuta a guardare anche alle nostre sconfitte personali, o i momenti di buio, in una maniera diversa. Gesù non chiede, ma loda il Padre. “Sembra una contraddizione – aggiunge – ma è lì la verità”. Ma a chi serve la lode, si domanda Francesco. Dio non ne ha certo bisogno per accrescere la sua grandezza. E risponde:
La preghiera di lode serve a noi. Il Catechismo la definisce così: ‘È una partecipazione alla beatitudine dei cuori puri, che amano Dio nella fede prima di vederlo nella Gloria’. Paradossalmente deve essere praticata non solo quando la vita ci ricolma di felicità, ma soprattutto nei momenti difficili, nei momenti bui, quando il cammino si inerpica in salita. È anche quello il tempo della lode. Gesù nel buio loda il Padre. Perché impariamo che attraverso quella salita, quel sentiero faticoso, quei passaggi impegnativi si arriva a vedere un panorama nuovo, un orizzonte più aperto.
Il Papa guarda poi a San Francesco e alla sua preghiera, “il Cantico delle creature”, composta in punto di morte, e dice che in essa c’è un grande insegnamento. E prosegue:
Il Poverello non lo compose in un momento di gioia, di benessere, ma al contrario in mezzo agli stenti. Francesco è ormai quasi cieco, e avverte nel suo animo il peso di una solitudine che mai prima aveva provato: il mondo non è cambiato dall’inizio della sua predicazione, c’è ancora chi si lascia dilaniare da liti, e in più avverte i passi della morte che si fanno più vicini. Potrebbe essere il momento della delusione estrema e della percezione del proprio fallimento. Ma Francesco in quell’istante di tristezza prega e come prega? “Laudato si’, mi Signore…”, prega lodando.
San Francesco, come tutti i santi e le sante, come Gesù, conclude il Papa, ci mostrano “che si può lodare sempre perché Dio è l’Amico fedele, questo è il fondamento della lode, Dio è l’Amico fedele, e il suo amore non viene mai meno”.
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