Papa Francesco ha dedicato la catechesi dell’udienza generale alla preghiera del “Padre nostro” e al momento nel quale chiediamo a Dio “rimetti i nostri debiti”. Siamo debitori perchè “la vita è una grazia” e perché se amiamo “è grazie a Dio che ci ha amati per primo”
“Padre, abbi pietà di tutti noi, perché anche il più santo in mezzo a noi non cessa di essere tuo debitore”. Papa Francesco aggiunge questa riflessione alla preghiera del “Padre nostro” che ci sta aiutando a conoscere meglio nelle catechesi dell’udienza generale del mercoledì. La meditazione numero 12 è dedicata al momento nel quale chiediamo a Dio: “Rimetti a noi i nostri debiti”.
Così, commenta Francesco, la preghiera “entra nel campo delle nostre relazioni con gli altri”. Come abbiamo bisogno del pane, che abbiamo chiesto al Padre poco prima, “cosìabbiamo bisogno del perdono. Ogni giorno”. Perché, chiarisce il Papa “Il cristiano che prega chiede anzitutto a Dio che vengano rimessi i suoi debiti, cioè i suoi peccati”. Anche se fossimo perfetti, “santi cristallini che non deflettono mai da una vita di bene”, aggiunge il Pontefice, “restiamo sempre dei figli che al Padre devono tutto”.
Questo è l’atteggiamento più pericoloso di ogni vita cristiana: l’orgoglio. È l’atteggiamento di chi si pone davanti a Dio pensando di avere sempre i conti in ordine con Lui: l’orgoglioso crede che ha tutto al suo posto.
Come quel fariseo della parabola, ricorda Papa Francesco, “che nel tempio pensa di pregare ma in realtà loda sé stesso davanti a Dio: ‘Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come gli altri’. E la gente che si sente perfetta, la gente che critica gli altri, è gente orgogliosa. Nessuno di noi è perfetto, nessuno”. Al contrario il pubblicano, un peccatore disprezzato da tutti, si ferma sulla soglia del tempio, “non si sente degno di entrare, e si affida alla misericordia di Dio”. E Gesù commenta: “Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa giustificato” cioè perdonato. “Perché non era orgoglioso – commenta il Papa – perché riconosceva i suoi limiti e i suoi peccati”.
Ci sono peccati che si vedono e peccati che non si vedono, peccati nascosti. Il peggiore di questi, ricorda Francesco, “è la superbia”
Abbiamo parlato dell’orgoglio: la superbia è più o meno lo stesso. Il peggiore di questi è la superbia, che può contagiare anche le persone che vivono una vita religiosa intensa. C’era una volta un convento di suore, nell’anno 1600-1700, famoso, al tempo del giansenismo, che erano perfettissime e si diceva di loro che fossero purissime come gli angeli, ma superbe come i demoni. E’ una cosa brutta.
Il peccato divide la fraternità, sottolinea il Pontefice “ci fa presumere di essere migliori degli altri”, ci fa credere “che siamosimili a Dio”. E invece davanti a Dio siamo tutti peccatori, e abbiamo motivo di batterci il petto. “Se tu vuoi ingannare e stesso, dì che non hai peccato: ti stai ingannando”.
Siamo debitori anzitutto perché in questa vita abbiamo ricevuto tanto: l’esistenza, un padre e una madre, l’amicizia, le meraviglie del creato. Anche se a tutti capita di attraversare giorni difficili, dobbiamo sempre ricordarci che la vita è una grazia, è il miracolo che Dio ha estratto dal nulla.
In secondo luogo, ricorda Papa Francesco nella catechesi, “siamo debitori perché, anche se riusciamo ad amare, nessuno di noi è capace di farlo con le sue sole forze. “Possiamo amare, ma con la grazia di Dio”. C’è quello, sottolinea il Papa “che i teologi antichi chiamavano un ‘mysterium lunae’ non solo nell’identità della Chiesa, ma anche nella storia di ciascuno di noi”
Cosa significa, questo “mysterium lunae”? Che è come la luna, che non ha luce propria: riflette la luce del sole. Anche noi, non abbiamo luce propria: la luce che abbiamo è un riflesso della grazia di Dio, della luce di Dio. Se ami è perché qualcuno, all’esterno di te, ti ha sorriso quando eri un bambino, insegnandoti a rispondere con un sorriso. Se ami è perché qualcuno accanto a te ti ha risvegliato all’amore, facendoti comprendere come in esso risiede il senso dell’esistenza.
Se ascoltiamo la storia di qualche persona che ha sbagliato, un carcerato, un condannato, un drogato, ricorda Francesco, ci domandiamo “chi debba essere incolpatodei suoi sbagli, se solo la sua coscienza, o la storia di odio e di abbandono che qualcuno si porta dietro”. E questo è il mistero della luna: “amiamo anzitutto perché siamo stati amati, perdoniamo perché siamo stati perdonati. E se qualcuno non è stato illuminato dalla luce del sole, diventa gelido come il terreno d’inverno”.
Come non riconoscere, nella catena d’amore che ci precede, anche la presenza provvidente dell’amore di Dio? Nessuno di noi ama Dio quanto Lui ha amato noi. Basta mettersi davanti a un crocifisso per cogliere la sproporzione: la sproporzione! Egli ci ha amato e sempre ci ama per primo.
Nei saluti in italiano, il Ponteficericorda che “stiamo concludendo il cammino di Quaresima. La luce e la consolazione della Pasqua del Signore sono ormai vicine”. Prepariamoci, è l’invito finale del Papa “a far nostri i sentimenti di Cristo e a vivere in pienezza i giorni della sua passione e glorificazione”.
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano per Vaticannews.va
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