La sintesi della messa di apertura sul Sinodo dell’Amazzonia, presieduta da Papa Francesco
Per essere fedeli alla missione ricevuta, i vescovi sono chiamati a “ravvivare” il dono di Dio, quel fuoco d’amore bruciante per Dio e per i fratelli. Non il fuoco che divora popoli e culture, ma che riscalda e sa discernere. Con prudenza, che non è timidezza, è una virtù cristiana e di governo mentre qualcuno pensa che sia la virtù “dogana” che ferma tutto per non sbagliare. Questa è l’immagine che usa Papa Francesco, nell’omelia dalla forte impronta missionaria della Messa che apre l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica.
Grande raccoglimento per le persone nella Basilica vaticana: oltre a tanti padri sinodali, numerosi rappresentanti delle popolazioni indigene di questa porzione di mondo, che sarà al centro del “camminare insieme” della Chiesa fino al 27 ottobre.
L’omelia di Papa Francesco va quindi alla radice del senso della missione dei vescovi: aver ricevuto “un dono per essere doni”, non “firmato un accordo” o un contratto. Aver ricevuto “mani sul capo” per essere “alzate” verso il Signore e “protese” verso i fratelli. Un fuoco che svanisce se prevale il “si è fatto sempre così”, che rischia di essere soffocato dalla preoccupazione di difendere lo “status quo”. “In nessun modo la Chiesa può limitarsi ad una pastorale di mantenimento, per coloro che già conoscono il Vangelo”, avverte richiamandosi a Benedetto XVI: serve slancio missionario . La Chiesa, aggiunge a braccio, “sempre è in cammino”, “mai chiusa in sé stessa”. Gesù, infatti, non è venuto a portare la brezza della sera, ma il fuoco sulla terra:
Allora ravvivare il dono nel fuoco dello Spirito è il contrario di lasciar andare avanti le cose senza far nulla. Ed essere fedeli alla novità dello Spirito è una grazia che dobbiamo chiedere nella preghiera. Egli, che fa nuove tutte le cose, ci doni la sua prudenza audace; ispiri il nostro Sinodo a rinnovare i cammini per la Chiesa in Amazzonia, perché non si spenga il fuoco della missione.
Il fuoco di Dio brucia ma non consuma come nel roveto ardente, sottolinea ancora il Papa, mettendo in guardia dal fuoco del mondo:
Quando senza amore e senza rispetto si divorano popoli e culture, non è il fuoco di Dio, ma è il fuoco del mondo. Eppure quante volte il dono di Dio non è stato offerto ma imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione! Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi. Il fuoco appiccato da interessi che distruggono , come quello che recentemente ha devastato l’Amazzonia, non è quello del Vangelo.
l fuoco di Dio “raccoglie in unità”, mentre “il fuoco divoratore” divampa “quando si vogliono portare avanti solo le proprie idee, fare il proprio gruppo, bruciare le diversità per omologare tutto”. La prima esortazione del Papa è, quindi, a ravviare il dono di Dio, riprendendo quello che San Paolo dice a Timoteo e il significato del verbo “ravviare” in greco, che letteralmente significa “dare vita ad un fuoco”. Se ci si appropria di questo dono, da Pastori si diventa “funzionari” e si finisce per servire sé stessi e “servirci della Chiesa”, sparisce la gratuità mentre il Vangelo odierno parla di “servi inutili” cioè “servi senza utile”, che non si danno da fare per raggiungere un guadagno proprio ma la cui la gioia è nel servire, come ha fatto Cristo.
San Paolo rivolge, poi, un’ultima esortazione a soffrire per il Vangelo. “L’annuncio del Vangelo è il criterio principe per la vita della Chiesa”, rimarca il Papa:
Annunciare il Vangelo è vivere l’offerta, è testimoniare fino in fondo, è farsi tutto per tutti, è amare fino al martirio. Ringrazio Dio, perché nel Collegio Cardinalizio ci sono alcuni fratelli cardiali martiri, che hanno saggiato, nella vita, la croce del martirio. Infatti, sottolinea l’Apostolo, si serve il Vangelo non con la potenza del mondo, ma con la sola forza di Dio: restando sempre nell’amore umile, credendo che l’unico modo per possedere davvero la vita è perderla per amore.
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E’ al cuore squarciato di Gesù Crocifisso che bisogna volgere lo sguardo, sentendosi chiamati, tutti, a dare la vita perché tanti sorelle e fratelli in Amazzonia “portano croci pesanti e attendono la consolazione liberante del Vangelo, la carezza d’amore della Chiesa”.
Tanti fratelli e sorelle in Amazzonia hanno versato la loro vita. Permettetemi di ripetere le parole del nostro amato cardinale Hummes, che quando arriva in quelle piccole città dell’Amazzonia, va nei cimiteri a cercare la tomba dei missionari. Un gesto della Chiesa per coloro che hanno versato la vita in Amazzonia. E poi, con un po’ di furbizia, dice al Papa: “Non si dimentichi di loro! Meritano di essere canonizzati”. Per loro, per questi che stanno dando la vita adesso, per quelli che hanno versato la propria vita, con loro, camminiamo insieme. Fonte Vatican News – Debora Donnini
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