Il Papa è arrivato in Bangladesh. L’aereo con a bordo Francesco partito alle 7.55 dal Myanmar, è atterrato questa mattina pochi minuti dopo le 10 all’aeroporto di Dhaka.
Dopo la cerimonia di benvenuto, visiterà il National Martyr’s Memorial di Savar e renderà omaggio al Padre della Nazione nel Bangabandhu Memorial Museum. Previsto, nel pomeriggio, il discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico.
Nel messaggio di ringraziamento al presidente del Myanmar, Htin Kyaw, Papa Francesco ha espresso il Suo apprezzamento alle Istituzioni e “all’amato popolo del Myanmar per la generosa e calorosa accoglienza”. Invocando la benedizione sull’intera nazione, ha assicurato la Sua “fervente preghiera per la pace e l’armonia nel Paese”.
Prima di lasciare l’ex colonia britannica per il Bangladesh, il Papa ha donato all’Arcivescovado di Yangon una scultura che raffigura San Francesco nell’atto di proclamare la famosa “Predica agli uccelli”: simbolo di fratellanza tra l’uomo e il creato.
Papa Francesco arriva oggi in Bangladesh, terza visita in terra bengalese di un Pontefice, la prima da quando 31 anni fa il Paese ha cambiato in buona parte la sua fisionomia. Un evento da lungo tempo pianificato e preparato che si confronta ora inevitabilmente anche con la crisi dei Rohingya, la minoranza in fuga dal confinante Myanmar
che va ad affollare i campi profughi in aree già problematiche del Paese. Che si situa anche nella realtà in grande maggioranza musulmana di 170 milioni di abitanti su un territorio limitato, con enormi problemi di sviluppo e, minori ma presenti, di convivenza.Della realtà che Francesco incontrerà e delle aspettative per la sua visita abbiamo parlato nella sede dell’arcivescovado di Dacca con il cardinale Patrick D’Rozario, pastore di questa metropoli congestionata e instancabile.
Eminenza, perché possiamo definire il viaggio del Papa in Bangladesh un evento?
Possiamo parlare della visita di papa Francesco come di un “evento” per la situazione del Bangladesh in questo momento e per le vicende internazionali che ci coinvolgono. Lo vediamo come una iniziativa che riconosce la nostra identità e la nostra cultura. L’incontro con il Papa è anche celebrazione di giustizia e pace che non servirà solo a richiamare memorie e a verificare il nostro presente, ma sarà anche una chiamata a vivere un futuro di pace e armonia. Per la Chiesa, poi, è un evento che si pone nel segno della continuità dopo la tappa di Giovanni Paolo II durante il suo viaggio asiatico del 1986 e la breve sosta di Paolo VI all’aeroporto di Dacca nel 1970: un grande gesto in occasione della catastrofe che colpì allora il Paese.
Come la Chiesa e il Paese attendono il Papa?
Con un entusiasmo condiviso. Lo vediamo da molti segnali. Molti in Bangladesh, soprattutto nelle aree rurali e tra i non cristiani non conoscono il Papa, ma nelle aree urbane, tra i bengalesi più istruiti sono in tanti a apprezzarne il ruolo e l’impegno. In questo periodo di attesa, molto hanno fatto anche i mass media. Un quotidiano nazionale è arrivato al punto da scrivere che in occasione della visita del Papa «il mondo vedrà un Bangladesh unico». Io stesso ho incontrato rappresentanti della soquesto cietà civile e del governo che hanno mostrato di apprezzare il programma della visita e si augurano che i giovani possano essere raggiunti dalle parole di Francesco. Altri hanno detto che si attendono che parli in modo particolare alle donne, un consulente governativo si è detto certo che il Papa riprenderà i temi della Laudato si’,
dei cambiamenti climatici, dell’ambiente. Un leader attivo tra le minoranze etniche si è detto convinto che con l’attuale diffusione dei media le parole del Papa arriveranno anche ai più deboli.Come i non cattolici vedono questo viaggio papale?
Anzitutto, occorre dire che non ho percepito alcuna opposizione, alcun ostacolo di principio alla visita. Il governo è stato molto attivo nel concretizzare questo viaggio di un leader spirituale che viene come pellegrino e molti – secondo la tradizione bengalese – diventeranno pellegrini per vederlo, ascoltarlo, toccarlo se sarà possibile. Per sarà amato e ricordato dai bengalesi, ma come tale tale non potrà fare distinzioni tra le fedi. Ricordo quando Giovanni Paolo II scese dall’aereo e baciò il suolo bengalese. «Vengo in mezzo a voi come un pellegrino nell’“anima” del popolo del Bangladesh», disse allora. «Fratellanza e comunione» fu il suo messaggio; «armonia e pace » è quello di Francesco. Quindi una chiamata universale.
Vi è un “ponte” storico che collega il breve contatto di Paolo VI con il suolo bengalese dopo il devastante tifone Bhola 47 anni fa e l’evento più partecipato della visita di papa Francesco…
Sono due eventi che segnalano per i bengalesi la vicinanza della Chiesa alla nazione. Il primo avvenne in un tempo terribile, di sofferenza che mostrò anche l’ineluttabilità dell’indipendenza dal Pakistan. Oggi, scelto per la maggiore capienza rispetto allo Stadio militare previsto in precedenza, il parco della Messa pubblica del 1° novembre sarà lo stesso dove il “padre” della nazione, Sheikh Mujibur Rahman, tenne il 7 marzo 1971 il discorso che aprì le porte alla dichiarazione di indipendenza. Uno dei più ispirati interventi al mondo su questo tema e non a caso, a inizio novembre, è stato riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Il luogo è quindi sacro per la nazione e la celebrazione della Messa vi acquisterà un alto significato simbolico.
di Emanuela Campanile perla Radio Vaticana e Avvenire on line
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