Categorie: Sancta Sedes

Papa Francesco: cattolici facciano politica per bene comune, non un partito

Un cattolico “deve” fare politica servendo con coraggio il bene comune, senza lasciarsi tentare dalla corruzione. Al contrario, non serve fare un partito di soli cattolici. È la posizione espressa da Papa Francesco durante l’incontro avuto con gli appartenenti alle Comunità di vita cristiana e alla Lega Missionaria Studenti, organismi della famiglia dei Gesuiti. In un Aula Paolo VI gremita, il Papa ha risposto alle domande dei giovani toccando molti temi della vita sociale ed ecclesiale. Il sevizio di Alessandro De Carolis per la Radio Vaticana:

La politica è la forma alta di carità, disse Paolo VI, ma lo sguardo di tanta politica nell’era globalizzata è decisamente più terreno, funziona con il “dio denaro” messo “al centro” e intorno la galassia dei suoi molti lacchè. La schiettezza è una delle qualità tra le più amate di Francesco e le risposte generose e universali alle domande emozionate e specifiche dei giovani della famiglia ignaziana che lo ascoltano e spesso lo applaudono – un’ora tra le più intense del Pontificato – sono un compendio che descrive mirabilmente il senso dell’uomo e della Chiesa del Papa delle periferie.

La Chiesa non è un partito
A fare il giro del mondo nel tempo di un tweet è in particolare l’ultima risposta alla domanda di Gianni, trentenne impegnato nel volontariato e in politica che chiede aiuto al Papa per spiegare ai più giovani che la ricerca del “bene privato” nello spazio del “bene comune” è l’abiezione della politica:

“Si sente: ‘Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!’: quella non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. ‘No, non diciamo partito, ma … un partito solo dei cattolici’: non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato (…) Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere”.

Sono “più peccatore” di lui
Francesco risponde a braccio e ampiamente – le due pagine del discorso ufficiale messe via per non annoiare. Avverte che anche per il Papa esiste il “pericolo” di credere di poter rispondere a tutto – mentre l’unico che può, afferma, è il Signore – e la prima risposta è una spallata all’ipocrisia ammantata di buoni sentimenti che annida anche fra i cristiani. Si parla di carcere – “una delle periferie più brutte”, dice – e della solidarietà verso i detenuti. In modo spiazzante Francesco invita tutti a riconoscere che se non si è finiti in cella non è per bravura personale, ma solo perché “il Signore ci ha presi per mano”:

“Non si può entrare in carcere con lo spirito di ‘ma, io vengo qui a parlarti di Dio, perché abbi pazienza, perché tu sei di una classe inferiore, sei un peccatore’. No, no! Io sono più peccatore di te, e questo è il primo passo (…) Quando noi andiamo a predicare Gesù Cristo a gente che non lo conosce o che porta una vita che non sembra molto morale, pensare che io sono più peccatore di lui, perché se io non sono caduto in quella situazione è per la grazia di Dio”.

La carità dei gesti
E profondamente cristiano è il suggerimento su quali parole rivolgere a un detenuto:

“Non dire niente. Prendere la mano, accarezzarlo, piangere con lui, piangere con lei … Così, avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Avvicinarsi al cuore che soffre. Ma tante volte noi non possiamo dire niente. Niente. Perché una parola sarebbe un’offesa. Soltanto i gesti. I gesti che fanno vedere l’amore. ‘Tu sei un ergastolano, lì, ma io condivido con te questo pezzo di vita di ergastolo’, e quel condividere con l’amore: niente di più. Questo è seminare l’amore”.

La speranza non delude
Tiziana, una ragazza, gli domanda come faccia un giovane a sperare oggi e Francesco concorda con lei che quella ricavata da una vita in disparte, “comoda, tranquilla” è una speranza da “laboratorio”. Diverso è per chi vuole impegnarsi in politica, in un campo professionale, e finisce per imbattersi nella corruzione, scopre che i lavori “che sono per servire – nota Francesco – diventano affari”. O intende impegnarsi nella Chiesa e fa anche lì l’esperienza della “sporcizia”, come affermato una volta da Benedetto XVI:

“Sempre c’è qualcosa che delude la speranza e così non si può … Ma la speranza vera è un dono di Dio, è un regalo, e quella non delude mai. Ma come si fa, come si fa per capire che Dio non ci abbandona, che Dio è con noi, che è in cammino con noi? (…) Soltanto, una cosa della quale io sono sicuro – di questo sono sicuro, ma non sempre lo sento, ma sono sicuro – Dio cammina con il suo popolo”.

Sana inquietudine
La speranza è “la virtù degli umili”, afferma Francesco, perché molto piccoli bisogna farsi per non alzare un’ombra col proprio orgoglio verso Dio. E una speranza umile può essere meglio testimoniata a patto di imparare a servire gli altri, attitudine che ha bisogno di grande sensibilità. Come si aiutano i bambini affamati, si chiede il Papa? O quelli che se “li accarezzi ti danno uno schiaffo” perché a casa vedono il papà che picchia la mamma? La risposta è: rispettando sempre la dignità degli altri. E soprattutto non limitandosi a un gesto superficiale tanto per sentirsi in pace:

“Una cosa che fa la differenza tra la beneficienza abituale (…) e la promozione, è che la beneficienza abituale ti tranquillizza l’anima: ‘Io oggi ho dato da mangiare, adesso vado tranquillo a dormire’. La promozione ti inquieta l’anima: “Ma, devo fare di più: e domani quello e dopodomani quello, e cosa faccio…’. Quella sana inquietudine dello Spirito Santo”.

Conosci Gesù se tocchi le sue piaghe
La risposta a Bartolo, sacerdote diocesano, è invece una spiegazione dell’anima di Sant’Ignazio e di dove risiedano le corde più profonde del carisma dei Gesuiti e di chi li affianca:

“La spiritualità ignaziana dà al vostro Movimento questa strada, offre questa strada: entrare nel cuore di Dio attraverso le ferite di Gesù Cristo. Cristo ferito negli affamati, negli ignoranti, negli scartati, negli anziani soli, negli ammalati, nei carcerati, nei pazzi … è lì. E quale potrebbe essere lo sbaglio più grande per uno di voi? Parlare di Dio, trovare Dio, incontrare Dio ma un Dio, un ‘Dio-spray’, un Dio diffuso, un Dio all’aria (…) Mai conoscerai, tu, Gesù Cristo se non tocchi le sue piaghe, le sue ferite”.

A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana

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