Domani Papa Francesco riceverà i vescovi della Conferenza episcopale di Namibia e Lesotho per la visita ad Limina. Paesi dell’Africa australe, sono entrambi a maggioranza cristiana: in Namibia sono in prevalenza evangelici, in Lesotho cattolici. Tanti i problemi economici e sociali che questi due Paesi devono affrontare. Molte anche le sfide sul piano religioso. Sulle priorità della Chiesa in Namibia, ascoltiamo mons. Liborius Nashenda, arcivescovo di Windhoek e presidente della Conferenza episcopale del Paese, al microfono di John Baptist Munyambibi per la Radio Vaticana:
Laici protagonisti della Chiesa
R. – La nostra principale priorità è di rendere la Chiesa autosufficiente, di fare sì che i fedeli che si sentano protagonisti della loro Chiesa e questo è un punto su cui insistiamo.
D. – Quali sono le sfide che dovete affrontare come Chiesa?
R. – La prima sfida è quella delle vocazioni che sono in calo. La nostra Chiesa è stata fondata dai missionari e adesso questi stanno diminuendo. Ne deriva che la Chiesa deve mobilitare i nostri fedeli e pregare per avere più vocazioni locali così da potere raggiungere un giorno l’autosufficienza. La seconda sfida è di preparare coloro che decidono di intraprendere il sacerdozio o la vita consacrata così che possano diventare efficaci agenti evangelizzatori. E questa è la sfida dei seminari e dei centri di formazione. Un’altra sfida importante è la formazione permanente del clero, compresi i diaconi, i religiosi e i laici. La presenza dei laici sta crescendo e cresce la consapevolezza che la Chiesa appartiene anche a loro. Una volta si sentivano esclusi, ma adesso stiamo cercando di far loro comprendere che facciamo tutti parte della Chiesa come una squadra e che solo lavorando insieme possiamo dirci una Chiesa locale, perché un vescovo, un sacerdote, un laico, un religioso da soli non possono fare nulla, mentre insieme possiamo portare avanti l’opera di Cristo, che è stata affidata alla Chiesa.
Una Chiesa in difesa di oppressi ed emarginati
D. – Avete parlato dei missionari che hanno portato la fede in Namibia. Quali sono in particolare le Congregazioni presenti oggi nel Paese?
R. – La Congregazione che ha fondato questa Chiesa nel 1896 è quella degli Oblati di Maria Immacolata alla quale appartengo anch’io. Vorrei anche parlare del ruolo svolto dalla Chiesa prima dell’indipendenza. Abbiamo vissuto un momento difficile durante la guerra di liberazione, durata 25 anni. In quel periodo la Chiesa si era mobilitata, non per fare politica, ma per incoraggiare la popolazione a lottare per la giustizia, in difesa degli oppressi, degli emarginati e contro la violazione dei diritti umani perpetrata dal regime in vigore fino al 1989, quando è iniziato il processo di democratizzazione che ha portato all’indipendenza nel 1990. La Chiesa ha continuato a svolgere il suo ruolo anche dopo, partecipando alla risistemazione dei rimpatriati che erano stati esiliati in Angola, Zambia e Zimbabwe e in altri Paesi nel mondo. La Chiesa può essere orgogliosa di questo e di quello che ha fatto dopo l’indipendenza per aiutare lo sviluppo del popolo namibiano, contro la povertà e contro tutti i mali che affliggono il nostro Paese.
Parlare senza paura
D. – Siete ascoltati dai leader politici namibiani?
R. – Anche se non ci ascoltassero, diremmo quello che pensiamo lo stesso, senza paura. Il fatto di essere una minoranza non è importante. Diciamo la nostra sui temi che riguardano il nostro Paese in diversi modi: attraverso i vari media, le nostre lettere pastorali e anche attraverso organismi ecumenici nonostante le differenze dottrinali che esistono tra le Chiese cristiane.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana