Il cardinale Vegliò al microfono di Sergio Centofanti della Radio Vaticana:
R. – La Chiesa deve aiutare proprio quelli che hanno più bisogno, perché i loro diritti sono conculcati. Quindi, la Chiesa che è per i poveri e per quelli che non hanno voce, deve essere presente e non dobbiamo mai stancarci di dire queste cose sia nelle omelie, sia nei discorsi, sia anche come influsso, eventualmente, in situazioni politiche.
D. – Adesso c’è il nuovo dramma degli sfollati in Iraq: sono veramente tantissimi …
R. – Io li chiamo sfollati e rifugiati, perché scappano via, perché se rimangono nei loro luoghi di origine vengono uccisi. Ora, di fronte ai drammi di queste persone non riesco a capire come si possa dire – come è stato detto: “Rimandiamoli nel loro Paese”. Ma, dico, il cervello che ragiona, può dire a uno che è scappato da un Paese nel quale l’avrebbero ammazzato, “Torna al Paese tuo?”. Io credo manchi non solo l’umanità, ma anche l’intelligenza: mi dispiace dover dire questo … E poi, è gente che soffre: lascia tutto, scappa via … E non solo in Iraq, lei lo sa bene. Adesso l’Iraq è la punta dell’iceberg, perché vi è la situazione più spaventosa: ci sono uccisioni, stragi con le maniere barbare che sappiamo, che abbiamo visto … Ora, questa gente ha bisogno non solo delle preghiere: la preghiera è importante, ma non basta; ha bisogno di aiuti, ha bisogno che la comunità internazionale se ne prenda in carico. Come? Ha detto bene il Papa in aereo, mentre tornava dalla Corea: “Bisogna fermare questa gente”. E come? Appunto: è la comunità internazionale che deve valutare i mezzi. Ma non può far finta di niente. Ora, giustamente il Papa ha detto: “Noi non possiamo chiudere gli occhi, non possiamo far finta che non succeda nulla”, perché sarebbe la stessa cosa di quanto Hitler ammazzava gli ebrei e dopo molti hanno detto: “Ah, no, no: noi non sapevamo nulla!”: tutta ipocrisia! Bisogna fare qualche cosa!
D. – La comunità internazionale, in questo senso, sta facendo ancora molto poco …
R. – La comunità internazionale fa molto poco: cioè l’Onu e anche un po’ l’Europa che è più vicina, anche geograficamente parlando, a questi Paesi. Secondo me, l’Europa dovrebbe avere un po’ più di sensibilità. Purtroppo, in Europa abbiamo tanti di quei problemi, per cui egoisticamente parlando uno pensa a se stesso e pensa poco agli altri. Però, se pensiamo ai problemi nostri – ‘nostri’ dico come italiani – che sono gravi, per carità, perché l’economia non va bene, il lavoro in molti non ce l’hanno, però sono sempre problemi relativamente più piccoli di quelli che ha questo povero popolo iracheno che scappa per non essere sgozzato …
D. – Quali sono le speranze della Chiesa per questi rifugiati iracheni?
R. – Io mi auguro che l’Europa – qualche Paese ha già incominciato a farlo – sia sensibile, dia loro possibilità di essere accolti nei propri Paesi – Germania, Francia, Inghilterra, Italia, Spagna: tutti Paesi ricchi rispetto a questi poveracci! – io mi auguro che lo facciano anche dietro la spinta della Chiesa. E quando parliamo della Chiesa, non pensiamo mica solo al Vaticano o alla Curia! La Chiesa è una realtà presente ovunque, e la Chiesa ha la sensibilità di aiutare questi poveri, questi emigrati, questi rifugiati, questi sfollati. Ora, questo dramma non si può pensare che un Paese possa risolverlo tutto da solo: veda ad esempio l’Italia. E sono contento che anche in Europa sia stato un po’ recepito il problema italiano con la questione del “Mare Nostrum”, del “Frontex plus” … Ora, ecco: noi lavoriamo dove possiamo lavorare, sperando che anche la gente sia sensibile a questi problemi. Fonte: Radio Vaticana
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