Per costruire “la nuova giustizia sociale” dobbiamo ammettere “che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata” e ne ha sottolineato sempre la funzione sociale. Quando, ricorrendo alle leggi e al diritto, “diamo ai poveri le cose indispensabili, non diamo loro le nostre cose, né quelle di terzi”, ma “restituiamo loro ciò che è loro”. E’ il cuore dell’intervento che Papa Francesco invia, in un videomessaggio, al primo incontro virtuale dei Giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America sul tema “La costruzione della giustizia sociale. Verso la piena applicazione dei diritti fondamentali delle persone in condizioni di vulnerabilità”, che si tiene dal 30 novembre al 1 dicembre in Perù.
Ai giudici, pubblici ministeri, consulenti, avvocati di Argentina e Brasile, Canada e Stati Uniti, Cuba e Guatemala, ma anche Marocco, e membri della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, molti dei quali hanno partecipato al vertice del 3-4 giugno 2019 in Vaticano, il Papa ricorda, al termine del suo discorso, che, per la dottrina sociale della Chiesa, “il diritto di proprietà è un diritto naturale secondario derivante dal diritto che hanno tutti, nato dalla destinazione universale dei beni creati”.
E quindi che: “Non c’è giustizia sociale che possa fondarsi sull’iniquità, che presuppone la concentrazione della ricchezza”.Il primo intervento, breve, di Papa Francesco, alla due giorni on line che fa seguito al vertice, un anno fa in Vaticano, dei giudici panamericani sui diritti sociali e la dottrina francescana, è un saluto, in spagnolo, nel quale il Pontefice sottolinea ai magistrati che questa “pausa” del loro lavoro ordinario li aiuterà “ad acquisire una dimensione più completa della loro “missione” e della loro “responsabilità sociale”.
Il Papa riprende quindi un’immagine usata nell’incontro di un anno e mezzo fa nella Casina Pio IV in Vaticano: i giudici impegnati nei diritti sociali, alla pari dei movimenti sociali, sono dei poeti. E la chiarisce: “Il poeta ha bisogno di contemplare, pensare, comprendere la musica delle realtà e plasmarla con parole”.
Voi, in ogni decisione, in ogni sentenza, siete di fronte alla felice possibilità di fare poesia: una poesia che curi le ferite dei poveri, che integri il pianeta, che protegga la madre terra e tutta la sua discendenza. Una poesia che ripari, redima, e nutra.
Quindi Francesco si appella ai giudici: “Non rinunciate a questa possibilità”. Con decisione e con coraggio, “siate consapevoli che tutto ciò che potete apportare con la vostra rettitudine e il vostro impegno è molto importante”. Perché “quando una giustizia è realmente giusta, quella giustizia rende felice i Paesi e degni i loro abitanti”. Infatti, e così il Pontefice conclude il suo saluto iniziale, “nessuna sentenza può essere giusta, nessuna legge legittima se ciò che generano è più disuguaglianza”, oppure “più perdita di diritti, indegnità o violenza”. “Una poesia che non trasforma – è l’ammonimento finale del Papa – è solo una manciata di parole morte”.
Alle donne e gli uomini che in due continenti “lavorano per dispensare giustizia” e pensano a come “costruire la nuova giustizia sociale” Francesco elenca poi, nel suo discorso che apre i lavori, cinque basi di questa giustizia sociale. Le vostre idee, prima di tutto, non dovrebbero perdere di vista la realtà…
L’angosciante quadro in cui una piccola parte dell’umanità vive nell’opulenza, mentre a un numero sempre maggiore di maggiore la dignità è sconosciuta e i loro diritti umani vengono ignorati e violati. Non possiamo pensare sconnessi dalla realtà.
La seconda base della nuova giustizia sociale, per il Pontefice, è riconoscere che questa è “un’opera collettiva”, nella quale “tutti e tutte le persone benintenzionate sfidano l’utopia e ammettono che, come il bene e l’amore, anche la giustizia è un compito che si deve conquistare ogni giorno”, perché lo squilibrio è la tentazione di ogni istante. Per questo, ed è la terza base, è necessario “un atteggiamento d’impegno, seguendo il cammino del buon samaritano”, perché è troppo frequente la tentazione “di disinteressarsi degli altri, specialmente dei più deboli”.
Dobbiamo ammettere che ci siamo abituati a passare di lato, a ignorare le situazioni finché queste non ci colpiscono direttamente. L’impegno incondizionato è farci carico del dolore dell’altro, e non scivolare verso una cultura dell’indifferenza.
La quarta “e obbligata” riflessione per chi vuol realizzare “una nuova giustizia sociale per il nostro pianeta, assetato di dignità” è per Papa Francesco considerare la storia “come asse conduttore”. “Lì – spiega – ci sono le lotte, i trionfi e le sconfitte. Lì si trova il sangue di quanti hanno dato la propria vita per un’umanità piena e integrata”. Sono le radici delle esperienze, “anche quelle della giustizia sociale che oggi vogliamo ripensare, far crescere e potenziare”.
La quinta base, prosegue il Papa, “è il popolo”: non pretendiamo “di essere élite illuminata, ma popolo, dimostrandoci costanti e instancabili nel lavoro di includere, integrare e sollevare chi è caduto”. Perché quelli che seguono il cammino della “élite di Dio”, “finiscono nei tanto noti clericalismi elitari che lavorano per il popolo, ma non fanno nulla con il popolo”, e non si sentono popolo.
E in conclusione Francesco chiede a coloro che vogliano ripensare l’idea di giustizia sociale, di dimostrarsi “solidali e giusti”. Solidali, lottando “contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, di terra e di alloggio. Terra, tetto e lavoro, techo, tierra y trabajo, le tre ‘T’ che ci rendono degni”:
Lottando, insomma contro quanti negano i diritti sociali e lavorativi. Lottando contro quella cultura che porta a usare gli altri, a schiavizzare gli altri e finisce col togliere la dignità agli altri.
E giusti, sapendo che, “quando, ricorrendo al diritto, diamo ai poveri le cose indispensabili, non diamo loro le nostre cose, né quelle di terzi, bensì restituiamo loro ciò che è loro”. Un’idea che abbiamo, spesso, perso:
Costruiamo la nuova giustizia sociale ammettendo che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha sottolineato sempre la funzione sociale di ogni sua forma. Il diritto di proprietà è un diritto naturale secondario derivante dal diritto che hanno tutti, nato dalla destinazione universale dei beni creati.
Non c’è giustizia sociale “che possa fondarsi sull’iniquità” conclude il Pontefice, rappresentata dalla “concentrazione della ricchezza”. L’augurio finale è che tutto ciò che verrà costruito in questi due giorni sulla nuova giustizia sociale “sia più di una mera teoria, ma piuttosto una nuova e urgente pratica giudiziaria, che contribuisca a far sì che l’umanità possa, in un futuro molto vicino, integrarsi nella pienezza e nella pace”.
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