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Papa Francesco: con una semplice carezza si dà senso alla giornata di un malato

Nel celebrare la Messa in occasione dei 60 anni della Facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, Francesco ricorda che per amare davvero Dio bisogna appassionarsi all’uomo che vive il dolore: condividere, sostenersi, andare avanti insieme “è il futuro della sanità cattolica”. Dal Gemelli il dono al Papa di farmaci di prima necessità per il Libano, il Sudan e la Siria

Benedetta Capelli – Città del Vaticano per Vaticannews.va

Francesco torna all’ospedale “Gemelli” dopo l’intervento di luglio per commemorare con “gratitudine” i 60 anni dall’inaugurazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia, il sogno realizzato di padre Agostino Gemelli. Ma anche per dire il suo “grazie” per le cure e l’affetto ricevuti durante il suo ricovero.

Nel grande piazzale davanti agli istituti biologici, allestito per la celebrazione della Messa, ci sono i tanti medici, dottorandi, infermieri che ogni giorno qui con dedizione si prodigano per gli altri, nel rispetto della persona e nell’amore che trovano nei volti dei malati. E a loro che il Papa guarda nell’omelia della Messa

perché il lavoro svolto assuma un senso profondo e non diventi semplicemente un appesantimento, un qualcosa che passa “senza lasciare traccia” o che resti soltanto, alla fine della giornata, “tanta fatica e stanchezza”. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Ci fa bene, alla sera, passare in rassegna i volti che abbiamo incontrato, i sorrisi ricevuti, le parole buone. Sono ricordi di amore e aiutano la nostra memoria a ritrovare sé stessa: che la nostra memoria ritrovi se stessa. Quanto sono importanti questi ricordi negli ospedali! Possono dare il senso alla giornata di un ammalato. Una parola fraterna, un sorriso, una carezza sul viso: sono ricordi che risanano dentro, fanno bene al cuore. Non dimentichiamo la terapia del ricordo!

Ritornare al cuore

“Ricordo” è una delle tre parole che fanno da guida alla riflessione del Papa. La sua visita al Gemelli cade nel primo venerdì del mese dedicato al Sacro Cuore di Gesù, a cui è intitolata l’Università, e l’omelia è tutta incentrata su questo cuore che palpita, che offre misericordia, che ama e parla, che dona vita. E’ un cuore che genera commozione, capacità che “nella fretta di oggi – afferma Francesco – tra mille corse e continui affanni” abbiamo perso. E’ lo smarrimento del ricordo e della memoria.

Senza memoria si perdono le radici e senza radici non si cresce. Ci fa bene alimentare la memoria di chi ci ha amato, ci ha curato, risollevato. Io vorrei rinnovare oggi il mio “grazie” per le cure e l’affetto che ho ricevuto qui. Credo che in questo tempo di pandemia ci faccia bene fare memoria anche dei periodi più sofferti: non per intristirci, ma per non dimenticare, e per orientarci nelle scelte alla luce di un passato molto recente.

L’arte del ricordo

Fare memoria, spiega il Papa, vuol dire ricordare qualcuno o qualcosa che ci ha toccato il cuore. Gesù guarisce la nostra memoria perché “la radica sulla base più solida”: il suo amore, scrutare quel cuore ci fonda nella carità, come dice San Paolo, e per farlo bisogna stare a tu per tu con il Signore, lasciandoci guardare e amare nell’adorazione. Ancora quel guardare per coltivare “l’arte del ricordo”, “facendo tesoro dei volti che incontriamo”.

L’amore parla da sé non di sé

La seconda parola su cui Francesco riflette è “passione”. Il cuore ferito di Gesù sgorga sangue e acqua, mostra “la tenerezza viscerale di Dio, la sua passione amorosa per noi” ma fa vedere anche “quanta sofferenza sia costata la nostra salvezza”. “Nella tenerezza e nel dolore, quel Cuore – sottolinea il Papa – svela insomma qual è la passione di Dio: l’uomo”, quello scartato, addolorato e abbandonato e ci fa conoscere lo stile di Dio fatto di “vicinanza, compassione e tenerezza”. Parole che Francesco pronuncia anche davanti ad un gruppo di venti senza fissa dimora, ospitati dalla villetta della Misericordia, iniziativa nata grazie all’università Cattolica del Sacro Cuore, al Gemelli e alla comunità di Sant’Egidio. “Quando serviamo – aggiunge – chi soffre consoliamo e rallegriamo il Cuore di Cristo”

Il Cuore squarciato di Dio è eloquente. Parla senza parole, perché è misericordia allo stato puro, amore che viene ferito e dona la vita. È Dio con la vicinanza, la compassione e la tenerezza. Quante parole diciamo su Dio senza far trasparire amore! Ma l’amore parla da sé, non parla di sé. Chiediamo la grazia di appassionarci all’uomo che soffre, di appassionarci al servizio, perché la Chiesa, prima di avere parole da dire, custodisca un cuore che pulsa d’amore. Prima di parlare, che impari a custodire il cuore d’amore. 

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