Sancta Sedes

Papa Francesco: Il coraggio del dialogo anche in Moschea ‘Trovarsi insieme qui è una benedizione!’

Papa Francesco è in volo verso l’Italia, al termine di una giornata intensa (come mai prima ndr) di poche ore, ma che ha visto il Pontefice in maniera ‘sprint’ incontrare varie realtà del paese. Dopo l’incontro con le autorità, Papa Francesco si è recato alla moschea Heydar Aliyev, costruita di recente nel quartiere Binagadi di Baku e dedicata allo scomparso statista azero. Francesco è stato accolto ai piedi della scala mobile all’ingresso della moschea dallo Sceicco che lo ha accompagnato all’interno dell’edificio attraverso il grande portone centrale. In corrispondenza del Mihrab, è avvenuto lo scambio dei doni.

Lo Sceicco ha donato al Papa un tappeto, Francesco ha donato allo Sceicco un mosaico con la veduta di Castel Sant’Angelo. Poi il Papa e lo Sceicco hanno avuto un incontro privato e al termine si sono trasferiti nella Sala principale della Moschea dove è avvenuto l’incontro interreligioso con lo stesso Sceicco e con i rappresentanti delle altre Comunità religiose del Paese.

Questo il testo del discorso del Papa:

Trovarsi qui insieme è una benedizione. Desidero ringraziare il presidente del Consiglio dei Musulmani del Caucaso, che con la consueta cortesia ci ospita, e i Capi religiosi locali della Chiesa Ortodossa Russa e delle Comunità Ebraiche. È un grande segno incontrarci in amicizia fraterna in questo luogo di preghiera, un segno che manifesta quell’armonia che le religioni insieme possono costruire, a partire dai rapporti personali e dalla buona volontà dei responsabili. Qui ne danno prova, ad esempio, l’aiuto concreto che il presidente del Consiglio dei Musulmani ha garantito in più occasioni alla comunità cattolica, e i saggi consigli che, in spirito di famiglia, condivide con essa; sono anche da sottolineare il bel legame che unisce i Cattolici alla Comunità Ortodossa, in una fraternità concreta e in un affetto quotidiano che sono un esempio per tutti, e la cordiale amicizia con la comunità ebraica.

Di questa concordia beneficia l’Azerbaigian, che si distingue per l’accoglienza e l’ospitalità, doni che ho potuto sperimentare in questa memorabile giornata, per la quale sono molto grato. Qui si desidera custodire il grande patrimonio delle religioni e al tempo stesso si ricerca una maggiore e feconda apertura: anche il cattolicesimo, ad esempio, trova posto e armonia tra altre religioni ben più numerose, segno concreto che mostra come non la contrapposizione, ma la collaborazione aiuta a costruire società migliori e pacifiche. Il nostro trovarci insieme è anche in continuità con i numerosi incontri che si svolgono a Baku per promuovere il dialogo e la multiculturalità. Aprendo le porte all’accoglienza e all’integrazione, si aprono le porte dei cuori di ciascuno e le porte della speranza per tutti. Ho fiducia che questo Paese, «porta tra l’Oriente e l’Occidente» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso nella Cerimonia di benvenuto, Baku, 22 maggio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 838), coltivi sempre la sua vocazione di apertura e incontro, condizioni indispensabili per costruire solidi ponti di pace e un futuro degno dell’uomo.



La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti; sono però invocate e attese da chi desidera il bene comune, e soprattutto gradite a Dio, Compassionevole e Misericordioso, che vuole i figli e le figlie dell’unica famiglia umana tra loro più uniti e sempre in dialogo. Un grande poeta, figlio di questa terra, ha scritto: «Se sei umano, mescolati agli umani, perché gli uomini stanno bene tra di loro» (NIZAMI GANJAVI, Il libro di Alessandro, I, Sul proprio stato e il passare del tempo). Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità; ad agire senza idealismi e senza interventismi, senza operare dannose interferenze e azioni forzate, bensì sempre nel rispetto delle dinamiche storiche, delle culture e delle tradizioni religiose.

Proprio le religioni hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti. Ha scritto ancora Nizami: «Non stabilirti solidamente sulle tue forze, finché in cielo non avrai trovato dimora! I frutti del mondo non sono eterni, non adorare ciò che perisce!» (Leylā e Majnūn, Morte di Majnūn sulla tomba di Leylā). Le religioni sono chiamate a farci capire che il centro dell’uomo è fuori di sé, che siamo protesi verso l’Alto infinito e verso l’altro che ci è prossimo. Lì è chiamata a incamminarsi la vita, verso l’amore più elevato e insieme più concreto: esso non può che stare al culmine di ogni aspirazione autenticamente religiosa; perché – dice ancora il poeta –, «amore è quello che mai non muta, amore è quello che non ha fine» (ibid., Disperazione di Majnūn).

La religione è dunque una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore (cfr Gen 4,7). In questo senso le religioni hanno un compito educativo: aiutare a tirare fuori dall’uomo il meglio di sé. E noi, come guide, abbiamo una grande responsabilità, per offrire risposte autentiche alla ricerca dell’uomo, oggi spesso smarrito nei vorticosi paradossi del nostro tempo. Vediamo, infatti, come ai nostri giorni, da una parte imperversa il nichilismo di chi non crede più a niente se non ai propri interessi, vantaggi e tornaconti, di chi butta via la vita adeguandosi all’adagio «se Dio non esiste tutto è permesso» (cfr F.M. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, XI, 4.8.9); dall’altra parte, emergono sempre più le reazioni rigide e fondamentaliste di chi, con la violenza della parola e dei gesti, vuole imporre atteggiamenti estremi e radicalizzati, i più distanti dal Dio vivente.

Le religioni, al contrario, aiutando a discernere il bene e a metterlo in pratica con le opere, con la preghiera e con la fatica del lavoro interiore, sono chiamate a edificare la cultura dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti. Così si serve la società umana. Essa, da parte sua, è sempre tenuta a vincere la tentazione di servirsi del fattore religioso: le religioni non devono mai essere strumentalizzate e mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni.

È invece fecondo un legame virtuoso tra società e religioni, un’alleanza rispettosa che va costruita e custodita, e che vorrei simboleggiare con un’immagine cara a questo Paese. Mi riferisco alle pregiate vetrate artistiche presenti da secoli in queste terre, fatte soltanto di legno e vetri colorati (Shebeke). Nel produrle artigianalmente, vi è una particolarità unica: non si usano colle né chiodi, ma si tengono insieme il legno e il vetro incastrandoli fra di loro con un lungo e accurato lavoro. Così il legno sorregge il vetro e il vetro fa entrare la luce. Allo stesso modo è compito di ogni società civile sostenere la religione, che permette l’ingresso di una luce indispensabile per vivere: per questo è necessario garantirle un’effettiva e autentica libertà. Non vanno dunque usate le “colle” artificiali che costringono l’uomo a credere, imponendogli un determinato credo e privandolo della libertà di scelta; non devono entrare nelle religioni neanche i “chiodi” esterni degli interessi mondani, delle brame di potere e di denaro. Perché Dio non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo. Ancora una volta, da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio! Che il suo santo Nome sia adorato, non profanato e mercanteggiato dagli odi e dalle contrapposizioni umane.

Onoriamo invece la provvidente misericordia divina verso di noi con la preghiera assidua e con il dialogo concreto, «condizione necessaria per la pace nel mondo, dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 250). Preghiera e dialogo sono tra loro profondamente correlati: muovono dall’apertura del cuore e sono protesi al bene altrui, dunque si arricchiscono e rafforzano a vicenda. La Chiesa Cattolica, in continuità con il Concilio Vaticano II, con convinzione «esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi» (Dich. Nostra aetate, 2). Nessun «sincretismo conciliante», non «un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 251), ma dialogare con gli altri e pregare per tutti: questi sono i nostri mezzi per mutare le lance in falci (cfr Is 2,4), per far sorgere amore dove c’è odio e perdono dove c’è offesa, per non stancarci di implorare e percorrere vie di pace.

Una pace vera, fondata sul rispetto reciproco, sull’incontro e sulla condivisione, sulla volontà di andare oltre i pregiudizi e i torti del passato, sulla rinuncia alle doppiezze e agli interessi di parte; una pace duratura, animata dal coraggio di superare le barriere, di debellare le povertà e le ingiustizie, di denunciare e arrestare la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri. La voce di troppo sangue grida a Dio dal suolo della terra, nostra casa comune (cfr Gen 4,10). Ora siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile, a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione. La vera questione del nostro tempo non è come portare avanti i nostri interessi – questa non è la vera questione – ma quale prospettiva di vita offrire alle generazioni future, come lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto. Dio, e la storia stessa, ci domanderanno se ci siamo spesi oggi per la pace; già ce lo chiedono in modo accorato le giovani generazioni, che sognano un futuro diverso.

Nella notte dei conflitti, che stiamo attraversando, le religioni siano albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là, dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti. Specialmente in questa amata regione caucasica, che ho tanto desiderato visitare e nella quale sono giunto come pellegrino di pace, le religioni siano veicoli attivi per il superamento delle tragedie del passato e delle tensioni di oggi. Le inestimabili ricchezze di questi Paesi vengano conosciute e valorizzate: i tesori antichi e sempre nuovi di sapienza, cultura e religiosità delle genti del Caucaso sono una grande risorsa per il futuro della regione e in particolare per la cultura europea, beni preziosi cui non possiamo rinunciare. Grazie

Questo il testo del discorso dello Sceicco:

A Nome del Creatore Unico!

Sua Santità Padre Francesco,

è onore mio di poterLa salutare in Azerbaigian, a nome dei musulmani del Caucaso e di tutte le comunità religiose che vivono nel nostro paese.

La Vostra visita, non a caso capita nel periodo dell’anno dichiarato “Anno del Multiculturalismo”, in questa terra antica abitata da fedeli del Creatore Unico, in questo suolo di rispetto che da sempre ospita nel suo cuore gli adepti delle religioni Celestiali. Siete benvenuto in Azerbaigian, Paese di antiche tradizioni con uno Stato ricco di un patrimonio culturale che è voluto rimanere sempre legato ai suoi valori religiosi, rafforzando al contempo il suo multiculturalismo e tolleranza.

Il Suo Viaggio Apostolico, i suoi incontri con il nostro stimato Presidente della Repubblica Sua Eccellenza Ilham Aliyev in Vaticano e in Azerbaigian, serviranno ovviamente a rafforzare questi legami ad un più alto livello fra la Santa Sede e la Repubblica dell’Azerbaigian, Inshallah! Sua Santità, Giovanni Paolo II, capo della Chiesa Cattolica, ha effettuato un viaggio apostolico in Azerbaigian all’inizio del III millennio previo invito del grande leader del popolo azerbaigiano Heydar Aliyev. Una Chiesa fù costruita per l’esigua comunità cattolica nel nostro Paese. Sua Santità, nel Suo viaggio apostolico di oggi in Azerbaigian e con la messa celebrata in questa Chiesa, Lei ha predicato il Suo messagio di portata mondiale.

Sua Santità!

Come capo dello Stato del Vaticano e dei cattolici del mondo, le Sue attività suscitano in noi un vivo interesse. E’ molto importante osservare il Suo approccio critico ai problemi che preoccupano il mondo, la Sua seria riprovazione del problema dei migranti, la sua protesta nel collegare il nome d’Islam al terrorismo e al contempo la Sua dura condanna alle cause reali del terrorismo e i suoi incisivi discorsi contro casi di xenofobia. Il Suo incontro con Sua Santità Patriarca Kirill, Capo della Chiesa Ortodossa, ha aperto un importante capitolo delle relazioni fra le confessioni. Come Capo dei musulmani, partecipando nella Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse Orientali, ho lodato questo incontro storico nelle mie lettere augurali inviate a Sua Santità e al Patriarca Kirill, e anche nei miei discorsi a seguire. Auguro quindi la continuazione di questo dialogo.

Sua Santità!

Come in tutti gli eventi di alto livello, siamo venuti di nuovo a questo Suo incontro con i rappresentanti di tutte le confessioni dell’Azerbaigian. Questo rappresenta la realtà dell’Azerbaigian. Questo costituisce il nostro modo usuale di vita. La nostra è una realtà vista come modello per il mondo. Ne è testimone il conseguimento del successo ottenuto nelle relazioni tra le varie religioni in Azerbaijan e la loro convivenza. Tutti questi fattori si basano su un alto livello delle religioni con lo Stato che considera il multiculturalismo come una politica statale, e l’attività, l’attenzione e la cura del nostro Capo di Stato lo conferma mostrandosi come Presidente di ogni cittadino azerbaigiano, indipendentemente dalla sua nazionalità o religione.

Le diversità etniche e religiose costituiscono la ricchezza nazionale dell’Azerbaigian. Il nostro popolo e il nostro Stato salvaguardano questo patrimonio per le generazioni future. Inoltre la tutela del patrimonio nazionale dell’Azerbaigian, i monumenti storici e religiosi in varie parti del mondo, rivestono un’appartenenza nuova con le iniziative caritatevoli di Mehriban Aliyeva, la First Lady del nostro Paese e Presidente della Fondazione Heydar Aliyev. I Progetti realizzati in Vaticano da questa Fondazione, rappresentano il rispetto immenso del popolo azerbaigiano verso il patrimonio mondiale.

Il Consiglio dei Musulmani del Caucaso diretto da me, sviluppa i suoi legami con il Vaticano. Esiste una fruttuosa ed effettiva cooperazione con i rappresentanti ufficiali del Vaticano che si evidenzia durante eventi internazionali sul dialogo e la collaborazione interreligiosa. Il Vaticano è rappresentato ad alto livello nei Forums Globale e Umanitario sul dialogo interculturale, nel Vertice di Baku dei Leaders Religiosi organizzati con cura dello Stato di Azerbaigian, e dal Consiglio Interreligioso delle Comunità degli Stati Indipendenti dove opero come copresidente. Abbiamo iniziato una cooperazione fruttuosa con il Suo nunzio apostolico nel Caucaso meridionale e con il Suo rappresentante a Baku. Apprezziamo molto questi legami.

Sua Santità!

Apprezziamo i Suoi sforzi nella risoluzione dei conflitti in nome della pace nel mondo durante i Suoi viaggi, e anche all’importanza che Lei dà al dialogo interreligioso. Abbiamo appreso con attenzione e rispetto le Sue parole di grande leader religioso riguardo l’importanza di una risoluzione pacifica del conflitto di Nagorno Karabakh fra l’Armenia e l’Azerbaigian. Il popolo, lo Stato e il capo dell’Azerbaigian desiderano una risoluzione giusta e pacifica di questo conflitto sulla base delle norme del diritto internazionale. A più riprese, ho incontrato i leaders religiosi dell’Armenia con l’aiuto delle Chiese Ortodosse Russa e Georgiana, e anche con il sostegno del Consiglio ecumenico delle Chiese. Assieme abbiamo dichiarato che questo conflitto non è un confronto religioso.

Sua Santità!

Come Leader religioso mondiale, confidiamo sempre sui Suoi sforzi nella risoluzione giusta e pacifica del conflitto di Nagorno Karabakh fra l’Armenia e l’Azerbaigian . Il nostro libro sacro – il Corano ci dice: “O voi che credete, siate testimoni sinceri davanti ad Allah, secondo giustizia… Siate equi: l’equità è consona alla devozione”. (Il Sacro Corano, Al-Ma’ida, ayyat 8).

Sua Santità!

Sua Santità, colgo altresì occasione di porgerle a nome mio e di tutti i credenti dell’Azerbaigian, i più sentiti auguri per il Suo imminente ottantesimo compleanno.

Che il Nostro Creatore Unico benefica pace e prosperità al mondo intero! Amen!

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IL video servizio a cura del CENTRO TELEVISIVO VATICANO
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a cura della Redazione Papaboys

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