Sul volo di ritorno da Baku Francesco spiega perché condanna la teoria del gender nelle scuole ma anche perché gli omosessuali vadano accompagnati e «avvicinati al Signore»: «Oggi Gesù farebbe così». Racconta di aver ricevuto in Vaticano una ragazza che ha cambiato sesso. Tra i prossimi viaggi India e Bangladesh. Vicino un concistoro per 13 nuovi cardinali. «Mi piacerebbe andare in Cina, ma non bisogna fare le cose in fretta»
«Anche da Papa continuo ad accompagnare persone con tendenza e pratica omosessuali». Lo ha detto Francesco rispondendo alle domande dei giornalisti che sul volo da Baku a Roma gli chiedevano conto della durezza delle sue parole sul gender pronunciate sabato 1° ottobre in Georgia. Il Papa ha raccontato dell’incontro con una persona che ha cambiato sesso, da lui ricevuta in Vaticano, e ha parlato dei prossimi viaggi, dell’imminente concistoro, della Cina, delle elezioni americane e del conflitto tra Armenia e Azerbaigian.
Lei ha parlato del gender che distrugge il matrimonio. Come pastore che cosa direbbe a una persona che soffre da anni con la sua sessualità e che sente che la sua identità sessuale non corrisponde a quella biologica?
«Io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo e anche di Papa persone con tendenza e con pratica omosessuali. Li ho accompagnati e avvicinati al Signore, alcuni non possono… Ma le persone si devono accompagnare come le accompagna Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, lui sicuramente non dirà: “Vattene via che sei omosessuale!”. Quello di cui ho parlato è la cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender. Mi raccontava un papà francese che a tavola stava parlando con i figli, e ha domandato al ragazzo di dieci anni: “Tu che cosa voi fare da grande?”. “La ragazza!”. E il papà si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria del gender, e questo è contro le cose naturali. Una cosa è che una persona abbia questa tendenza o questa opzione, o anche chi cambia il sesso. Un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche”. L’anno scorso ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia di bambino e di ragazzo. Prima era una bambina, una ragazza che ha sofferto tanto. Si sentiva ragazzo ma era fisicamente una ragazza. Lo aveva raccontato alla mamma dicendo di voler fare l’intervento chirurgico. La mamma le ha chiesto di non farlo mentre lei era viva. Era anziana, è morta presto. Ha fatto l’intervento, ora è un impiegato di un ministero in Spagna. È andato dal vescovo e il vescovo lo ha accompagnato tanto. Un bravo vescovo questo, “perdeva” tempo per accompagnare quest’uomo. Poi si è sposato, ha cambiato questa identità civile e lui – che era lei ma è lui – mi ha scritto che sarebbe stato di consolazione venire da me. Li ho ricevuti. Mi ha raccontato che nel quartiere dove lui abitava c’era un vecchio sacerdote, il vecchio parroco, e c’era il nuovo. Quando il nuovo parroco lo vedeva, lo sgridava dal marciapiede: “Andrai all’inferno!”. Il vecchio, invece, gli diceva: “Da quanto tempo non ti confessi? Vieni, vieni..”. La vita è la vita, e le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è il peccato. Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a dire che tutto è lo stesso: ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi. Per favore ora non dite: il Papa santificherà i trans! Già mi vedo le prime pagine dei giornali… È un problema umano, di morale. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, ma sempre col cuore aperto».
Lei ieri ha parlato di una guerra mondiale contro il matrimonio e ha usato parole forti contro il divorzio dicendo che sporca l’immagine di Dio. Ma nei mesi scorsi si era parlato di un’accoglienza per i divorziati.
«Tutto quello che ho detto sabato, con altre parole, si trova in Amoris laetitia (l’esortazione postsinodale sulla famiglia, ndr): quando si parla di matrimonio come unione di uomo e della donna, come immagine di Dio… – uomo e donna, non solo uomo – che diventano una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità. È vero che in questa cultura i conflitti, tanti problemi non ben gestiti e tante “filosofie”, portano a questa guerra mondiale contro il matrimonio: dobbiamo stare attenti a non lasciare entrare in noi queste idee. Quando si distrugge l’immagine di Dio, si sfigura l’immagine di Dio. Amoris laetitia parla di come trattare questi casi, le famiglie ferite e c’entra la misericordia. C’è una preghiera bellissima della Chiesa che abbiamo pregato la settimana scorsa: “Dio che tanto meravigliosamente hai creato il mondo e più meravigliosamente lo hai ricreato con la redenzione e la misericordia”. Il principio è quello, ma le debolezze umane esistono, i peccati esistono, ma sempre l’ultima parola non ce l’ha la debolezza, non ce l’ha il peccato, ma la misericordia! Nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Vézelay c’è un capitello bellissimo del 1200. Da una parte del capitello c’è Giuda impiccato, e dall’altra parte c’è Gesù Buon pastore che lo prende e lo porta con lui. E se guardiamo bene la faccia di Gesù, le labbra sono tristi da una parte e con un piccolo sorriso di complicità dall’altra. Questi avevano capito che cos’è la misericordia! Nel matrimonio ci sono i problemi, e come si risolvono? Con quattro criteri: accogliere le famiglie ferite, accompagnare, discernere ogni caso e integrare. Questo significa collaborare in questa ricreazione meravigliosa che ha fatto il Signore con la redenzione. Sull’Amoris laetitia, tutti vanno al capitolo ottavo, ma si deve leggere tutta, dall’inizio alla fine. Il centro è il capitolo quarto, serve per tutta la vita. Ma si deve leggere tutta e rileggere tutta e discuterla tutta, è un insieme. C’è il peccato, la rottura, ma anche la cura, la misericordia, la redenzione».
Quando creerà i nuovi cardinali e quali criteri segue per questo tipo di nomine?
«I criteri saranno gli stessi dei due concistori precedenti. Li farò un po’ dappertutto perché la Chiesa è in tutto il mondo. Sto ancora studiando i nomi. La lista è lunga ma ci sono soltanto tredici posti. Mi piace che si veda nel collegio cardinalizio l’universalità della Chiesa, non soltanto il centro europeo. Dappertutto, nei cinque continenti. Potrà essere alla fine dell’anno, ma c’è il problema dell’Anno santo, o all’inizio dell’anno prossimo».
Quando andrà a trovare i terremotati in centro Italia e quale caratteristica avrà questa visita?
«Mi sono state proposte tre date, due non le ricordo bene, la terza è la prima domenica di Avvento. Appena rientrato sceglierò la data. Farò una visita privata, da solo, come sacerdote, come vescovo e come Papa. Da solo. E vorrei essere vicino alla gente, ma non so ancora come».
Quali saranno i viaggi internazionali del 2017?
«Di sicuro andrò in Portogallo, e andrò soltanto a Fatima. Quest’anno santo sono state sospese le visite ad limina dei vescovi, il prossimo anno devo fare le visite ad limina di quest’anno e del prossimo. Andrò quasi di sicuro in India e Bangladesh. In Africa non è sicuro, dipende da situazione politica e guerre. In Colombia: ho detto che se il processo di pace riesce, quando tutto sarà blindato, se vince il plebiscito, quando tutto sia sicuro e non si può tornare indietro, potrei andare… Ma se è instabile no. Tutto dipende da quello che dice il popolo, che è sovrano. Le forme democratiche e la sovranità del popolo devono andare insieme. È diventata un’abitudine in certi paesi che dopo il secondo mandato colui che lo finisce cerchi di cambiare la costituzione per ottenere un terzo mandato. E questo significa sopravvalutare la democrazia, contro la sovranità del popolo».
Perché non ha parlato di un viaggio in Cina? Quali difficoltà politiche ed ecclesiali impediscono una visita del Papa?
«Voi conoscete bene la storia della Cina: c’è la Chiesa patriottica e quella nascosta. Si parla, ci sono delle commissioni, io sono ottimista. Adesso credo che i Musei Vaticani hanno fatto un’esposizione in Cina. Ci sono tanti professori che vanno a insegnare nelle università cinesi. Tante suore e molti preti che possono lavorare bene lì. Le relazioni tra Vaticano e Cina si devono fissare in un buon rapporto, ci vuole tempo. Le cose lente vanno bene, quelle fatte in fretta non vanno bene. Il popolo cinese ha la mia stima. L’altro giorno all’Accademia delle scienze c’è stato un convegno sulla Laudato si’ e c’era una delegazione cinese. Il presidente mi ha mandato un regalo. Mi piacerebbe andare, ma non penso ancora…».
Il vescovo Lebrun ha detto che lei ha autorizzato a derogare l’attesa di cinque anni per procedere con il processo di beatificazione del padre Jacques Hamel, il sacerdote della diocesi di Rouen ucciso in chiesa dai fondamentalisti…
«Ho parlato col cardinale Amato (Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, ndr), faremo degli studi. L’intenzione è fare le ricerche necessarie per vedere se ci sono le ragioni per farlo beato. Si devono cercare testimonianze, non perdere le testimonianze fresche, quello che ha visto la gente».
Quella tra Armenia e Azerbaigian è una brutta storia: che cosa deve accadere per arrivare a una pace permanente che tuteli i diritti umani?
«L’unico cammino è il dialogo sincero, faccia a faccia, senza accordi sottobanco. Un negoziato sincero. E se non si può arrivare a questo, bisogna avere il coraggio di andare a un Tribunale internazionale, all’Aia per esempio, e sottomettersi al giudizio internazionale. L’altra via è la guerra. Ma con la guerra si perde tutto! I cristiani devono pregare, perché i cuori prendano il cammino di dialogo, del negoziato o andare a un tribunale internazionale. Ma non si possono avere problemi così: la Georgia con la Russia ha un problema, l’Armenia è un paese senza frontiere aperte, ha problemi con l’Azerbaigian. Si deve andare al tribunale internazionale se non c’è altra via».
Per il prossimo premio Nobel per la pace ci sono vari candidati, 300 nomination. Il popolo dell’isola di Lesbo. O i caschi bianchi della Siria, i volontari che tirano fuori la gente dalle macerie a prezzo della vita. O ancora il presidente della Colombia e il comandante delle Farc. Lei chi spera che vinca?
«C’è tanta gente che vive per fare la guerra, per la vendita delle armi, per uccidere. Ma anche c’è tanta gente, tanta, tanta che lavora per la pace. Non saprei dire quale persona scegliere fra tanta gente, è difficile. Lei ne ha menzionati alcuni, ce ne sono ancora di più. Mi auguro anche che a livello internazionale ci sia un ricordo, una riconoscenza, una dichiarazione sui bambini, sugli invalidi, sui minorenni, sui civili morti sotto le bombe delle guerre. Credo che quello sia un peccato! Un peccato contro Gesù Cristo, perché la carne di quei bambini, di quella gente ammalata, di quegli anziani indifesi, è quella di Gesù Cristo. Bisognerebbe che l’umanità dicesse qualcosa sulle vittime delle guerre. Gesù ha detto, su coloro che fanno la pace, che sono beati. Ma dobbiamo dire qualcosa sulle vittime delle guerre: buttano una bomba su un ospedale e su una scuola e fanno tante vittime!».
La campagna presidenziale negli Stati Uniti. Un cattolico chi dovrebbe scegliere fra due candidati: uno è lontano su molti punti dall’insegnamento della Chiesa, e un altro ha fatto certe dichiarazioni sugli immigrati e sulle minoranze…
«Lei mi fa una domanda descrivendo una scelta difficoltosa. Perché secondo lei ci sono difficoltà in uno e nell’altro. In campagna elettorale io mai dico una parola. Il popolo è sovrano e soltanto dirò: studia bene le proposte, prega e scegli in coscienza!. Poi esco dal caso specifico e faccio un’ipotesi di scuola, perché non voglio parlare del problema concreto: quando succede che in un Paese qualsiasi ci sono due, tre quattro candidati che non danno soddisfazione a tutti, significa che la vita politica di quel paese forse è troppo politicizzata ma non ha tanta cultura politica. Uno dei compiti della Chiesa e dell’insegnamento nelle facoltà è di insegnare ad avere cultura politica. Ci sono paesi – penso all’America latina – che sono troppo politicizzati ma non hanno cultura politica, senza un pensiero chiaro sulle basi, sulle proposte».
La testimonianza per la storia è più importante del testamento di un Papa? Glielo chiedo perché Giovanni Paolo II aveva lasciato detto che bruciassero le sue lettere e invece sono finite su un libro.
«Lei dice di un Papa che indica di bruciare le sue carte, le sue lettere. Ma questo è il diritto di ogni uomo e ogni donna. Ha il diritto di farlo prima di morire. Chi non ha rispettato quella volontà sarà colpevole, non lo so, non conosco bene il caso. Di tanta gente non è stato rispettato il testamento».
Dopo l’incontro con il patriarca, lei ha visto la possibilità di una futura cooperazione e dialogo tra le Chiese ortodossa e cattolica?
«Io ho avuto due sorprese in Georgia. Una è la Georgia. Mai ho immaginato tanta cultura, tanta fede, tanta cristianità. Un popolo credente e una cultura cristiana antichissima, un popolo di tanti martiri. Ho scoperto una cosa che non conoscevo: la larghezza di questa fede georgiana. La seconda sorpresa è stato il patriarca: è un uomo di Dio, quest’uomo mi ha commosso. Le volte che l’ho incontrato sono uscito con il cuore commosso, ho trovato un uomo di Dio. Sulle cose che ci uniscono e ci separano, io dirò: non mettiamoci a discutere le cose di dottrina, questo lasciamolo ai teologi, loro sanno farlo meglio di noi, discutono e sono bravi, sono buoni, quelli di una parte e dell’altra. Che cosa dobbiamo fare noi, popolo? Pregare gli uni per gli altri. E fare cose insieme: ci sono i poveri, lavoriamo per i poveri; c’è un problema, lavoriamo insieme; ci sono i migranti, lavoriamo insieme per gli altri. Possiamo farlo. Questo è il cammino dell’ecumenismo e con buona volontà si può, si deve fare. Oggi l’ecumenismo si deve fare camminando insieme e pregando insieme. Ma la Georgia è meravigliosa, non me lo aspettavo: cristiana fino nel midollo».
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Il video servizio a cura del CENTRO TELEVISIVO VATICANO
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di Andrea Tornielli per Vatican Insider
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