La povertà va in scena ma non è fiction. Sotto i riflettori, sulle assi del palcoscenico, si muove il senza fissa dimora, l’immigrato fa la sua battuta, con lui la donna che mangia alla mensa dove le offrono un pasto, altrimenti sarebbe digiuno.
Alla scuola dei poveri
Si recita, ma il copione è scritto dai drammi veri di questi attori di un solo giorno, che vogliono raccontare alla gente comune che anche tra i muri della miseria più nera l’amore può sempre aprire la porta del riscatto:
“Chi mai pensa che un senza dimora sia una persona da cui imparare? Chi pensa che possa essere un santo? Invece questa sera sarete voi a fare del palcoscenico un luogo da cui trasmetterci preziosi insegnamenti sull’amore, sul bisogno dell’altro, sulla solidarietà, su come nelle difficoltà si trova l’amore del Padre”.
“Voi non siete un peso”
Papa Francesco non c’è ma si capisce che vorrebbe esseri lì, seduto in mezzo al pubblico del Brancaccio, a vivere un’esperienza che ha pochi paragoni – Lui, Pastore universale, alla scuola della “carne di Cristo”, dove la forma scenica dà visibilità e forma estetica a tante storie, tutte declinazioni dell’amore: verso i genitori, verso una donna, verso i propri figli, verso Dio e il bene del prossimo. Sogni e sentimenti che diventano teatro senza perdere un filo di realismo, basta guardare i segni sul viso di chi recita, gente che da sempre occupa i primi posti nella platea del cuore del Papa:
“Voi per noi non siete un peso. Siete la ricchezza senza la quale i nostri tentativi di scoprire il volto del Signore sono vani. Pochi giorni dopo la mia elezione, ho ricevuto da voi una lettera di auguri e di offerta di preghiere. Ricordo di avervi immediatamente risposto dicendovi che vi porto nel cuore e che sono a vostra disposizione. Confermo quelle parole. In quell’occasione vi avevo chiesto di pregare per me. Rinnovo la richiesta. Ne ho veramente bisogno”.
Chiesa di Roma, maestra di “pietas”
A un tratto, il videomessaggio di Francesco è un elenco di romani con l’anima del Buon Samaritano – dal martire Lorenzo a don Luigi Di Liegro, fondatore della Caritas romana – e quindi un lungo grazie agli operatori e ai volontari Caritas, di Roma e d’Italia, che con il loro farsi prossimi scoprono – dice – “un mondo che chiede attenzione e solidarietà: uomini e donne che cercano affetto, relazione, dignità, e insieme ai quali – sottolinea Francesco – tutti possiamo sperimentare la carità imparando ad accogliere, ascoltare e a donarsi”:
“Quanto vorrei che Roma potesse brillare di ‘pìetas’ per i sofferenti, di accoglienza per chi fugge da guerra e morte, di disponibilità, di sorriso e di magnanimità per chi ha perduto la speranza. Quanto vorrei che la Chiesa di Roma si manifestasse sempre più madre attenta e premurosa verso i deboli. Tutti abbiamo debolezze, tutti ne abbiamo, ciascuno le proprie. Quanto vorrei che le comunità parrocchiali in preghiera, all’ingresso di un povero in chiesa, si inginocchiassero in venerazione allo stesso modo come quando entra il Signore!”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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