Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Gli umili sono i veri vincitori, solo assumendo la loro forza si può realizzare la volontà di Dio. Nello speciale giorno della Perdonanza celestiniana, per L’Aquila e per la Chiesa tutta, Francesco, con il pensiero al santo Papa Celestino V – non l’uomo del ‘no’, ma l’uomo del ‘sì’ – parla degli umili che, sebbene possano apparire deboli e perdenti, “in realtà sono i veri vincitori, perché sono gli unici che confidano completamente nel Signore e conoscono la sua volontà”:
Nello spirito del mondo, che è dominato dall’orgoglio, la Parola di Dio di oggi ci invita a farci umili e miti. L’umiltà non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie. A partire proprio dalle nostre miserie, l’umiltà ci fa distogliere lo sguardo da noi stessi per rivolgerlo a Dio, Colui che può tutto e ci ottiene anche quanto da soli non riusciamo ad avere.
La forza degli umili, sottolinea il Papa, “è il Signore, non le strategie, i mezzi umani, le logiche di questo mondo, i calcoli …no, è il Signore”:
In tal senso, Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è Misericordia.
La misericordia è “il cuore stesso del Vangelo”, indica il Papa, perché significa “saperci amati nella nostra miseria: vanno insieme. Non si può capire la misericordia se noi non capiamo la propria miseria“. “Essere credenti – quindi – non significa accostarsi a un Dio oscuro e che fa paura”, bensì accostarsi “a Gesù, il Figlio di Dio, che è la Misericordia del Padre e l’Amore che salva”. “Ma la misericordia è Lui: soltanto con la misericordia può parlare la propria miseria. Se qualcuno di noi pensa di arrivare alla misericordia per un altro cammino che non sia la propria miseria, ha sbagliato strada. Per questo è importante capire la propria realtà”. L’Aquila, nei secoli, ha mantenuto vivo il dono di Celestino V:
È il privilegio di ricordare a tutti che con la misericordia, e solo con essa, la vita di ogni uomo e di ogni donna può essere vissuta con gioia. Misericordia è l’esperienza di sentirci accolti, rimessi in piedi, rafforzati, guariti, incoraggiati. Essere perdonati è sperimentare qui e ora ciò che più si avvicina alla risurrezione. Il perdono è passare dalla morte alla vita, dall’esperienza dell’angoscia e della colpa a quella della libertà e della gioia.
La Basilica di Collemaggio, è l’augurio di Francesco, possa essere luogo di riconciliazione, di grazia, dove poter “sperimentare quella Grazia che ci rimette in piedi e ci dà un’altra possibilità. Il nostro Dio è il Dio delle possibilità: quante volte, Signore? Una, sette, settante volte sette … È il Dio che ti dà sempre un’altra possibilità”. Possa essere luogo di perdono, “non solo una volta all’anno, ma sempre, tutti i giorni”, perché “è attraverso il perdono ricevuto e donato”, che si costruisce la pace:
Ma, partire dalla propria miseria e guardare lì, come arrivare al perdono, perché anche nella propria miseria sempre troveremo qualcosa di luce che è la strada per andare al Signore. È Lui che fa la luce nella miseria.
La potenza della misericordia di Dio che entra nella miseria delle nostre vite, muove un passaggio a braccio del Papa:
Oggi al mattino, per esempio, ho pensato a questo, quando eravamo arrivati a L’Aquila e non potevamo atterrare: nebbia fitta, tutto scuro, non si poteva.
Il pilota dell’elicottero girava, girava, girava, girava … alla fine ha visto un piccolo buco e è entrato lì, è riuscito: un maestro. E ho pensato nella miseria: con la miseria succede lo stesso, con la propria miseria. Tante volte lì, guardando chi siamo, niente, meno di niente, e giriamo, giriamo … ma alle volte il Signore fa un piccolo buco: “Mettiti lì dentro, sono le piaghe del Signore. E lì è la misericordia, ma è nella tua miseria. C’è il buco che nella tua miseria il Signore fa per poterti far entrare”. Misericordia che viene nella tua, nella mia, nella nostra miseria.
A chi, dopo il terremoto, tenta di rialzarsi e rimettersi in piedi, Francesco rivolge una speciale raccomandazione, che poi estende a tutti:
Chi ha sofferto deve poter fare tesoro della propria sofferenza, deve comprendere che nel buio sperimentato gli è stato fatto anche il dono di capire il dolore degli altri. Voi potete custodire il dono della misericordia perché conoscete cosa significa perdere tutto, veder crollare ciò che si è costruito, lasciare ciò che vi era più caro, sentire lo strappo dell’assenza di chi si è amato. Voi potete custodire la misericordia perché avete fatto l’esperienza della miseria.
Chiunque nella vita può far esperienza di un terremoto, seppur “dell’anima”, che però fa entrare in contatto “con la propria fragilità, i propri limiti, la propria miseria”. Anche in questo caso si può essere perdenti ma, anziché incattivirsi, si possono imparare umiltà e mitezza, “le caratteristiche di chi ha il compito di custodire e testimoniare la misericordia”:
Eh sì, perché la misericordia quando viene da noi è perché noi la custodiamo, anche perché noi possiamo dare testimonianza di questa misericordia. È un dono per me, la misericordia, misero, ma questa misericordia dev’essere anche trasmessa agli altri come dono da parte del Signore.
E se si intraprende la strada sbagliata, suggerisce Francesco, c’è un campanello che lo fa capire, è il pensiero di dover occupare un primo posto:
Troppe volte si pensa di valere in base al posto che si occupa in questo mondo. L’uomo non è il posto che detiene, ma è la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce.
La vita del cristiano “non è una carriera alla maniera di questo mondo”, ma lo è “alla maniera di Dio”, venuto “per servire e non per essere servito”:
Finché non comprenderemo che la rivoluzione del Vangelo sta tutta in questo tipo di libertà, continueremo ad assistere a guerre, violenze e ingiustizie, che altro non sono che il sintomo esterno di una mancanza di libertà interiore. Lì dove non c’è libertà interiore, si fanno strada l’egoismo, l’individualismo, l’interesse, la sopraffazione e tutte queste miserie. E prendono il comando, le miserie.
L’augurio del Papa è che L’Aquila “sia davvero capitale di perdono, capitale di pace e di riconciliazione!” e che l’intercessione di Maria, Salvezza del popolo aquilano, “ottenga per il mondo intero il perdono e la pace”. “La consapevolezza della propria miseria è la bellezza della misericordia”.
Parole, queste di Francesco, che vengono riprese nel saluto dal cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo metropolita de L’Aquila, al termine della messa, quando dice che la “Porta Santa della Perdonanza verrà aperta non solo ai pellegrini che visiteranno questi luoghi, ma sarà spalancata sul mondo intero”, nella speranza che i popoli tutti, soprattutto chi vive conflitti e divisioni, possano idealmente varcarla, per “ritrovare le vie della solidarietà e della pace”.
La visita pastorale del Papa è, per il porporato, espressione del “ministero di riconciliazione”, testimonianza di “carità samaritana” e di consolazione. Petrocchi, nel ricordare il terremoto del 2009 e le sue vittime, parla degli altri conseguenti terremoti, quelli di tipo spirituale, psicologico e relazionale, “che hanno prodotto ferite profonde nella mente e nei sentimenti della nostra gente, sconvolgendo tradizioni e stili di vita consolidati.” Di fronte alla tragedia non c’è però stata resa, bensì un “alba della resurrezione” sostenuta dalla fede e che ha permesso di aprirsi verso “un avvenire promettente”. La speranza di Petrocchi è che attraverso l’”evento-epocale” della visita del Papa, la Perdonanza possa stringere “in un abbraccio universale, tutti coloro che soffrono a causa di violenze e divisioni, promuovendo, secondo il progetto di Dio, la civiltà dell’unità e della concordia.”.
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