Debora Donnini – Città del Vaticano
Alla scuola di Maria impariamo “il protagonismo autentico”, non quello del maltrattare o della violenza fisica ma quello che non ha paura della tenerezza e della carezza, per ridare dignità a tutto ciò che è caduto. L’omelia di Papa Francesco nella festa della Beata Vergine Maria di Guadalupe è un inno alla figura della Vergine intessuta sul Magnificat. La Basilica di San Pietro si accende di festa e di canti, realizzati dal Coro della Cappella Sistina e da quello del Collegio Pio Latino Americano. Un segno tangibile d’amore e devozione alla Morenita, patrona di tutti i popoli di lingua spagnola e soprattutto del Continente latinoamericano.
Varie volte si parla di questo camminare di Maria, nota il Papa. “Camminò fino a Tepeyac” per accompagnare Juan Diego e continua a camminare per il Continente quando, per mezzo di un’immagine, di una candela, di un rosario o di un’Avemaria, “entra in una casa, nella cella di un carcere, nella sala di un ospedale, in una casa di riposo, in una scuola, in una clinica per la riabilitazione”. Una donna che cammina con tenerezza e delicatezza e “scioglie tutti i nodi dei tanti guai che riusciamo a generare”. Il Papa vuole, dunque, sottolineare che “alla scuola di Maria” si impara a camminare per giungere ai piedi di tante vite che hanno perso, o non hanno più, la speranza:
Alla scuola di Maria impariamo a camminare per il quartiere e per la città, non con le scarpe comode di soluzioni magiche, riposte istantanee ed effetti immediati; non a forza di promesse fantastiche di uno pseudo-progresso che, poco a poco, non fa altro che usurpare identità culturali e familiari e svuotare i nostri popoli di quel tessuto vitale che li ha sostenuti, e ciò con il proposito presuntuoso di stabilire un pensiero unico e uniforme.
Il Papa esorta, invece, a nutrire il cuore con la ricchezza multiculturale che abita il Continente e ad ascoltare quel cuore nascosto che custodisce, “come un fuocherello sotto apparenti ceneri”, “il senso di Dio e della sua trascendenza, la sacralità della vita, il rispetto per il creato, i legami di solidarietà, la gioia dell’arte del buon vivere e la capacità di essere felici e di far festa senza condizioni”.
Maria, poi, al suo passaggio suscita il canto: come accade con Giovanni che sussulta nel grembo di sua madre o con l’anziano Simeone. Questo fa dire al Papa che “alla scuola di Maria impariamo che la vita è segnata non dal protagonismo, ma dalla capacità di far sì che siano gli altri protagonisti”. Soprattutto Maria “incoraggia a vivere l’audacia della fede e della speranza”. Come fece con l’indio Juan Diego, e con tanti altri, rendendoli protagonisti della “nostra storia di salvezza”. La gloria del Signore, che non cerca l’ammirazione mondana, sta nel “rendere i propri figli protagonisti del creato”.
Alla scuola di Maria impariamo il protagonismo che non ha bisogno di umiliare, maltrattare, screditare, o deridere gli altri per sentirsi valido o importante; che non ricorre alla violenza fisica o psicologia per sentirsi sicuro e protetto. È il protagonismo che non ha paura della tenerezza e della carezza, e che sa che il suo volto migliore è il servizio. Alla sua scuola impariamo il protagonismo autentico, a ridare dignità a tutto ciò che è caduto e a farlo con la forza onnipotente dell’amore divino, che è la forza irresistibile della sua promessa di misericordia.
In Maria, quindi, il Signore “smentisce la tentazione di dare il protagonismo alla forza dell’intimidazione e del potere, al grido del più forte o del farsi valere sulla base della menzogna e della manipolazione”. Con Maria il Signore custodisce i credenti affinché “possano conoscere costantemente” la solidarietà. La Vergine di Guadalupe – conclude il Papa – “Madre di una terra feconda e generosa in cui tutti, in un modo o nell’altro, possiamo incontrarci”, svolgendo un ruolo da protagonista “nella costruzione del Tempio santo della famiglia di Dio”. “Figlio e fratello latinoamericano – esorta il Papa – senza paura, canta e cammina come ha fatto tua Madre”.
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