Su La Civiltà Cattolica le parole del Pontefice nel colloquio con i gesuiti durante il recente viaggio in Africa
“Vi chiedo di pregare per me”: Papa Francesco lo dice alla fine di ogni incontro, che sia una udienza o un Angelus. Da qualche tempo ha anche aggiunto: “Ne ho davvero bisogno”. Una sorta di “elemosina”, questa richiesta di preghiera, come lui stesso ha detto nell’incontro con 24 confratelli gesuiti di Mozambico e Madagascar nel recente viaggio in Africa, ai quali ha spiegato anche il perché. “È importante che la gente preghi per il Papa e per le sue intenzioni. Il Papa è tentato, è molto assediato: solo la preghiera del suo popolo può liberarlo, come si legge negli Atti degli Apostoli”. A riferire le parole del pontefice, di questi incontri a porte chiuse, è su Civiltà Cattolica il direttore padre Antonio Spadaro. “Quando Pietro era imprigionato, la Chiesa ha pregato incessantemente per lui. Se la Chiesa prega per il Papa, questo è una grazia. Io davvero – dice Francesco – sento continuamente il bisogno di chiedere l’elemosina della preghiera”.
Il pastore della Chiesa universale. Ma anche un semplice “padre”, un uomo come gli altri che ha bisogno della grazia di Dio e del sostegno del suo popolo per vivere al meglio il proprio ministero di servizio totale a Cristo e all’uomo. Nel dialogo con i gesuiti africani pubblicato come anteprima del prossimo quaderno de La Civiltà Cattolica, le tre dimensioni appaiono perfettamente complementari, unite senza distinzioni, capaci di disegnare una figura di grande spessore spirituale, di intensa profondità, eppure capace di parlare a tutti.
«L’elezione a Papa – confida Francesco rispondendo a uno scolastico (equivalente di un seminarista diocesano) – non mi ha convertito di colpo, in modo da rendermi meno peccatore di prima. Io sono e resto un peccatore. Per questo mi confesso ogni due settimane. Non c’è alcuna magia nell’essere eletto Papa. Il Conclave non funziona per magia».
Durante il suo viaggio in Mozambico, per la precisione giovedì 5 settembre, il Pontefice ha incontrato in forma privata un gruppo di 24 gesuiti. Il testo anticipato da La Civiltà Cattolica è la trascrizione completa di quel dialogo, un botta e risposta in cui Bergoglio ribadisce la netta differenza tra l’evangelizzazione, che «libera» e il proselitismo che invece fa perdere la libertà e «prevede sempre gente in un modo o nell’altro assogettata. Nell’evangelizzazione il protagonista è Dio, nel proselitismo è l’io».
All’incontro in Mozambico erano presenti, sotto la guida del padre provinciale Chiedza Chimhanda, 20 gesuiti del Paese ospitante, 3 dello Zimbabwe, un portoghese. Parlando con loro Francesco ha indicato nella «fissazione morale esclusiva sul sesto comandamento» una delle dimensioni del clericalismo, grave distorsione della vita consacrata. «Ci si concentra sul sesso – spiega il Papa citando l’insegnamento di un “grande gesuita” – e poi non si dà peso all’ingiustizia sociale, alla calunnia, ai pettegolezzi, alle menzogne». Ma decisamente pericoloso e anticristiano è anche l’atteggiamento di rifiuto dell’accoglienza, la filosofia di chi alza barriere, l’indifferenza verso i poveri, l’ostilità nei confronti del diverso, dello straniero.
«La xenofobia – spiega – distrugge anche il popolo di Dio». E ancora: «costruire muri significa condannarsi a morte. Non possiamo vivere asfissiati da una cultura da sala operatoria, asettica». Ma per capirlo pienamente, per dare spazio al vento liberante dello Spirito, c’è bisogno della preghiera, quella che Bergoglio chiede alla fine di ogni incontro. «È importante che la gente preghi per il Papa e per le sue intenzioni. Il Papa è tentato, è molto assediato: solo la preghiera del suo popolo può liberarlo, come si legge negli Atti degli apostoli. Quando Pietro era imprigionato, la Chiesa ha pregato incessantemente per lui. Se la Chiesa prega per il Papa, questo è una grazia. Io davvero sento continuamente il bisogno di chiedere l’elemosina della preghiera. La preghiera del popolo sostiene».
La preghiera – riferisce la versione on line del sito Avvenire – , dunque, come esercizio di svuotamento di sé per lasciare spazio all’azione dello Spirito, come via per comprendere e seguire la volontà del Padre su di noi, come antidoto alla vita comoda. Condizione che mal si coniuga con il Vangelo, con la condizione dei cristiani all’acqua di rosa. «Quando noi entriamo in questo tepore, in questo atteggiamento di tiepidezza spirituale – ha detto ieri il Papa durante la Messa in Casa Santa Marta –, trasformiamo la nostra vita in un cimitero. C’è soltanto chiusura perché non entrino dei problemi come questa gente che “sì, sì, siamo nelle rovine ma non rischiamo: meglio così. Già siamo abituati a vivere così”».
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