Tiziana Campisi – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Una visita indimenticabile: definisce così Francesco il suo viaggio apostolico in Iraq un anno fa, ed esterna emozione e gioia parlando stamani ai rappresentanti delle diverse Chiese cristiane del Paese incontrati nella Biblioteca del Palazzo Apostolico. Il Papa ricorda che le terre irachene sono terre assai significative, perché quelle degli “inizi delle antiche civiltà del Medio Oriente” e della storia della salvezza, “degli inizi cristiani” e delle prime missioni e anche “terre di esuli” – come gli ebrei – o dalle quali molti cristiani sono stati costretti all’esilio a causa di persecuzioni e guerre “che si sono succedute fino ai nostri giorni”.
Le vostre comunità appartengono alla storia più antica dell’Iraq e hanno conosciuto momenti veramente tragici, ma hanno offerto coraggiose testimonianze di fedeltà al Vangelo. Di questo ringrazio Dio ed esprimo a voi la mia riconoscenza. Mi inchino davanti alla sofferenza e al martirio di coloro che hanno custodito la fede anche a prezzo della vita.
L’auspicio di Francesco è che il sangue “di questi numerosi martiri del nostro tempo, appartenenti a diverse tradizioni”, come quello di Cristo che ha fatto fiorire la Chiesa, possa essere “seme di unità tra i cristiani e segno di una nuova primavera della fede”. Il Papa descrive poi “le relazioni fraterne” che esistono oggi fra le Chiese irachene, i “molteplici legami di collaborazione nel campo della pastorale” e “della formazione al servizio ai più poveri” e la radicata comunione tra i cristiani, incoraggia a proseguire su questa strada, con iniziative concrete e il dialogo costante e aggiunge:
Desidero affermare ancora una volta che non è possibile immaginare l’Iraq senza i cristiani. Questa convinzione non si basa solo su un fondamento religioso, ma su evidenze sociali e culturali. L’Iraq senza cristiani non sarebbe più l’Iraq, perché i cristiani insieme agli altri credenti contribuiscono fortemente all’identità specifica del Paese, un luogo in cui la convivenza, la tolleranza, l’accettazione reciproca, sono fiorite fin dai primi secoli, un luogo che ha la vocazione di mostrare il Medio Oriente nel mondo la pacifica convivialità delle differenze.
Per tale motivo, per il Pontefice, nulla “deve essere lasciato intentato affinché i cristiani continuino a sentire che l’Iraq è casa loro e che sono cittadini a pieno titolo chiamati a dare il loro contributo alla terra dove hanno sempre vissuto”. Da qui l’invito ai pastori del popolo di Dio, ad essere “sempre dediti e solerti ad assistere e confortare” i fedeli, ad essere loro vicini e a testimoniare con l’esempio e “la condotta di vita evangelica la prossimità e la tenerezza di Gesù, buon pastore”.
Ma ci sono pure le relazioni con le altre religioni da curare, e ai cristiani dell’Iraq, che dai tempi apostolici vivono fianco a fianco con differenti fedi, Francesco chiede impegno “affinché le religioni siano a servizio della fraternità”, offrano un prezioso apporto per costruirla e difendano, inoltre, la giustizia nella società.
Voi sapete bene che il dialogo interreligioso non è questione di pura cortesia. No. Va oltre. Non è questione di negoziazione o di diplomazia. No. Va oltre. È un cammino di fratellanza proteso alla pace, un cammino spesso faticoso, ma che specialmente in questi tempi Dio chiede e benedice. È un percorso che ha bisogno di pazienza e comprensione, ma ci fa crescere come cristiani perché richiede l’apertura del cuore e l’impegno ad essere concretamente operatori di pace. Porsi in dialogo è anche il miglior antidoto all’estremismo che è un pericolo per ogni aderente ad ogni religione e una grave minaccia alla pace.
Perché forme di estremismo sono anche il clericalismo e la rigidità, dice il Papa, che esorta a “lavorare per sradicare le cause remote dei fondamentalismi di questi estremismi che attecchiscono più facilmente in contesti di povertà materiale, culturale ed educativa e vengono alimentati da situazioni di ingiustizia e di precarietà come quelli lasciati dalle guerre”.
E sono tante, osserva il Pontefice, quelle che ha vissuto l’Iraq, così come le “nefaste interferenze” che lo hanno colpito. Ora il Paese “ha bisogno di uno sviluppo autonomo e coeso”, rileva Francesco, “senza che, come troppe volte è tristemente accaduto, venga danneggiato da interessi esterni”, perché “ha la propria dignità, la propria libertà e non può essere ridotto a un campo di guerra”.
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