Il Papa sulla tomba del parroco di Bozzolo. Il discorso propone la testimonianza di don Primo come modello a tutti i preti: «Non ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata»
«Il Signore, che ha sempre suscitato nella santa madre Chiesa pastori e profeti secondo il suo cuore, ci aiuti oggi a non ignorarli ancora. Perché essi hanno visto lontano, e seguirli ci avrebbe risparmiato sofferenze e umiliazioni». Francesco parla nella parrocchia di San Pietro a Bozzolo (Mantova) dopo aver pregato sulla tomba di don Primo Mazzolari, uno dei due modelli che il Papa intende mostrare alla Chiesa con l’omaggio di questa mattina, che subito dopo lo porterà a Barbiana per onorare la memoria di don Lorenzo Milani.
Quello di Bergoglio è un discorso meditato e lungo – all’inizio confida ai fedeli che gli hanno consigliato di accorciarlo, ma non ci è riuscito – che appare rivolto a tutta la Chiesa italiana e non soltanto italiana. «Don Mazzolari – dice – non si è tenuto al riparo dal fiume della vita, dalla sofferenza della sua gente… Non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata». E il suo «sguardo misericordioso ed evangelico sull’umanità lo ha portato a dare valore anche alla necessaria gradualità: il prete non è uno che esige la perfezione, ma che aiuta ciascuno a dare il meglio».
Al suo arrivo, poco prima delle 9 nel campo sportivo di Bozzolo, Francesco è stato accolto dal vescovo di Cremona nella cui diocesi si trova Bozzolo (la provincia invece è Mantova) e dal sindaco. Poco dopo è stato accolto dal parroco nella parrocchia di San Pietro: ha salutato i ragazzi assiepati lungo il percorso, quindi e qui si è fermato a pregare in silenzio davanti alla tomba di don Mazzolari. Dopo il saluto del vescovo, Francesco ha pronunciato in chiesa il suo discorso.
«Oggi sono pellegrino qui a Bozzolo e poi a Barbiana, sulle orme di due parroci che hanno lasciato una traccia luminosa, per quanto “scomoda”, nel loro servizio al Signore e al popolo di Dio. Ho detto più volte che i parroci sono la forza della Chiesa in Italia. Quando sono i volti di un clero non clericale, essi danno vita ad un vero e proprio “magistero dei parroci”, che fa tanto bene a tutti». Il Papa ha ricordato le radici di don Primo, quelle della tradizione cristiana «di questa terra padana», e ha ribadito di ritenere questo sacerdote «il parroco d’Italia».
Bergoglio è concentrato sull’attualità del suo messaggio, ripercorrendolo attraverso tre immagini, quella del fiume, quella della cascina e quella della pianura. Ha spiegato che il fiume è simbolo «del primato e della potenza della grazia di Dio che scorre incessantemente verso il mondo». La parola di don Primo, «predicata o scritta, attingeva chiarezza di pensiero e forza persuasiva alla fonte della Parola del Dio vivo, nel Vangelo meditato e pregato, ritrovato nel Crocifisso e negli uomini, celebrato in gesti sacramentali mai ridotti a puro rito. Don Mazzolari, parroco a Cicognara e a Bozzolo, non si è tenuto al riparo dal fiume della vita, dalla sofferenza della sua gente, che lo ha plasmato come pastore schietto ed esigente, anzitutto con sé stesso».
La profezia di don Primo «si realizzava nell’amare il proprio tempo, nel legarsi alla vita delle persone che incontrava, nel cogliere ogni possibilità di annunciare la misericordia di Dio. Don Mazzolari non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata».
Bergoglio, rifacendosi a uno scritto del parroco di Bozzolo intitolato “La parrocchia”, ha quindi parlato di tre rischi, «tre strade che non conducono nella direzione evangelica», tutte attualissime nel fotografare l’oggi della Chiesa. La prima di queste è la strada del “lasciar fare”, quella «di chi sta alla finestra a guardare senza sporcarsi le mani. Ci si accontenta di criticare, di “descrivere con compiacimento amaro e altezzoso gli errori” del mondo intorno. Questo atteggiamento mette la coscienza a posto, ma non ha nulla di cristiano perché porta a tirarsi fuori, con spirito di giudizio, talvolta aspro. Manca una capacità propositiva, un approccio costruttivo alla soluzione dei problemi».
Il secondo metodo sbagliato è quello dell’“attivismo separatista”. «Ci si impegna a creare istituzioni cattoliche (banche, cooperative, circoli, sindacati, scuole…). Così la fede si fa più operosa, ma – avvertiva Mazzolari – può generare una comunità cristiana elitaria. Si favoriscono interessi e clientele con un’etichetta cattolica. E, senza volerlo, si costruiscono barriere che rischiano di diventare insormontabili all’emergere della domanda di fede. Si tende ad affermare ciò che divide rispetto a quello che unisce. È un metodo che non facilita l’evangelizzazione, chiude porte e genera diffidenza».
Il terzo errore è il “soprannaturalismo disumanizzante”. «Ci si rifugia – dice il Papa – nel religioso per aggirare le difficoltà e le delusioni che si incontrano. Ci si estranea dal mondo, vero campo dell’apostolato, per preferire devozioni. È la tentazione dello spiritualismo. Ne deriva un apostolato fiacco, senza amore». Don Primo scriveva: «I lontani non si possono interessare con una preghiera che non diviene carità, con una processione che non aiuta a portare le croci dell’ora».
Citando l’immagine della cascina, che per don Mazzolari era una «famiglia di famiglie», il Pontefice ha ricordato che anche il parroco di «pensava a una Chiesa in uscita, quando meditava per i sacerdoti con queste parole: “Per camminare bisogna uscire di casa e di Chiesa, se il popolo di Dio non ci viene più; e occuparsi e preoccuparsi anche di quei bisogni che, pur non essendo spirituali, sono bisogni umani e, come possono perdere l’uomo, lo possono anche salvare. Il cristiano si è staccato dall’uomo, e il nostro parlare non può essere capito se prima non lo introduciamo per questa via, che pare la più lontana ed è la più sicura. Per fare molto, bisogna amare molto”».
.
.
La parrocchia, ha aggiunto Francesco «è il luogo dove ogni uomo si sente atteso, un “focolare che non conosce assenze”. Don Mazzolari è stato un parroco convinto che “i destini del mondo si maturano in periferia”, e ha fatto della propria umanità uno strumento della misericordia di Dio, alla maniera del padre della parabola evangelica, così ben descritta nel libro “La più bella avventura”. Egli è stato giustamente definito il “parroco dei lontani”, perché li ha sempre amati e cercati, si è preoccupato non di definire a tavolino un metodo di apostolato valido per tutti e per sempre, ma di proporre il discernimento come via per interpretare l’animo di ogni uomo».
Questo sguardo misericordioso ed evangelico sull’umanità ha portato don Primo «a dare valore anche alla necessaria gradualità: il prete non è uno che esige la perfezione, ma che aiuta ciascuno a dare il meglio. “Accontentiamoci di ciò che possono dare le nostre popolazioni. Abbiamo del buon senso! Non dobbiamo massacrare le spalle della povera gente”». Francesco si è fermato e ha ripetuto scandendo le parole e indirizzandole a tutti i preti italiani e a tutti i preti del mondo: «Non dobbiamo massacrare le spalle della povera gente!». Quindi ha continuato: «E se, per queste aperture», don Primo «veniva richiamato all’obbedienza, la viveva in piedi, da adulto, e contemporaneamente in ginocchio, baciando la mano del suo vescovo, che non smetteva di amare».
Infine, il terzo scenario è quello della grande pianura. «Chi ha accolto il “Discorso della montagna” non teme di inoltrarsi, come viandante e testimone, nella pianura che si apre, senza rassicuranti confini». «Vi incoraggio, fratelli sacerdoti – ha detto il Papa – ad ascoltare il mondo, chi vive e opera in esso, per farvi carico di ogni domanda di senso e di speranza, senza temere di attraversare deserti e zone d’ombra. Così possiamo diventare Chiesa povera per e con i poveri, la Chiesa di Gesù». Don Mazzolari, ha aggiunto il Pontefice, «non ha fatto proselitismo», perché il proselitismo non è cristiano, «come ha spiegato Benedetto XVI», ricordando che la Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione.
.
.
Francesco ha anche ricordato che Mazzolari ha vissuto da prete povero. Nel suo testamento spirituale scriveva: «Intorno al mio altare come intorno alla mia casa e al mio lavoro non ci fu mai “suon di denaro”. Il poco che è passato nelle mie mani è andato dove doveva andare». E nel suo scritto “La via crucis del povero”, don Primo spiegava che la carità è questione di spiritualità e di sguardo: «Chi ha poca carità vede pochi poveri; chi ha molta carità vede molti poveri; chi non ha nessuna carità non vede nessuno». E aggiunge: «Chi conosce il povero, conosce il fratello: chi vede il fratello vede Cristo, chi vede Cristo vede la vita e la sua vera poesia, perché la carità è la poesia del cielo portata sulla terra».
Il Papa ha concluso «insieme a tutti i bravi preti, i bravi parroci d’Italia» invitando a far tesoro della testimonianza di don Primo, e ha chiesto aiuto a Dio perché «ci aiuti oggi» a non ignorare ancora i profeti, «perché essi hanno visto lontano, e seguirli ci avrebbe risparmiato sofferenze e umiliazioni». E al termine ha recitato una eloquente preghiera composta da Mazzolari. «Sei venuto per tutti: per coloro che credono e per coloro che dicono di non credere. Gli uni e gli altri, a volte questi più di quelli, lavorano, soffrono, sperano perché il mondo vada un po’ meglio… Nessuno è fuori della salvezza, o Signore, perché nessuno è fuori del tuo amore, che non si sgomenta né si raccorcia per le nostre opposizioni o i nostri rifiuti».
+++ Il video servizio a cura del CENTRO TELEVISIVO VATICANO +++
.
.
di Andrea Tornielli per Vatican Insider