Categorie: Sancta Sedes

Papa Francesco e i movimenti

Preservare la freschezza del carisma e un “pensiero aperto” che non pretende di codificare l’intuizione originaria del fondatore

Nel suo discorso a conclusione del III Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali, svoltosi a Roma il 20-22 novembre 2014, papa Francesco ha indicato ai loro rappresentanti tre punti per una vera maturità ecclesiale: la freschezza del carisma, il rispetto della libertà delle persone, il perseguimento della comunione interna ed esterna, con tutta la Chiesa. Se il terzo punto è condizione di ogni autentica missione, il secondo è basilare per evitare i settarismi tipici dei fenomeni comunitari. Nella Chiesa la comunione sorge solo nella libera adesione, non da coercizioni sottili o dalla pressione della consuetudo. E questo tanto più oggi, in un tempo in cui la fragilità psicologica e l’insicurezza soggettiva spingono verso soluzioni non problematiche, protettive. Secondo il Papa: «Bisogna resistere alla tentazione di sostituirsi alla libertà delle persone e a dirigerle senza attendere che maturino realmente. Ogni persona ha il suo tempo, cammina a modo suo e dobbiamo accompagnare questo cammino. Un progresso morale o spirituale ottenuto facendo leva sull’immaturità della gente è un successo apparente, destinato a naufragare». La pazienza degli educatori ha come mira la formazione di personalità libere: né gregari, né funzionari. Il Papa ha qui presente non solo le chiusure asfittiche di certi ambienti religiosi, segnati da un dispotismo interno, ma anche la burocratizzazione che ha contraddistinto la Chiesa nel corso degli ultimi decenni: il doppio clericalismo che vede gli ecclesiastici concentrati sulle loro “funzioni” clericali e il laicato come oggetto passivo di decisioni prese altrove. Rispetto a questa deriva la “stagione dei movimenti”, che ha segnato la Chiesa negli anni ’70-’80, ha costituito, certamente, un valido contrappeso, una sorgente di speranza per tutto il popolo cristiano.

I Movimenti hanno dimostrato che il rinnovamento conciliare era reale, che la Chiesa era una vera «communio», che la secolarizzazione e la scristianizzazione non erano il destino necessario del moderno. Questa stagione è sembrata declinare, dalla primavera all’autunno, nel passaggio dal vecchio millennio al nuovo. Non solo l’episcopato, almeno in Italia, è sembrato meno attento, dopo l’89 e il tramonto del comunismo storico, ai movimenti ecclesiali ma, anch’essi, si sono progressivamente “intiepiditi”. Chi per “separazione” dal mondo, chi per eccessiva “immersione”, le realtà ecclesiali laicali hanno perso quello slancio missionario che le aveva caratterizzate. Così i principali soggetti che si erano opposti alla burocratizzazione ecclesiastica ne sono rimasti condizionati. Il risultato è che la vita comunitaria si è irrigidita, spesso, nella vuota ritualità di gesti sempre identici, di incontri programmati, di parole ripetute prive di carne e di sangue. Il tutto segnato da un progressivo ritrarsi e chiudersi al mondo.

Questo processo, che ha segnato tutta la Chiesa nel corso dell’ultimo ventennio, è l’oggetto principe della preoccupazione del Papa il quale, da responsabile della Compagnia di Gesù in Argentina, ha bene conosciuto i rischi a cui va incontro una comunità ecclesiale quando si concentra su di sé, diviene autoreferenziale. Nell’intervista La porta è sempre aperta

(Milano 2013) con p. Antonio Spadaro, Francesco afferma: «La Compagnia è un’istituzione in tensione, sempre radicalmente in tensione. Il gesuita è decentrato. La Compagnia è in se stessa decentrata: il suo centro è Cristo e la sua Chiesa. Dunque: se la compagnia tiene Cristo e la Chiesa al centro, ha due punti fondamentali di riferimento del suo equilibrio per vivere in periferia. Se invece guarda troppo a se stessa, mette sé al centro come struttura ben solida, molto ben “armata”, allora corre il pericolo di sentirsi sicura e sufficiente» (pp. 29-30). La Compagnia, come qualsiasi movimento ecclesiale, non deve procedere ad una compiuta istituzionalizzazione del carisma originario, né deve preoccuparsi di una sua compiuta sistematizzazione. «Quando si esplicita troppo, si corre il rischio di equivocare. La Compagnia si può dire solo in forma narrativa. Solamente nella narrazione si può fare discernimento, non nella esplicazione filosofica o teologica, nelle quali invece si può discutere. […] Il gesuita deve essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto. Ci sono state epoche nella Compagnia nelle quali si è vissuto un pensiero chiuso, rigido, più istruttivo-ascetico che mistico» (pp. 30-31).

Quanto Francesco richiede qui ai “suoi” gesuiti è la stessa cosa che richiede oggi ai movimenti: un “pensiero aperto”. Ne ha parlato, magnificamente, il p. Antonio Spadaro nel suo Elogio del «pensiero incompleto» di papa Francesco, raccolto nel volume degli Atti del Meeting 2014: Le periferie dell’umano (Rizzoli 2014). Un pensiero aperto è un pensiero che non pretende di codificare l’intuizione originaria del fondatore. Il carisma, da questo punto di vista, può conservarsi solo se non esita a rischiarsi, se si dilata ed acquisisce altre forme, secondo il tempo, se si sublima in espressioni sempre più ricche. Per questo dei tre punti richiamati nel suo intervento rivolto ai Movimenti, del novembre 2014, il punto più importante è il primo. «Anzitutto è necessario preservare la freschezza del carisma: che non si rovini quella freschezza! Freschezza del carisma! Rinnovando sempre il “primo amore” (cfr. Ap 2, 4). Con il tempo infatti cresce la tentazione di accontentarsi, di irrigidirsi in schemi rassicuranti, ma sterili. La tentazione di ingabbiare lo Spirito: questa è una tentazione! Tuttavia, “la realtà è più importante dell’idea” (cfr Esort. Ap. Evangelii gaudium, 231-233); se una certa istituzionalizzazione del carisma è necessaria per la sua stessa sopravvivenza, non bisogna illudersi che le strutture esterne possano garantire l’azione dello Spirito Santo. La novità delle vostre esperienze non consiste nei metodi e nelle forme, novità, che pure sono importanti, ma nella disposizione a rispondere con rinnovato entusiasmo alla chiamata del Signore: è questo coraggio evangelico che ha permesso la nascita dei vostri movimenti e nuove comunità. Se forme e metodi sono difesi per sé stessi diventano ideologici, lontani dalla realtà che è in continua evoluzione, chiusi alla novità dello Spirito, finiranno per soffocare il carisma stesso che li ha generati. Occorre tornare sempre alle sorgenti dei carismi e ritroverete lo slancio per affrontare le sfide. Voi non avete fatto una scuola di spiritualità così; non avete fatto una istituzione di spiritualità così; non avete un gruppetto… No! Movimento! Sempre sulla strada, sempre in movimento, sempre aperto alle sorprese di Dio, che vengono in sintonia con la prima chiamata del movimento, quel carisma fondamentale».

di Massimo Borghesi , filosofo per Terre D’America

Link utili: http://www.terredamerica.com/

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