Tiziana Campisi – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Francesco sceglie il dialogo tra Gesù e Pietro che chiude Vangelo di Giovanni per sviluppare la sua quindicesima catechesi sulla vecchiaia all’udienza generale. È quello in cui Gesù chiede a Pietro per tre volte “Mi ami?”, e gli rivela poi il modo in cui terminerà i giorni della sua vita. Un colloquio dal quale il Papa prende lo spunto per formulare diversi interrogativi e invitare tutti ad un esame di coscienza.
Com’è il nostro rapporto con Cristo? È aperto, franco, diretto, umanamente reale, come quello fra Gesù e Pietro? Oppure è distaccato e il nostro è “un cammino di fede molto astratto, molto autoreferenziale, molto mondano”?
Il Pontefice avverte che non è questa la strada di Gesù: “Lui si comporta come uomo, Lui ci parla come uomo, Dio-uomo. Con questa tenerezza, con questa amicizia, con questa vicinanza”, “non è come quell’immagine zuccherosa delle immaginette”, ma è alla mano, “è vicino a noi”.
Ma è poi sulla vecchiaia e sul tempo della vita, sul tempo della testimonianza, che Francesco si sofferma analizzando la conversazione fra Gesù e Pietro. “Quando eri giovane eri autosufficiente, quando sarai vecchio non sarai più così padrone di te e della tua vita” è come se dicesse Gesù a Pietro, spiega il Papa ironizzando anche sulle proprie condizioni di salute, che lo costringono a muoversi su una sedia a rotelle.
Il Pontefice esorta ad accettare le malattie della vecchiaia e la perdita delle forze giovanili, ma a continuare ad essere testimoni di Cristo “anche nella debolezza, nella malattia e nella morte”. E cita Sant’Ignazio di Loyola: “Così come nella vita, anche nella morte dobbiamo dare testimonianza di discepoli di Gesù”.
Quindi rimarca che “il fine vita dev’essere un fine vita di discepoli: di discepoli di Gesù” e che “il Signore ci parla sempre secondo l’età che abbiamo”. Il senso dell’ammonimento di Gesù a Pietro, precisa Francesco, è che la sequela “dovrà imparare a lasciarsi istruire e plasmare” dalla fragilità, dall’impotenza, dalla dipendenza dagli altri.
La sequela di Gesù va sempre avanti, con buona salute, con non buona salute, autosufficiente, non con autosufficienza fisica, ma la sequela di Gesù è importante: seguire Gesù sempre, a piedi, di corsa, lentamene, in carrozzina, ma seguirlo sempre.
Insomma, “la sapienza della sequela deve trovare la strada per rimanere nella sua professione di fede (…) anche nelle condizioni limitate della debolezza e della vecchiaia”.
Questo colloquio tra Gesù e Pietro contiene un insegnamento prezioso per tutti i discepoli, per tutti noi credenti. E anche per tutti gli anziani. Imparare dalla nostra fragilità ad esprimere la coerenza della nostra testimonianza di vita nelle condizioni di una vita largamente affidata ad altri, largamente dipendente dall’iniziativa di altri.
E se “con la malattia, con la vecchiaia, la dipendenza cresce e non siamo più autodipendenti come prima”, nota il Papa, “anche lì matura la fede, anche lì c’è Gesù con noi, anche lì sgorga quella ricchezza della fede ben vissuta durante la strada della vita”. Ma occorre riflettere: quando ci si ritrova deboli, disponiamo di una spiritualità capace di interpretare tale stagione di vita “affidata ad altri, più che alla potenza della nostra autonomia”?
“Come si rimane fedeli alla sequela vissuta, all’amore promesso, alla giustizia cercata nel tempo della nostra capacità di iniziativa, nel tempo della fragilità, nel tempo della dipendenza, del congedo, nel tempo di allontanarsi dal protagonismo della nostra vita?”. Cosa non facile, osserva il Pontefice, allontanarsi dall’essere protagonista.
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