Giorni intensi quelli trascorsi da Papa Francesco in Armenia. Intensi dal lato sociale, ma soprattutto da quello spirituale. L’aereo dell’Alitalia su cui viaggia Papa Francesco, il suo seguito e i giornalisti accreditati sul volo, sorvolerà lo spazio aereo di sei paesi, tra questi c’è anche la Turchia. L’arrivo all’aeroporto di Roma-Ciampino è previsto per le 20.40. Con ogni probabilità prima di rientrare nella sua casa in Vaticano, Papa Francesco si recherà in preghiera alla basilica di Santa Maria Maggiore per ringraziare la Salus Populi Romani a cui prima di partire aveva chiesto la benedizione.
«Imploriamo i capi delle nazioni di ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani che hanno urgente bisogno di pane, non di armi». Così scrivono Papa Francesco e il Catholicos Karekin II nella dichiarazione congiunta che hanno firmato nel pomeriggio di domenica 26 giugno, nel palazzo apostolico di Etchmiadzin. Un testo che era stato annunciato quando venne reso noto il programma del viaggio, ma negli ultimi giorni sembrava potesse non esserci.
E’ stato uno degli ultimi passaggi ufficiali prima del rientro in Vaticano.
Francesco e Karekin II – scrive Andrea Tornielli su Vatican Insider – ringraziano Dio «per la continua e crescente vicinanza nella fede e nell’amore tra la Chiesa apostolica armena e la Chiesa cattolica nella loro comune testimonianza al messaggio del Vangelo in un mondo lacerato da conflitti e desideroso di conforto e speranza». Viene citata la celebrazione nella basilica di San Pietro presieduta dal Papa nell’aprile 2015 per commemorare il centesimo anniversario del «Grande Male», lo sterminio di un milione e mezzo di armeni per mano dei turchi. Si cita nuovamente la dichiarazione congiunta sottoscritta quindici anni fa dallo stesso Karekin II e da Giovanni Paolo II, affermando che questo stermino «generalmente viene definito come il primo genocidio
del XX secolo».Quindi dal passato si torna a guardare al presente: «Siamo purtroppo testimoni di un’immensa tragedia – affermano i capi delle due Chiese – che avviene davanti ai nostri occhi: di innumerevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio da continui conflitti a base etnica, politica e religiosa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo».
«Ne consegue che le minoranze etniche e religiose – si legge ancora nella dichiarazione – sono diventate l’obiettivo di persecuzioni e di trattamenti crudeli, al punto che tali sofferenze a motivo dell’appartenenza ad una confessione religiosa sono divenute una realtà quotidiana. I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un “ecumenismo del sangue” che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo».
Dopo aver pregato gli apostoli fondatori delle rispettive Chiese affinché cambino il cuore di «tutti quelli che commettono tali crimini e in coloro che sono in condizione di fermare la violenza», Francesco e Karekin rivolgono un appello ai responsabili degli Stati: «Imploriamo i capi delle nazioni di ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani, che attendono con ansia pace e giustizia nel mondo, che chiedono il rispetto dei diritti loro attribuiti da Dio, che hanno urgente bisogno di pane, non di armi».
«Proprio perché siamo cristiani, siamo chiamati a cercare e sviluppare vie di riconciliazione e di pace. A questo proposito esprimiamo anche la nostra speranza per una soluzione pacifica delle questioni riguardanti il Nagorno-Karabakh ». Il Papa e Karekin II chiedono «ai fedeli delle nostre Chiese di aprire i loro cuori e le loro mani alle vittime della guerra e del terrorismo, ai rifugiati e alle loro famiglie. È in gioco il senso stesso della nostra umanità, della nostra solidarietà, compassione e generosità, che può essere espresso in modo appropriato solamente mediante un immediato e pratico impiego di risorse».
«Riconosciamo che tutto ciò è già stato fatto, ma ribadiamo che molto di più si richiede da parte dei responsabili politici e della comunità internazionale al fine di assicurare il diritto di tutti a vivere in pace e sicurezza, per sostenere lo stato di diritto, per proteggere le minoranze religiose ed etniche, per combattere il traffico e il contrabbando di esseri umani».
Un passaggio della dichiarazione è dedicato alla famiglia: «La secolarizzazione di ampi settori della società, la sua alienazione da ciò che è spirituale e divino, conduce inevitabilmente ad una visione desacralizzata e materialistica dell’uomo e della famiglia umana. A questo riguardo siamo preoccupati per la crisi della famiglia in molti Paesi». Le due Chiese «condividono la medesima visione della famiglia, basata sul matrimonio, atto di gratuità e di amore fedele tra un uomo e una donna».
Infine, il documento parla delle relazioni tra armeni apostolici e cattolici. «Siamo convinti dell’importanza cruciale di sviluppare queste relazioni, intraprendendo una profonda e più decisiva collaborazione non solo in campo teologico, ma anche nella preghiera e in un’attiva cooperazione a livello delle comunità locali, nella prospettiva di condividere una piena comunione ed espressioni concrete di unità. Esortiamo i nostri fedeli a lavorare in armonia per promuovere nella società i valori cristiani, che contribuiscono efficacemente alla costruzione di una civiltà di giustizia, di pace e di solidarietà umana».
La dichiarazione congiunta era presente nel programma iniziale del viaggio, ma durante il briefing sul viaggio, martedì 21 giugno, padre Federico Lombardi aveva annunciato che per il momento non era più prevista. Lasciando dunque intendere che c’erano state delle difficoltà. È probabile che riguardassero i passaggi relativi al genocidio dove probabilmente da parte armena si volevano parole più forti e citazione delle responsabilità della Turchia. Il documento comune alla fine c’è stato, ed è un segno ulteriore dei rapporti davvero buoni tra le due Chiese.
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