Giada Aquilino – Città del Vaticano
Nei “mesi travagliati” di un’epidemia con effetti “sconvolgenti e inaspettati”, abbiamo sentito “più che mai viva” la riconoscenza per i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, “in prima linea nello svolgimento di un servizio arduo e a volte eroico”, anche a costo della vita, “colonne portanti” di un’Italia in piena emergenza da coronavirus. Papa Francesco riprende le udienze in Vaticano ricevendo le delegazioni della Lombardia, una delle regioni più colpite dal Covid-19, insieme al Piemonte, all’Emilia Romagna e al Veneto, abbracciandole tutte “idealmente”, dice subito. Ora, nota, è il momento di “fare tesoro” dell’energia “positiva” e della “speranza” nate da quell’impegno profuso “con professionalità e abnegazione”, senza cadere nella pretesa “illusoria” di puntare tutto su se stessi, di “fare dell’individualismo il principio-guida della società”, dimenticando che “abbiamo tutti bisogno di un Padre” al quale affidare le nostre preghiere (Ascolta il servizio con le parole del Papa).
Dopo le parole introduttive del presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, il saluto del Pontefice si estende all’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ai vescovi di Bergamo, Brescia, Cremona, Crema e Lodi, con le altre autorità presenti. Quindi ai medici, agli infermieri, agli operatori sanitari, a quelli della Protezione civile, agli Alpini e poi ai sacerdoti e alle persone consacrate. Francesco pensa anche a Vo’ Euganeo, il Comune veneto profondamente segnato dalla pandemia, oggi rappresentato dal vicario del vescovo di Padova, come pure all’
Ospedale “Spallanzani” di Roma, “presidio medico che – sottolinea – si è molto prodigato nel contrasto al virus”.Il Papa ripercorre questa prima parte del 2020 ed evidenzia come le varie realtà della società italiana si siano “sforzate di fronteggiare l’emergenza sanitaria con generosità e impegno”, dalle istituzioni nazionali e regionali ai Comuni, dalle diocesi e comunità parrocchiali e religiose alle tante associazioni di volontariato.
Abbiamo sentito più che mai viva la riconoscenza per i medici, gli infermieri e tutti gli operatori sanitari, in prima linea nello svolgimento di un servizio arduo e a volte eroico. Sono stati segno visibile di umanità che scalda il cuore. Molti di loro si sono ammalati e alcuni purtroppo sono morti, nell’esercizio della professione. Li ricordiamo nella preghiera con tanta gratitudine.
La presenza “affidabile e generosa” del personale medico e paramedico, sottolinea il Pontefice, ha costituito in questo tempo il “punto di riferimento sicuro” prima di tutto per i malati, ma in maniera “davvero speciale” per i familiari, che “non avevano la possibilità di fare visita ai loro cari”.
Hanno trovato in voi, operatori sanitari, quasi delle altre persone di famiglia, capaci di unire alla competenza professionale quelle attenzioni che sono concrete espressioni di amore. I pazienti hanno sentito spesso di avere accanto a sé degli “angeli”, che li hanno aiutati a recuperare la salute e, nello stesso tempo, li hanno consolati, sostenuti, e a volte accompagnati fino alle soglie dell’incontro finale con il Signore. Questi operatori sanitari, sostenuti dalla sollecitudine dei cappellani degli Ospedali, hanno testimoniato la vicinanza di Dio a chi soffre; sono stati silenziosi artigiani della cultura della prossimità e della tenerezza.
Anche e soprattutto, aggiunge il Papa, nelle “piccole cose”, nelle “carezze” e non solo.
Anche con il telefonino, collegare quell’anziano che stava per morire con il figlio, con la figlia per congedarli, per vederli l’ultima volta…; piccoli gesti di creatività di amore… Questo ha fatto bene a tutti noi. Testimonianza di prossimità e di tenerezza.
Francesco assicura a medici e infermieri come il mondo abbia potuto vedere il bene profuso in una situazione di “grande prova”.
Anche se esausti, avete continuato a impegnarvi con professionalità e abnegazione. Quanti, medici e paramedici, infermieri, non potevano andare a casa e dormivano lì, dove potevano perché non c’erano letti, nell’ospedale!
Un impegno insomma che “genera speranza”.
Siete stati una delle colonne portanti dell’intero Paese. A voi qui presenti e ai vostri colleghi di tutta Italia vanno la mia stima e il mio grazie sincero, e so bene di interpretare i sentimenti di tutti.
L’invito è dunque a “fare tesoro” dell’energia “positiva” investita. È una ricchezza che – osserva – “in parte, certamente, è andata ‘a fondo perduto’, nel dramma dell’emergenza” ma “in buona parte può e deve portare frutto per il presente e il futuro della società lombarda e italiana”.
La pandemia ha segnato a fondo la vita delle persone e la storia delle comunità. Per onorare la sofferenza dei malati e dei tanti defunti, soprattutto anziani, la cui esperienza di vita non va dimenticata, occorre costruire il domani: esso richiede l’impegno, la forza e la dedizione di tutti. Si tratta di ripartire dalle innumerevoli testimonianze di amore generoso e gratuito, che hanno lasciato un’impronta indelebile nelle coscienze e nel tessuto della società, insegnando quanto ci sia bisogno di vicinanza, di cura, di sacrificio per alimentare la fraternità e la convivenza civile. E, guardando al futuro, mi viene in mente quel discorso, nel lazzaretto, di Fra Felice, nel Manzoni [Promessi sposi, cap. 36°]: con quanto realismo guarda alla tragedia, guarda alla morte, ma guarda al futuro e porta avanti.
In tal modo, aggiunge, potremo uscire da questa crisi “spiritualmente e moralmente” più forti. Ciò dipende, spiega, dalla coscienza e dalla responsabilità di ognuno di noi, non “da soli”, bensì “insieme e con la grazia di Dio”. Perché come credenti ci “spetta” testimoniare che “Dio non ci abbandona, ma dà senso in Cristo anche a questa realtà e al nostro limite; che con il suo aiuto si possono affrontare le prove più dure”.
Dio ci ha creato per la comunione, per la fraternità, ed ora più che mai si è dimostrata illusoria la pretesa di puntare tutto su sé stessi – è illusorio – di fare dell’individualismo il principio-guida della società. Ma stiamo attenti perché, appena passata l’emergenza, è facile scivolare, è facile ricadere in questa illusione. È facile dimenticare alla svelta che abbiamo bisogno degli altri, di qualcuno che si prenda cura di noi, che ci dia coraggio. Dimenticare che, tutti, abbiamo bisogno di un Padre che ci tende la mano. Pregarlo, invocarlo, non è illusione; illusione è pensare di farne a meno! La preghiera è l’anima della speranza.
Il Papa ricorda poi come in questi mesi le persone non abbiano potuto partecipare “di presenza” alle celebrazioni liturgiche, non smettendo comunque di “sentirsi comunità”, pregando singolarmente o in famiglia, anche attraverso i mezzi di comunicazione sociale, “spiritualmente uniti e percependo che l’abbraccio del Signore andava oltre i limiti dello spazio”.
Lo zelo pastorale e la sollecitudine creativa dei sacerdoti hanno aiutato la gente a proseguire il cammino della fede e a non rimanere sola di fronte al dolore e alla paura.
Francesco parla di una “creatività sacerdotale” che “ha vinto alcune, poche, espressioni ‘adolescenti’ contro le misure dell’autorità, che ha l’obbligo di custodire la salute del popolo”. “La maggior parte – prosegue – sono stati obbedienti e creativi”.
Ho ammirato lo spirito apostolico di tanti sacerdoti, che andavano con il telefono, a bussare alle porte, a suonare alle case: “Ha bisogno di qualcosa? Io le faccio la spesa…”. Mille cose. La vicinanza, la creatività, senza vergogna. Questi sacerdoti che sono rimasti accanto al loro popolo nella condivisione premurosa e quotidiana: sono stati segno della presenza consolante di Dio. Sono stati padri, non adolescenti. Purtroppo non pochi di loro sono deceduti, come anche i medici e il personale paramedico. E anche tra voi ci sono alcuni sacerdoti che sono stati malati e grazie a Dio sono guariti. In voi ringrazio tutto il clero italiano, che ha dato prova di coraggio e di amore alla gente.
Rinnovando l’apprezzamento per l’impegno in tale “situazione faticosa e complessa”, la benedizione finale del Papa – impartita nel rispetto delle “disposizioni” di questo periodo – va alle comunità di quelle terre, affidandole alla Vergine Maria, lì venerata in numerosi santuari e chiese. A tutti i medici, paramedici, volontari, sacerdoti, religiosi, laici dice di non dimenticare il lavoro svolto, richiamando ancora alla mente I Promessi Sposi di Manzoni:
Avete incominciato un miracolo. Abbiate fede e, come diceva quel sarto, teologo mancato: “Mai ho trovato che Dio abbia incominciato un miracolo senza finirlo bene” [Manzoni, Promessi sposi, cap. 24°]. Che finisca bene questo miracolo che voi avete incominciato!
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