E’ un forte invito a rinnovare la Chiesa perché diventi una rete capillare di famiglie che annunciano il Vangelo quello che il Papa ha rivolto stamani ricevendo in udienza i circa 400 partecipanti al corso promosso dal Tribunale della Rota Romana.
Debora Donnini – Città del Vaticano
Davanti alle “ferite sanguinanti” delle coppie di sposi che si trovano in situazioni dolorose, la Chiesa non passerà mai oltre. Nell’intenso discorso ai circa 400 partecipanti al Corso promosso dal Tribunale della Rota Romana, il Papa si concentra su due focus: da una parte assicura la sollecitudine materna della Chiesa dinanzi alle ferite delle coppie di sposi, e dall’altra ricorda che il matrimonio cristiano è legato alla missione di annunciare Cristo e dunque la formazione deve coltivare questa vocazione. Da qui, infine, il Papa esorta i pastori a sostenere questo processo perché “la Chiesa si rinnovi” diventando comunità di famiglie missionarie. Centrale per questo, come per il discernimento nelle cause ecclesiastiche, l’opera dello Spirito Santo.
All’inizio del discorso il Papa ringrazia monsignor Pio Vito Pinto, Decano della Rota Romana, e i relatori, ricordando che il corso si è concentrato su due temi: la tutela del matrimonio e la cura pastorale delle coppie ferite.
Le tipologie esposte non possono essere trattate con un approccio “meramente burocratico”, “quasi meccanico”: bisogna invece entrare nel vissuto delle persone che soffrono e hanno sete di serenità e felicità.
Tante sono le cause delle ferite del matrimonio oggi: psicologiche, fisiche, ambientali, culturali, a volte provocate dalla chiusura del cuore all’amore, dal peccato.
Vorrei solo dire che queste cause scavano solchi profondi e amari nel cuore delle persone coinvolte, ferite sanguinanti, dinanzi alle quali la Chiesa non riuscirà mai a passare oltre girando la faccia dall’altra parte.
È per questo che la Chiesa, quando incontra queste realtà di coppie ferite, prima di tutto piange e soffre con loro; si avvicina con l’olio della consolazione, per lenire e curare; essa vuole caricare su di sé il dolore che incontra.
E se, poi, si sforza di essere imparziale e oggettiva nel ricercare la verità di un matrimonio infranto, la Chiesa non è mai estranea né umanamente, né spiritualmente a quanti soffrono.
Non riesce mai ad essere impersonale o fredda di fronte a queste tristi e travagliate storie di vita.
Per questo, anche nei suoi procedimenti canonici e giurisprudenziali, “cerca sempre e solo il bene delle persone ferite”, cerca la verità del loro amore, non avendo altro in mente che “sostenere la loro giusta e desiderata felicità” che è prima di tutto un dono che viene da Dio.
Per questa opera di discernimento è essenziale la presenza dello Spirito Santo:
Ogni causa ecclesiastica che affronta un matrimonio ferito, e dunque gli operatori, i giudici, le parti coinvolte, i testimoni, devono sempre prima di tutto affidarsi allo Spirito Santo, perché, guidati da Lui, possano ascoltare con giusto criterio, sappiano esaminare, discernere e giudicare. E questo è molto importante! Un processo non è una cosa matematica, puramente di vedere chi pesa più dell’altro motivo. No. C’è lo Spirito Santo che deve guidare il processo, sempre. Se non c’è lo Spirito Santo, non è ecclesiale, quello che noi faremo.
Il Papa ricorda che San Paolo paragona il matrimonio cristiano all’unione di Cristo con la Chiesa, suo corpo, che egli ama fino al sacrificio della croce.
Pertanto i coniugi cristiani sono chiamati “a camminare con la Chiesa e nella Chiesa, a camminare insieme nella via della santità”, vivendo il matrimonio cristiano come “un cammino di fede”, unione intima degli sposi che sono “le colonne” della Chiesa domestica, dice richiamandosi al Concilio Vaticano II, ad Amoris laetitia e alla Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II.
Nelle comunità parrocchiali e diocesane – prosegue – si avverte sempre più oggi la necessità di quel prezioso ministero degli sposi nella Chiesa: “un ministero missionario che annuncia che Cristo è vivo e operante”.
“Questo Sacramento non si improvvisa”, chiarisce però Papa Francesco, ma bisogna prepararsi da fidanzati. Non è infatti sufficiente solo raggiungere una buona integrazione psicologica, affettiva, relazionale e progettuale:
Ciò significa coltivare, all’interno della vocazione cristiana, la vocazione particolare a diventare discepoli missionari come sposi, testimoni del Vangelo nella vita familiare, lavorativa, sociale, là dove il Signore li chiama; la vocazione a manifestare la bellezza della loro appartenenza a Lui e a dare ragione di quel “di più” di vita e di amore, che è l’epifania nel mondo della speranza cristiana offerta da Cristo.
È il Concilio Vaticano II, il Magistero della Chiesa, ma prima di tutto è la Parola di Dio che addita questo alto traguardo apostolico e missionario insito nel Sacramento del matrimonio.
Un esempio ne sono Aquila e Priscilla, amici e collaboratori di San Paolo, ai quali il Papa ha dedicato la catechesi dell’udienza generale dello scorso 13 novembre.
Quindi, chi prepara le coppie di sposi deve aiutarle a diventare cellule apostoliche della comunità parrocchiali:
È lo Spirito Santo che opera questa sinergia, e dunque lo Spirito va invocato, anche per questo processo apostolico, che non è facile, ma non è impossibile.
Incoraggio i Pastori, vescovi e sacerdoti, a promuovere, sostenere e accompagnare questo processo, così che la Chiesa si rinnovi diventando sempre più una rete capillare di comunità di famiglie testimoni e missionarie del Vangelo.
Nel saluto introduttivo monsignor Pinto aveva infatti sottolineato l’importanza che in ogni famiglia ci sia la presenza di Gesù, perché gli sposi possano, a loro volta, testimoniare il Signore.
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