In meno di tre mesi, Papa Francesco visiterà due volte il Continente americano. Dopo la visita in America Latina, sarà la volta di Cuba e Stati Uniti, quasi i due tempi di uno stesso grande avvenimento. Sull’importanza di questi viaggi del primo Papa latinoamericano, Alessandro Gisotti ha intervistato il prof. Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina:
R. – Il Papa ha voluto cominciare la sua visita pastorale in America Latina dalle periferie emergenti: Ecuador, Bolivia e Paraguay. Adesso si prepara al viaggio a Cuba … in una Cuba – grazie a Dio – già pienamente inserita all’interno della famiglia dei Paesi latinoamericani. Dunque ci sarà una continuità, ma allo stesso tempo gli Stati Uniti, una grande nazione, che merita un messaggio a sé che ricollego all’America Latina alla luce della Ecclesia in America… questo rapporto sempre più forte di comunione tra le Chiese e di solidarietà tra i popoli di tutto il Continente americano, che viene da quell’intuizione profetica di San Giovanni Paolo II, quando convocò il Sinodo per l’America. Ci sarà un nesso evidente che ricollegherei anche ad un’altra prospettiva: è importante che gli Stati Uniti accolgano il messaggio che il Papa darà riguardo la loro società complessa, sulla responsabilità internazionale di questo grande Paese ma, allo stesso tempo, è importante che gli Stati Uniti sappiano rispecchiarsi nelle proprie periferie.
D. – In America Latina abbiamo visto in modo straordinario la dimensione del vescovo con il suo popolo: questa “Chiesa di popolo” può dare nuova energia anche ai cristiani un po’ stanchi dell’Occidente?
R. – A me non piace presentare la Chiesa latinoamericana come un “modello”. La Chiesa latinoamericana è importante per tutta la cattolicità, perché più del 40 percento dei cattolici vive in essa; oggi la Chiesa cattolica in America Latina è posta dalla Provvidenza di Dio in una situazione molto singolare: il primo Papa latinoamericano della storia della Chiesa! E la Chiesa, i popoli, le nazioni dell’America Latina devono confrontarsi con questo fatto sorprendente che affascina la nostra gente, la pone in movimento. Io sono preoccupato, non tanto di porre la Chiesa latinoamericana a modello, ma di sottolineare la grave responsabilità che la Chiesa latinoamericana ha di saper cogliere questo tempo sorprendente di grazia, tempo favorevole dell’evangelizzazione, di assumere fino in fondo la domanda del Papa di una conversione personale che radichi sempre più il Vangelo a fondo nel cuore delle persone, dei latinoamericani; una conversione pastorale che forse vuol dire, prima di tutto, conversione dei pastori. Abbiamo la testimonianza eloquente del pastore universale, una conversione missionaria: riprendere con forza la missione continentale, uscire, andare verso coloro che sono più lontani e poi una conversione alla solidarietà per amore preferenziale ai poveri, come il Papa ci sta dicendo e mostrando coerentemente giorno dopo giorno.
D. – A proposito degli ultimi: in alcuni ambienti anche negli Stati Uniti è stato criticato come “pauperista” il grande discorso di Francesco ai movimenti popolari tenuto in Bolivia. Qual è la sua opinione a riguardo? Lei era lì con Papa Francesco …
R. – È stato un discorso duro, dobbiamo riconoscerlo, un discorso nel quale Papa Francesco ha tentato di tradurre con coraggio, con creatività il patrimonio del grande pensiero sociale della Chiesa confrontandolo con l’esperienza delle organizzazioni popolari molto diverse tra di loro; non era certamente un incontro facile. Chi legge il discorso seriamente, onestamente, si rende conto, in filigrana, che il Papa sviluppa questi tre grandi pilastri della Dottrina Sociale della Chiesa: dignità della persona, sussidiarietà e solidarietà. Quell’amore del pastore per i poveri non ha nulla di “pauperismo” e men che meno di “pauperismo ideologico”. Il Papa è pastore che vede e si commuove in ogni incontro con i poveri, questo sguardo del pastore che fa sue le sofferenze dei poveri che portano nelle proprie piaghe ciò che ancora manca alla Passione di Cristo. Se non c’è questa commozione nel cuore e nell’anima, allora il rapporto con i poveri diventa assistenzialista o politico ideologico. Il Papa sa bene che questa situazione di povertà, di disuguaglianza che soffrono i poveri, si spiega all’interno di un sistema idolatrico del denaro che è alla base di queste disuguaglianze, di questi sfruttamenti, di queste situazioni di povertà, di violenza e di distruzione della natura.
D. – Francesco visiterà Cuba e gli Stati Uniti dopo lo storico disgelo trai due Paesi. La cultura dell’incontro, si potrebbe dire, cammina sulle gambe del Papa. C’è dunque anche un significato politico in senso alto di questo viaggio?
R. – C’è ancora un cammino da percorrere nel quale la Santa Sede certamente non sarà disinteressata o assente. Poi il Papa parlerà al Congresso degli Stati Uniti e all’Assemblea delle Nazioni Unite. Ci si può immaginare dunque che questo viaggio sia segnato da questa alta politica alla quale lei fa riferimento. Ma per il Papa anche questi risvolti che noi chiamiamo di “alta politica” sono posti all’interno di una prospettiva pastorale. Sono convinto che se parliamo al Papa dell’alta politica nei viaggi non gli piacerebbe affatto perché essenzialmente è pastore! E va a Cuba non con il primo scopo di continuare ad essere presente nel dialogo tra Cuba e Stati Uniti! No, va a Cuba innanzitutto per confermare la fede dei cubani. Il Papa va soprattutto per questo.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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