1. Anche quest’anno, la Giornata Mondiale dell’Alimentazione si fa eco del grido di tanti nostri fratelli e sorelle che in diverse parti del mondo mancano del cibo quotidiano. D’altra parte, essa ci fa riflettere sull’enorme quantità di alimenti sprecati, sui prodotti distrutti, sulle speculazioni sui prezzi in nome del dio profitto. È questo, uno dei paradossi più drammatici del nostro tempo al quale assistiamo con impotenza, ma spesso anche con indifferenza, “incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, [… ] come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete” (Evangelii Gaudium, 54).
Nonostante i progressi che si stanno realizzando in molti Paesi, i dati recenti continuano ancora a presentare una situazione inquietante, alla quale ha contribuito la generale diminuzione dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Ma volgendo lo sguardo oltre quei dati, si nota un aspetto del problema che non ha ancora ricevuto tutta la dovuta considerazione quando si formulano politiche e piani d’azione: coloro che soffrono dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione sono persone e non numeri, e proprio per la loro dignità di persone vengono prima di ogni calcolo o progetto economico.
Anche il tema proposto dalla FAO per la presente Giornata – Agricoltura familiare: Nutrire il mondo, preservare il pianeta –mette in risalto la necessità di partire dalle persone, come individui o come gruppi, per proporre nuove forme e modi di gestione dei differenti aspetti della nutrizione. Nello specifico, occorre riconoscere sempre di più il ruolo della famiglia rurale e sviluppare tutte le sue potenzialità. Quest’anno dedicato all’agricoltura familiare, che ormai volge al termine, è servito a constatare ancora una volta che la famiglia rurale è in grado di rispondere alla domanda di alimenti senza distruggere le risorse della creazione. Ma, a tal fine, dobbiamo porre attenzione alle sue necessità, non solo tecniche, ma anche umane, spirituali, sociali e, d’altra parte, dobbiamo apprendere dalla sua esperienza, dalla sua capacità di lavoro, e soprattutto da quel legame d’amore, di solidarietà e di generosità che esiste tra i suoi membri e che è chiamato a diventare un modello per la vita sociale.
La famiglia, infatti, favorisce il dialogo tra le diverse generazioni e pone le basi per una vera integrazione sociale, oltre a rappresentare quella auspicata sinergia tra il lavoro agricolo e la sostenibilità: chi più della famiglia rurale è preoccupato di preservare la natura per le generazioni che verranno? E chi più di essa ha a cuore la coesione tra le persone e i gruppi sociali? Certo, le normative e le iniziative a favore della famiglia, a livello locale, nazionale e internazionale sono molto lontane dalle sue esigenze reali e questa è una lacuna da colmare. È importante che si parli di famiglia rurale e che si celebrino anni internazionali per ricordarne la sua rilevanza, ma ciò non è sufficiente: queste riflessioni devono essere seguite da iniziative concrete.
2. Difendere le comunità rurali di fronte alle gravi minacce determinate dall’azione umana o dai disastri naturali non deve essere solo una strategia, ma un’azione permanente mirata a favorire la sua partecipazione nella presa di decisioni, a rendere accessibili tecnologie appropriate e ad estendere il loro uso, sempre nel rispetto dell’ambiente naturale. Agire in questo modo può modificare la forma di effettuare la cooperazione internazionale e di aiutare gli affamati e i malnutriti.
Mai come in questo momento il mondo ha bisogno di unità tra le persone e tra le Nazioni per superare le divisioni esistenti e i conflitti in atto, e soprattutto per cercare concrete vie d’uscita da una crisi che è globale, ma il cui peso ricade maggiormente sui poveri. Lo dimostra proprio l’insicurezza alimentare: se è vero che interessa in diversa misura tutti i Paesi, nondimeno essa colpisce prima e più di altre la parte più debole della popolazione mondiale. Pensiamo agli uomini e alle donne, di ogni età e condizione, che sono vittime di sanguinosi conflitti e del loro seguito di distruzione e di miseria, tra cui la mancanza di una casa, di cure mediche e di educazione. Fino a perdere ogni speranza di una vita dignitosa. Verso di loro abbiamo degli obblighi, anzitutto di solidarietà e di condivisione. Questi obblighi non possono limitarsi alla distribuzione di alimenti, che può rimanere solo un gesto “tecnico”, più o meno efficace, ma che termina quando finisce ciò che è destinato a tal fine.
Condividere, invece, vuol dire farsi prossimo di tutti gli esseri umani, riconoscerne la comune dignità, capirne le necessità e sostenerli nel porvi rimedio, con lo stesso spirito di amore che si vive in famiglia. Questo stesso amore ci porta a preservare il creato come il bene comune più prezioso da cui dipende non un astratto futuro del pianeta ma la vita della famiglia umana a cui è stato affidato. Questa attenzione richiede un’educazione e una formazione capaci di integrare i diversi approcci culturali, le usanze, le modalità lavorative locali senza sostituirle in nome di una presunta superiorità culturale o tecnica.
3. Per sconfiggere la fame non basta superare le carenze di chi è più sfortunato o assistere con aiuti e donativi coloro che vivono situazioni di emergenza. Bisogna piuttosto cambiare il paradigma delle politiche di aiuto e di sviluppo, modificare le regole internazionali in materia di produzione e commercio dei prodotti agricoli, garantendo ai Paesi in cui l’agricoltura rappresenta la base dell’economia e della sopravvivenza un’autodeterminazione del proprio mercato agricolo.
Fino a quando si continuerà a difendere sistemi di produzione e di consumo che escludono la maggior parte della popolazione mondiale anche dalle briciole che cadono dalle mense dei ricchi? E’ arrivato il tempo di pensare e decidere partendo da ogni persona e comunità e non dall’andamento dei mercati. Per conseguenza, dovrebbe cambiare anche il modo di intendere il lavoro, gli obiettivi e l’attività economica, la produzione alimentare e la protezione dell’ambiente. Questa è forse l’unica possibilità per costruire un autentico futuro di pace, oggi minacciato pure dall’insicurezza alimentare.
Questo approccio, che lascia intravedere una nuova idea di cooperazione, dovrebbe interessare e coinvolgere gli Stati, le Istituzioni internazionali e le organizzazioni della società civile come pure le comunità di credenti che, con le loro molteplici opere, vivono insieme con gli ultimi e ne condividono le stesse situazioni e necessità, le frustrazioni e le speranze.
Da parte sua la Chiesa cattolica, mentre prosegue la sua attività caritativa nei diversi continenti, rimane disponibile ad offrire, illuminare e accompagnare sia l’elaborazione delle politiche sia la loro attuazione concreta, consapevole che la fede si rende visibile mettendo in pratica il progetto di Dio sulla famiglia umana e sul mondo attraverso quella profonda e reale fraternità che non è esclusiva dei cristiani, ma include tutti i popoli.
Possa l’Onnipotente benedire la FAO, i suoi Stati membri e quanti danno il meglio di sé per nutrire il mondo e preservare il pianeta a beneficio di tutti.
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