E poi una serie di possibili mete per i prossimi viaggi apostolici, Africa e America Latina entro il 2015.
Tutto questo ha occupato l’incontro di Papa Francesco con i giornalisti sul volo da Manila a Roma, durato poco più di un’ora.
[box]Qui è disponibile la trascrizione con il testo integrale del dialogo tra Papa Francesco ed i giornalisti sull’aereo[/box]
Il servizio di Alessandro De Carolis per la Radio Vaticana:
Soprattutto “i gesti”. E l’amore genuino che li accompagnava. Alla domanda su cosa porti via dalle Filippine, Papa Francesco dice e poi ripete ancora “i gesti”: quelli lo hanno commosso, perché non erano “protocollari”, perché erano espressioni di un “entusiasmo non finto”. Mi ha “commosso” soprattutto, aggiunge, quando vedevo un papà sollevare il figlio sulla folla per farlo benedire dal Papa ed essere felice di quella benedizione, come se loro volessero dire: “Questo è il mio tesoro, il mio futuro, il mio amore”:
Il gesto della paternità, della maternità, dell’entusiasmo, della gioia (…) Un popolo che sa soffrire, e che è capace di alzarsi e andare avanti. Ieri, nel colloquio che ho avuto con il papà di Crystal, la ragazza volontaria che è morta a Tacloban, sono stato edificato (da quello che mi ha detto – ndr.): “È morta in servizio”. E cercava parole per conformarsi, per accettare questo”.
I gesti che hanno scavato nel cuore di Francesco sono anche quelli dei sopravvissuti del tifone a Tacloban. “Vedere – dice – tutto quel popolo di Dio pregare dopo quella catastrofe”, mi ha fatto sentire “come annientato, quasi non mi veniva la voce”.
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E’ evidente che il rievocarlo lo commuove ancora un po’, ma il tono di Francesco cambia quando un giornalista gli chiede a quali viaggi apostolici pensi per i prossimi mesi. Come d’abitudine il Papa non risponde glissando, anzi spunta mentalmente dalla sua agenda, precisando però che si tratta di ipotesi “in bozza”:
“Rispondo ipoteticamente. Ma il piano è andare nella Repubblica Centrafricana e in Uganda. Questi due. Quest’anno. Credo che sarà verso la fine (…)i tre paesi latinoamericani sono previsti per quest’anno – tutto è ancora in bozza – l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay. Questi tre. L’anno prossimo, Deo volente, vorrei fare – ma ancora non è previsto niente – Cile, Argentina e Uruguay”.
Francesco esclude per ragioni logistiche la California nel caso della Canonizzazione di Junipero Serra in settembre – avverrà “al santuario di Washington”, precisa – e per motivi analoghi esclude anche di entrare negli Usa dal Messico, pur riconoscendo il valore di un gesto di “fratellanza” verso gli emigranti.
Quando una domanda lo sollecita sul tema mille volte denunciato della corruzione, Papa Francesco ribadisce che questo male, e il malaffare che ne consegue, sono “un problema mondiale” che “trova subito facilmente il nido nelle istituzioni”, oltre che nei singoli, e che fa le sue vittime preferite tra i “poveri”. In modo non dissimile avviene quando i corrotti sono della e nella Chiesa e qui Francesco racconta di un episodio al tempo del suo ministero episcopale a Buenos Aires, quando due funzionari governativi vennero a proporgli un cospicuo versamento in denaro per le sue “Villas miserias”, a patto di intascarne la metà, e furono rispediti indietro con elegante scaltrezza:
“Credo che la Chiesa debba dare esempio ogni volta di più di questo, di rifiutare ogni mondanità. A noi consacrati, vescovi, preti, suore, laici che credono davvero, la minaccia più grave è la mondanità. Ma è tanto brutto guardare quando si vede un consacrato, un uomo di Chiesa, una suora, mondano. È brutto. Questa non è la strada di Gesù. È la strada di una Ong che si chiama Chiesa. Ma questa non è la Chiesa di Gesù, quella Ong”.
Un paio di giornalisti domandano al Papa di chiarire due considerazioni espresse nella conferenza stampa sul volo da Colombo a Manila. Una è la questione del “pugno” – come etichettata da giorni sui media – cioè quali siano i limiti della libertà di espressione. Francesco riafferma che “in teoria” tutti sono d’accordo col porgere l’altra guancia in caso di provocazione, ma la realtà è che “siamo umani” e dunque un’offesa ripetuta può scatenare una reazione sbagliata. Per cui, afferma il Papa, non è male “essere prudenti”.
Il secondo argomento torna sull’espressione usata da Francesco, quella della “colonizzazione ideologica”. Anche qui il Papa racconta un episodio di 20 anni fa in cui un ministro della Pubblica istruzione, che aveva chiesto un forte prestito “per costruire le scuole per i poveri”, si vide porre come condizione l’introduzione nelle scuole di un libro che insegnava la teoria del gender:
“Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo; sì, con gruppi del popolo, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura (…) Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo. Ma quanta sofferenza. I popoli non devono perdere la libertà”.
Altro tema è quello della contraccezione connesso al falso mito che i cristiani debbano fare molti figli. Papa Francesco ricorda che la Chiesa ha sempre promosso il principio della paternità e maternità responsabili, contenuto nell’“Humanae vitae” di Paolo VI, definito “un profeta”, non un Pontefice “chiuso”:
“Lui guardava al neo-Malthusianesimo universale che era in corso (…) Quel neo-Malthusianesimo che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Questo non significa che il cristiano deve fare figlie in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo, dopo sette cesarei: ‘Ma lei vuole lasciare orfani sette?’. Questo è tentare Dio. Si parla di paternità responsabile”.
Sul suo appello ai Paesi islamici perché prendano posizione contro le frange terroristiche, Francesco si dice fiducioso che col tempo la molta “gente buona” del mondo musulmano riuscirà a incidere maggiormente. Il Papa ha poi precisato che la mancata udienza al Dalai Lama non è stata concessa perché “è abitudine nel protocollo della Segreteria di Stato” non ricevere capi di Stato o di quel livello quando sono impegnati a Roma in un incontro internazionale:
“Ma il motivo non era il rifiuto alla persona o paura per la Cina. Sì, noi siamo aperti e vogliamo la pace con tutti. E come vanno i rapporti? Il Governo cinese è educato. Anche noi siamo educati e facciamo le cose passo passo, come si fanno le cose nella storia, no? Ancora non si sa, ma loro sanno che io sono disposto a ricevere o andare. Lo sanno”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana
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