E’ stato un dialogo intenso e vivace l’incontro del Papa nel Duomo di Milano con i sacerdoti e i consacrati. Francesco ha risposto a tre domande. La prima gli è stata posta da un sacerdote che ha chiesto quali purificazioni e quali scelte prioritarie sono chiamati a compiere i preti di oggi per non perdere la gioia dell’evangelizzazione e non smarrire la gioia di essere popolo credente nel cuore della storia.
“Evangelizzare è una gioia” – ha risposto il Papa parlando a braccio e citando l’Evangelii nuntiandi del “grande Paolo VI”, che “è il più grande documento pastorale del dopo-Concilio che ancora oggi ha attualità” e “parlava di questa gioia: la gioia della Chiesa è evangelizzare. E noi dobbiamo chiedere la grazia” di non perdere “questa gioia di evangelizzare”. Dunque occorre chiedere la grazia di non essere “evangelizzatori tristi, noiosi: questo non va. Un evangelizzatore triste è uno che non è convinto che Gesù è gioia, che Gesù ti porta la gioia, e quando ti chiama ti cambia la vita e ti dà la gioia e ti invia in gioia: anche in croce, ma in gioia, per evangelizzare”.
Poi ha parlato delle sfide di oggi. “Ogni epoca storica, fin dai primi tempi del cristianesimo, è stata continuamente sottoposta a molteplici sfide. Sfide all’interno della comunità ecclesiale e nello stesso tempo nel rapporto con la società in cui la fede andava prendendo corpo. Ricordiamo l’episodio di Pietro nella casa di Cornelio a Cesarea (cfr At 10,24-35), o la controversia ad Antiochia e poi a Gerusalemme sulla necessità o meno di circoncidere i pagani (cfr At 15,1-6), e così via. Perciò non dobbiamo temere le sfide: questo, che sia chiaro. Non dobbiamo temere le sfide. Quante volte si sentono delle lamentele: ‘Ah, quest’epoca, in cui ci sono tante sfide, e siamo tristi …’. No! Non avere timore! Le sfide si devono prendere come il bue: per le corna, eh?”.
“Ed è bene – ha proseguito – che ci siano, le sfide. E’ bene, perché ci fanno crescere. Sono segno di una fede viva, di una comunità viva che cerca il suo Signore e tiene gli occhi e il cuore aperti. Dobbiamo piuttosto temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, tutta completa: non ho bisogno di altre cose; tutto fatto. Questa fede è tanto annacquata che non serve. Questo dobbiamo temere. E si ritiene completa come se tutto fosse stato detto e realizzato. Le sfide ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi ideologica. Ci sono i pericoli delle ideologie: ma sempre. Le ideologie crescono, germogliano e crescono quando uno crede di avere la fede completa, e viene la ideologia. Le sfide ci salvano da un pensiero chiuso e definito e ci aprono a una comprensione più ampia del dato rivelato. Come ha affermato la Costituzione dogmatica Dei Verbum: «La Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» (8b). E in ciò le sfide ci aiutano ad aprirci al mistero rivelato”.
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Il Papa ha poi parlato della società multiculturale, multireligiosa, multietnica: “Io credo che la Chiesa, nell’arco di tutta la sua storia, tante volte – senza che ne siamo consapevoli – ha molto da insegnarci e aiutarci per una cultura della diversità. Dobbiamo imparare. Lo Spirito Santo è il Maestro della diversità. Guardiamo le nostre diocesi, i nostri presbiteri, le nostre comunità. Guardiamo le congregazioni religiose. Tanti carismi, tanti modi di realizzare l’esperienza credente. La Chiesa è Una in un’esperienza multiforme. E’ Una, sì. Ma in un’esperienza multiforme. E’ questa la ricchezza della Chiesa. Pur essendo una è multiforme. Il Vangelo è uno nella sua quadruplice forma. Il Vangelo è uno, ma sono quattro e sono diversi, ma quella diversità è una ricchezza. Il Vangelo è uno in una quadruplice forma. Questo dà alle nostre comunità una ricchezza che manifesta l’azione dello Spirito. La Tradizione ecclesiale ha una grande esperienza di come “gestire” il molteplice all’interno della sua storia e della sua vita. Abbiamo visto e vediamo di tutto: abbiamo visto e vediamo molte ricchezze e molti orrori e errori. E qui abbiamo una buona chiave che ci aiuta a leggere il mondo contemporaneo. Senza condannarlo e senza santificarlo. Riconoscendo gli aspetti luminosi e gli aspetti oscuri. Come pure aiutandoci a discernere gli eccessi di uniformità o di relativismo: due tendenze che cercano di cancellare l’unità delle differenze, l’interdipendenza”.
“La Chiesa – ha detto proseguendo a braccio – è una nelle differenze: è una. E quelle differenze si uniscono in quella unità. Ma chi fa le differenze? Lo Spirito Santo è il Maestro delle differenze! E chi fa l’unità? Lo Spirito Santo: anche, Lui è il Maestro dell’unità. Quel grande artista, quel grande Maestro dell’unità nelle differenze è lo Spirito Santo. E questo dobbiamo capirlo bene. E poi ne parlerò più avanti, ma è nel discernimento: discernere quando è lo Spirito che fa le differenze e l’unità, e quando non è lo Spirito quello che fa una differenza e una divisione. Quante volte abbiamo confuso unità con uniformità? E non è lo stesso: non è lo stesso. O quante volte abbiamo confuso pluralità con pluralismo? E non è lo stesso. L’uniformità e il pluralismo non sono di buono spirito: non vengono dallo Spirito Santo. La pluralità e l’unità vengono dallo Spirito Santo. In entrambi i casi ciò che si cerca di fare è ridurre la tensione e cancellare il conflitto o l’ambivalenza a cui siamo sottoposti in quanto esseri umani. Cercare di eliminare uno dei poli della tensione è eliminare il modo in cui Dio ha voluto rivelarsi nell’umanità del suo Figlio. Tutto ciò che non assume il dramma umano può essere una teoria molto chiara e distinta ma non coerente con la Rivelazione e perciò ideologica. La fede per essere cristiana e non illusoria deve configurarsi all’interno dei processi: dei processi umani senza ridursi ad essi. E’ anche una bella tensione, questa. E’ il compito bello ed esigente che ci ha lasciato nostro Signore, il “già e non ancora” della Salvezza. E questo è molto importante: unità nelle differenze. Questa è una tensione, ma è una tensione che sempre ci fa crescere nella Chiesa”.
La seconda domanda è di un diacono permanente: “Siamo uomini – ha detto – che vivono pienamente la propria vocazione, quella matrimoniale o quella celibataria ma vivono anche pienamente il mondo del lavoro e della professione”. “Qual è la nostra parte – chiede – perché possiamo aiutare a delineare quel volto di Chiesa che è umile, che è disinteressata, che è beata, quella che sentiamo che è nel suo cuore e di cui spesso ci parla?”.
“Voi diaconi – ha risposto il Papa – avete molto da dare, molto da dare. Pensiamo al valore del discernimento. All’interno del presbiterio, voi potete essere una voce autorevole per mostrare la tensione che c’è tra il dovere e il volere, le tensioni che si vivono all’interno della vita familiare – quindi, voi avete una suocera! per dire un esempio -, come pure le benedizioni che si vivono all’interno della vita familiare”.
“Ma dobbiamo stare attenti – ha osservato – a non vedere i diaconi come mezzi preti e mezzi laici. Questo è un pericolo. Alla fine non stanno né di qua né di là. No, questo non si deve fare, è un pericolo. Guardarli così ci fa male e fa male a loro. Questo modo di considerarli toglie forza al carisma proprio del diaconato, Su questo voglio tornare: il carisma proprio del diaconato, e questo carisma è nella vita della Chiesa. E nemmeno va bene l’immagine del diacono come una specie di intermediario tra i fedeli e i pastori”.
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A braccio ha parlato di due tentazioni: “C’è il pericolo del clericalismo, il diacono che è troppo clericale. No, no questo non va. Io alcune volte vedo qualcuno quando assiste alla liturgia: quasi sembra di voler prendere il posto del prete. Il clericalismo, guardatevi dal clericalismo. E l’altra tentazione, il funzionalismo. E’ un aiuto che ha il prete per questo … Ma è un ragazzo per fare i compiti e non per altra cosa. No. Voi avete un carisma chiaro nella Chiesa e dovete costruirlo. Il diaconato è una vocazione specifica, una vocazione familiare che richiama il servizio”. Il servizio: “ Questa parola è la chiave per capire il vostro carisma. E il servizio come uno dei doni caratteristici del popolo di Dio. Il diacono è – per così dire – il custode del servizio nella Chiesa. Ma ogni parola deve essere ben misurata. Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa: il servizio alla Parola, il servizio all’Altare, il servizio ai Poveri. E la vostra missione, la missione del diacono, il suo contributo consistono in questo: nel ricordare a tutti noi che la fede, nelle sue diverse espressioni – la liturgia comunitaria, la preghiera personale, le diverse forme di carità – e nei suoi vari stati di vita – laicale, clericale, familiare – possiede un’essenziale dimensione di servizio. Il servizio a Dio e ai fratelli. E quanta strada c’è da fare in questo senso! Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa”.
IL SALUTO DEL PAPA PER L’ANGELUS
Cari fratelli e sorelle,
vi saluto e vi ringrazio per questa calorosa accoglienza qui a Milano. La nebbia se n’è andata! Le cattive lingue dicono che verrà la pioggia…Non so, io non la vedo ancora! Grazie tante per il vostro affetto, e vi chiedo per favore la vostra preghiera, di pregare per me, perché io possa servire il popolo di Dio, servire il Signore, e fare la sua volontà. E adesso vi invito a pregare insieme l’Angelus, tutti insieme.
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Il Papa ha spiegato in sintesi: “non c’è servizio all’altare, non c’è liturgia che non si apra al servizio dei poveri, e non c’è servizio dei poveri che non conduca alla liturgia; non c’è vocazione ecclesiale che non sia familiare. Questo ci aiuta a rivalutare il diaconato come vocazione ecclesiale. Infine, oggi sembra che tutto debba “servirci”, come se tutto fosse finalizzato all’individuo: la preghiera “mi serve”, la comunità “mi serve”, la carità “mi serve”. Questo è un dato della nostra cultura. Voi siete il dono che lo Spirito ci fa per vedere che la strada giusta va al contrario: nella preghiera servo, nella comunità servo, con la solidarietà servo Dio e il prossimo. Anche che Dio vi dia la grazia di crescere in questo carisma di custodire il servizio nella Chiesa. Grazie per quello che fate”.
Conclusa la preghiera mariana dell’Angelus sul sagrato del Duomo, alle ore 11.41 di questa mattina il Santo Padre Francesco, accompagnato dal Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano, si è recato in visita alla Casa Circondariale di San Vittore. Al suo arrivo, all’ingresso in Piazza Filangieri, il Papa viene accolto dal Dott. Luigi Pagano, Provveditore Regionale della Lombardia; dalla Dott.ssa Gloria Manzelli, Direttore; dal Commissario Capo Manuela Federico, Comandante e da Don Marco Recalcati, Cappellano. Quindi, nel corridoio di ingresso, il Santo Padre saluta il Personale della Direzione e della Polizia Penitenziaria. Poi, in diverse aree della struttura, il Papa saluta personalmente i detenuti. Alle ore 12.30 il Santo Padre pranza con cento detenuti nel Terzo Raggio della Casa Circondariale. Successivamente, alle ore 13.45, il Santo Padre prima di recarsi in auto al Parco di Monza per la celebrazione della Santa Messa riposa brevemente presso la stanza del cappellano del carcere.
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a cura della Redazione Papaboys (Fonte: Radio Vaticana / Il Sismografo)
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