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Papa Francesco: ‘Guardiamo con speranza al futuro affidandoci a San Giuseppe, patrono del nuovo anno’

Cerchiamo  di  stare  sempre  nella  gioia  dell’incontro  con  Gesù.  Coltiviamo l’allegrezza. Lo ha ricordato Papa Francesco nell’udienza di questa mattina in Vaticano –  Invece il demonio, dopo averci illusi con qualsiasi tentazioni, ci lascia sempre tristi e soli. Se siamo in  Cristo,  nessun  peccato  e  nessuna  minaccia  ci  potranno  mai  impedire  di  continuare  con  letizia  il  cammino, insieme a tanti compagni di strada. 

Le parole di Papa Francesco nell’Udienza generale

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Vorrei  soffermarmi  oggi  sulla  preghiera  di  ringraziamento.  E  prendo  lo  spunto  da  un  episodio  riportato  dall’evangelista  Luca.  Mentre  Gesù  è  in  cammino,  gli  vengono  incontro  dieci  lebbrosi, che implorano: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!” (17,13). Sappiamo che, per i malati di lebbra,  alla  sofferenza  fisica  si  univa  l’emarginazione  sociale  e  religiosa. (il testo continua dopo il video)

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Gesù  non  si  sottrae  all’incontro con loro. A volte va oltre i limiti imposti dalle leggi e tocca il malato, lo abbraccia, lo guarisce. In questo caso non c’è contatto. A distanza, Gesù li invita a presentarsi ai sacerdoti (v. 14), i quali erano incaricati, secondo la legge, di certificare l’avvenuta guarigione. Gesù non dice altro. Ha ascoltato la loro preghiera, il loro grido di pietà, e li manda subito dai sacerdoti.  Quei  dieci  si  fidano,  vanno  subito,  e  mentre  stanno  andando  guariscono,  tutti  e  dieci.  I  sacerdoti  avrebbero  dunque  potuto  constatare  la  loro  guarigione  e  riammetterli  alla  vita  normale.  Ma qui viene il punto più importante: di quel gruppo, solo uno, prima di andare dai sacerdoti, torna indietro a ringraziare Gesù e a lodare Dio per la grazia ricevuta. E Gesù nota che quell’uomo era un samaritano,  una  specie  di  “eretico”  per  i  giudei  del  tempo.  Gesù  commenta:  «Non  si  è  trovato  nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?» (17,18).
Papa Francesco: udienza generale
Questo racconto, per così dire, divide il mondo in due: chi non ringrazia e chi ringrazia; chi prende  tutto  come  gli  fosse  dovuto,  e  chi  accoglie  tutto  come  dono,  come  grazia.  Il  Catechismo scrive: «Ogni avvenimento e ogni necessità può diventare motivo di ringraziamento» (n. 2638). La preghiera di ringraziamento comincia sempre da qui: dal riconoscersi preceduti dalla grazia. Siamo stati pensati prima che imparassimo a pensare; siamo stati amati prima che imparassimo ad amare; siamo stati desiderati prima che nel nostro cuore spuntasse un desiderio. Se guardiamo la vita così, allora il “grazie” diventa il motivo conduttore delle nostre giornate. Per noi cristiani il rendimento di grazie ha dato il nome al Sacramento più essenziale che ci sia: l’Eucaristia. La parola greca, infatti, significa proprio questo: ringraziamento. I cristiani, come tutti  i  credenti,  benedicono  Dio  per  il  dono  della  vita.  Vivere  è  anzitutto  aver  ricevuto.  Tutti  nasciamo perché qualcuno ha desiderato per noi la vita.
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E questo è solo il primo di una lunga serie di debiti che contraiamo vivendo. Debiti di riconoscenza. Nella nostra esistenza, più di una persona ci  ha  guardato  con  occhi  puri,  gratuitamente.  Spesso  si  tratta  di  educatori,  catechisti,  persone  che  hanno  svolto  il  loro  ruolo  oltre  la  misura  richiesta  dal  dovere.  E  hanno  fatto  sorgere  in  noi  la  gratitudine. Anche l’amicizia è un dono di cui essere sempre grati.  Questo  “grazie”,  che  il  cristiano  condivide  con  tutti,  si  dilata  nell’incontro  con  Gesù.  I  Vangeli  attestano  che  il  passaggio  di  Gesù  suscitava  spesso  gioia  e  lode  a  Dio  in  coloro  che  lo  incontravano.  I  racconti  del  Natale  sono  popolati  di  oranti  con  il  cuore  allargato  per  la  venuta  del  Salvatore. E anche noi siamo stati chiamati a partecipare a questo immenso tripudio. Lo suggerisce anche  l’episodio  dei  dieci  lebbrosi  guariti.  Naturalmente  tutti  erano  felici  per  aver  recuperato  la  salute,  potendo  così  uscire  da  quella  interminabile  quarantena  forzata  che  li  escludeva  dalla  comunità.
Ma  tra  loro  ce  n’è  uno  che  a  gioia  aggiunge  gioia:  oltre  alla  guarigione,  si  rallegra  per  l’avvenuto  incontro  con  Gesù.  Non  solo  è  liberato  dal  male,  ma  possiede  ora  anche  la  certezza  di  essere  amato.
È  la  scoperta  dell’amore  come  forza  che  regge  il  mondo.  Dante  direbbe:  l’Amore  «che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, 145). Non siamo più viandanti errabondi che vagano qua e là: abbiamo una casa, dimoriamo in Cristo, e da questa “dimora” contempliamo tutto il resto del mondo, ed esso ci appare infinitamente più bello.
Dunque,  fratelli  e  sorelle,  cerchiamo  di  stare  sempre  nella  gioia  dell’incontro  con  Gesù.  Coltiviamo l’allegrezza. Invece il demonio, dopo averci illusi con qualsiasi tentazioni, ci lascia sempre tristi e soli. Se siamo in  Cristo,  nessun  peccato  e  nessuna  minaccia  ci  potranno  mai  impedire  di  continuare  con  letizia  il  cammino, insieme a tanti compagni di strada.
Soprattutto, non tralasciamo di ringraziare: se siamo portatori di gratitudine, anche il mondo diventa migliore, magari anche solo di poco, ma è ciò che basta per trasmettergli un po’ di speranza.
Tutto  è  unito  e  legato,  e  ciascuno  può  fare  la  sua  parte  là  dove  si  trova.  La  strada  della  felicità  è  quella  che  San  Paolo  ha  descritto  alla  fine  di  una  delle  sue  lettere:  «Pregate  ininterrottamente,  in  ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito» (1 Ts 5,17-19).

 

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