Sancta Sedes

Papa Francesco ha confessato alcuni parroci in San Giovanni in Laterano

Il tradizionale incontro con i sacerdoti romani si è svolto in forma di liturgia penitenziale. Nella meditazione del cardinale vicario, Angelo De Donatis, l’invito a non umiliare i giovani e a fidarsi di più dei laici

È iniziato alle 11,00 nella Basilica di San Giovanni in Laterano, Cattedrale di Roma, il tradizionale incontro di Francesco con il clero di Roma, che quest’anno si tiene, per espressa volontà del Papa, nella forma di liturgia penitenziale. A tenere la meditazione è il cardinale vicario Angelo De Donatis, che ha sottolineato: “Papa Francesco ha voluto che questo nostro incontro annuale con lui avesse la forma di una celebrazione della misericordia di Dio, di un canto di gioia alla grandezza del suo amore”.

Dopo la meditazione, i sacerdoti si sono confessati; anche il Papa ha ascoltato alcune confessioni e conclude la celebrazione. Al termine offre in dono un sussidio per le seconde letture dell’Ufficio delle Letture di Quaresima.

Nel suo discorso, il porporato ha auspicato: “Il tempo liturgico che vivremo, infatti, ci chiederà di essere ministri di riconciliazione, ambasciatori e diaconi del perdono di Dio per tutti i nostri fratelli. Diremo ad alta voce nelle nostre comunità: ‘vi supplichiamo, in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio!’ Inviteremo tutti a chiedere perdono, con umiltà, a Dio e ai fratelli del male compiuto”. Quindi ha preso spunto da tre brani dell’Antico Testamento: quello relativo alla manna nel deserto, quello del vitello d’oro e il terzo, tratto dal libro dei Numeri, che narra della paura degli Israeliti quando si trovano di fronte ai nemici percepiti come giganteschi, una volta arrivati alla Terra Promessa. Per ognuno dei tre brani De Donatis ha proposto una lettura attualizzante, in riferimento al ministero sacerdotale.

In relazione al primo ad esempio, ha fatto notare: “Nonostante l’organizzazione faticosa delle nostre parrocchie e l’impegno che mettiamo dentro le ‘mille cose da fare’, abbiamo ancora fame”. E allora si cerca altrove, “disposti a tutto pur di mettere sotto i denti qualche cibo, non importa se ci avvelena o no… Ci accontentiamo del cibo della schiavitù”, mentre “solo Dio e la sua Parola, solo il regno di Dio e la sua giustizia, sono in grado di nutrirci il cuore. Sono il pane del Cielo”.

Tra i mali da evitare, dunque, il cardinale vicario ha elencato il “limitarsi al minimo indispendabile”, il “lasciarsi prendere dalle cose organizzative”, il ” rifugiarsi nell’appartenenza ad un gruppo o ad una realtà ecclesiale dove ci sentiamo più a nostro agio”, lo sdoppiarsi tra ministero e vita personale.

L’episodio del vitello d’oro, invece, secondo il cardinale, deve insegnare che “la percezione dell’essere abbandonati da Dio e la convinzione di poter contare solo sulle forze del nostro “io”, personale o di gruppo, sono portatrici di conseguenze molto negative nella vita di noi presbiteri”. “Abbiamo esperienza sufficiente – ha aggiunto De Donatis – per sapere che siamo peccatori e che da soli siamo anche ciechi. Ma questo apre una stagione formidabile, davvero sinodale, della nostra Chiesa, nella quale, deposta ogni pretesa di autosufficienza, ognuno si mette in ascolto degli altri, di quella luce che il Signore dona soprattutto ai piccoli e i poveri, interrogandosi con onestà e senza filtri su cosa voglia il Signore da noi, dalla sua Chiesa”.

Infine, per ciò che concerne l’episodio tratto dal Libro dei Numeri, il vicario di Roma ha messo in guardia contro la mancanza di fiducia in Dio, che può prendere anche i sacerdoti. È “un’altra variabile del vitello d’oro – ha sottolineato -, del contare cioè sulle nostre forze più che nella provvidenza di Dio che guida la storia”. E può esprimersi in diverse forme. Ad esempio un atteggiamento umiliante verso i giovani. “Perché abbiamo smesso di interrogarci sulle loro assenze dalla comunità? Perché non si trovano mai nei nostri consigli pastorali? Perché non li andiamo mai a trovare nella scuola o nei loro luoghi di raduno per provocarli, chiedergli di esprimersi e farci dire quando sentono la presenza di Dio, cosa li colpisce del Vangelo di Gesù, come dovrebbe essere la Chiesa per essere a loro misura”. Allo stesso modo bisogna evitare, ha concluso il cardinale, di “essere diffidenti verso i laici, non delegare, accentrare tutto nelle nostre mani, forti della presuntuosa convinzione che la nostra volontà coincida con la volontà di Dio. Spesso non siamo né saggi né prudenti, ma solo impauriti di perdere il nostro ruolo centrale”.

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