Terra Sancta et Oriens

Papa Francesco ha un grande dolore per la Siria. Chiede il dialogo

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Alla comunità internazionale e a tutti gli attori coinvolti nell’escalation militare in Siria, si rivolge l’accorato appello che Francesco rilancia in occasione dell’Angelus di questa domenica. Nel suo cuore, come dall’inizio del Pontificato, la vita e la sorte della popolazione innocente

Gabriella Ceraso e Benedetta Capelli – Città del Vaticano

“Continuano a giungere notizie dolorose dal nord-ovest della Siria, in particolare sulle condizioni di tante donne e bambini, della gente costretta a fuggire a causa dell’escalationmilitare”. Prende avvio così, durante i saluti che seguono la preghiera mariana dell’Angelus di questa domenica, l'”accorato appello” che Papa Francesco rivolge “alla comunità internazionale e a tutti gli attori coinvolti” affinché si avvalgano – afferma – “degli strumenti diplomatici, del dialogo e dei negoziati, nel rispetto del Diritto Umanitario Internazionale, per salvaguardare la vita e le sorti dei civili”. “Preghiamo – è stato l’invito del Papa – per questa amata e martoriata Siria”. Quindi una Ave Maria ha riunito al Santo Padre tutta la Piazza San Pietro e idealmente tutti i fedeli nel mondo.

Una guerra disumana che richiede sforzi e dialogo

La disumana guerra in Siria, che prosegue dal 2011 causando centinaia di migliaia di vittime e milioni tra sfollati e rifugiati, è sempre stata nel cuore del Papa che ha cercato, negli anni del suo pontificato, costantemente, di sollecitare una soluzione politica praticabile, superando gli interessi di parte e puntando – come nelle parole di questa domenica – sull’azione della diplomazia e sull’efficacia del dialogo con il supporto della comunità internazionale, pur di salvaguardare i civili, specie i più deboli. È stata proprio l’emergenza umanitaria, in seguito all’offensiva lanciata contro la città di Idlib nel nord ovest della Siria, a spingere il Pontefice ad indirizzare una Lettera al Presidente siriano Bashar Hafez al-Assad datata 28 giugno 2019, in cui lo incoraggiava a mostrare buona volontà per sanare una situazione disastrosa preservando civili inermi e le principali infrastrutture, come scuole e ospedali. Quell’emergenza non è mai cessata e oggi, come allora, nel nord ovest della Siria si continua a morire o a scappare stretti tra le forze del regime, quelle russe e quelle turche, tanto che lo stesso Nunzio apostolico in Siria il cardinale Mario Zenari ha più volte parlato di “catastrofe umanitaria”.

La preoccupazione per i civili, una costante del Pontificato

Mai tutto ciò è sfuggito a Papa Francesco. Dall’inizio del Pontificato sono stati oltre una decina gli appelli all’Angelus e al Regina Coeli. La Siria è stata una costante nei messaggi Urbi et Orbi che il Papa ha pronunciato; lo stesso è accaduto nelle udienze generali del mercoledì quando la violenza legata alla cronaca ha scosso le coscienze.

Già diciotto giorni dopo la sua elezione, Francesco nel messaggio Urbi et Orbi ricordava “l’amata Siria” e la popolazione ferita dal conflitto, ma anche “i numerosi profughi, che attendono aiuto e consolazione”.

“Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”

L’umanità – diceva Francesco all’Angelus del primo settembre 2013 – ha bisogno di vedere gesti di pace e di sentire parole di speranza e di pace!” e la preghiera, nel momento del dolore, è la forza a cui appigliarsi. Per questo il 7 settembre 2013 promuoveva una Giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero. Di lì a poco, ai grandi della terra, come più volte accaduto, avrebbe fatto sentire la sua richiesta di pace. Così, scrivendo ad esempio al presidente russo Vladimir Putin in occasione del vertice del G20 di San Pietroburgo (5 settembre 2013), il Papa invocava “una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti interessate con il sostegno concorde della comunità internazionale”. Una lettera è anche quella indirizzata ai cristiani in Medio Oriente, il 21 dicembre del 2014, in cui il Papa manifestava apertamente tutta la preoccupazione per le tribolazioni messe in atto dal sedicente Stato islamico, incoraggiava la popolazione e non mancava ancora di esortare la comunità internazionale a venire incontro a tanta sofferenza:

L’afflizione e la tribolazione non sono mancate purtroppo nel passato anche prossimo del Medio Oriente. Esse si sono aggravate negli ultimi mesi a causa dei conflitti che tormentano la Regione, ma soprattutto per l’operato di una più recente e preoccupante organizzazione terrorista, di dimensioni prima inimmaginabili, che commette ogni sorta di abusi e pratiche indegne dell’uomo, colpendo in modo particolare alcuni di voi che sono stati cacciati via in maniera brutale dalle proprie terre, dove i cristiani sono presenti fin dall’epoca apostolica.

“Questa sofferenza grida verso Dio e fa appello all’impegno di tutti noi, nella preghiera e in ogni tipo di iniziativa”

“Il fondamentalismo religioso – spiegava il Papa nel gennaio 2015 – prima ancora di scartare gli esseri umani perpetrando orrendi massacri, rifiuta Dio stesso, relegandolo a un mero pretesto ideologico”.

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Vicinanza e accoglienza

Parole ma anche gesti concreti quelli di Francesco in questi anni, per quanti dal conflitto in Siria scappavano e continuano a scappare: secondo l’Onu, dal dicembre scorso gli sfollati da Idlib sono circa mezzo milione, di cui l’80 per cento donne e bambini.

“Voglio dirvi che non siete soli”: così il 16 aprile del 2016, a Lesbo in Grecia, Francesco spiegava la sua presenza insieme al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, rivolgendosi ai profughi ospitati nel grande campo di Mòria. E nella Dichiarazione congiunta sottoscritta sull’isola con il Patriarca e l’arcivescovo arcivescovo di Atene Ieronymos, implorava la fine della guerra e chiedeva di intensificare gli sforzi per accogliere chi fugge, come avrebbe fatto successivamente in vista dei vertici internazionali che si sono succeduti sulla Siria:

Esortiamo tutti i Paesi, finché perdura la situazione di precarietà, a estendere l’asilo temporaneo, a concedere lo status di rifugiato a quanti ne sono idonei, ad ampliare gli sforzi per portare soccorso e ad adoperarsi insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà per una fine sollecita dei conflitti in corso.

Sull’aereo che lo riportava dalla piccola isola greca in Vaticano, ci sarebbero state anche tre famiglie siriane. Un gesto di amore della Chiesa per i deboli, la carezza di Gesù agli affamati di oggi. Tre anni dopo il Papa inviava il cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere Pontificio, per portare la sua vicinanza e una donazione di 100mila euro ai migranti ospitati nelle strutture dell’isola avviando poi un percorso di accoglienza e integrazione verso l’Italia grazie ai corridoi umanitari. Nel cuore del Papa la necessità di evacuazioni sicure per i civili e di accoglienza, lodata, per esempio, in Paesi come il Libano, la Giordania e la Turchia.

Il sangue innocente

È quanto chiede nel 2016 nella lettera indirizzata al presidente siriano Bashar Hafez al-Assad e pervenuta tramite il Nunzio apostolico in Siria, il cardinale Mario Zenari.  Francesco tornava con insistenza in quell’occasione, come avrebbe fatto nel giugno 2019, sulla “soluzione pacifica delle ostilità”, la protezione dei civili, l’accesso agli aiuti umanitari e la condanna di “tutte le forme di estremismo e terrorismo da qualsiasi parte provengano”. Tra i civili più a rischio, mai negli anni il Papa ha dimenticato i bambini che “non potranno vedere la luce del futuro!” Il loro è “sangue innocente” e così, il primo giugno del 2016 in occasione della Giornata Internazionale del Bambino, il Papa invitava i piccoli di tutto il mondo ad unirsi in preghiera con i loro coetanei siriani mentre il 2 dicembre 2018, prima domenica di Avvento, accendeva un cero, simbolo di pace, per i piccoli che vivono i conflitti perché non perdano la speranza.

Credito: Vatican News

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