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Papa Francesco: i cristiani del Centrafrica rifiutino violenza e distruzione

I cristiani del Centrafrica siano artigiani “del rinnovamento umano e spirituale” del loro Paese, superando la “diffidenza”, la “violenza” e l’istinto di “distruzione” che ha caratterizzato negli ultimi tempi quella terra d’Africa. Così il Papa alla Santa Messa nel complesso sportivo Barthélémy Boganda di Bangui, accolto dall’entusiasmo della folla che ha gremito anche l’esterno dello stadio. Hanno partecipato alla celebrazione la presidente di transizione, Catherine Samba Panza, e i membri dell’esecutivo provvisorio.

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Anche quando “i tempi sono duri”, perché si è ceduto “alla diffidenza, alla violenza e all’istinto di distruzione”, dobbiamo decidere “con coraggio, in un rinnovato impegno missionario, di passare all’‘altra riva’”, cioè tendere verso il Signore, che ci propone la “salvezza” e la “vita eterna”. Questa l’esortazione del Papa ai centrafricani che affollano, con i loro canti, le loro musiche, i loro colori – testimonianza di gioia ma anche di sfogo per le sofferenze vissute – il complesso sportivo Barthélémy Boganda di Bangui, perché prendendo esempio da Gesù risorto, “le prove e le sofferenze” che viviamo – assicura – si possono considerare “occasioni che aprono a un futuro nuovo”:

“Cristiani del Centrafrica, ciascuno di voi è chiamato ad essere, con la perseveranza della sua fede e col suo impegno missionario, artigiano del rinnovamento umano e spirituale del vostro Paese. Sottolineo: artigiano del rinnovamento umano e spirituale del vostro Paese”.

Mons. Nzapalainga: smettiamo di far parlare le armi
È ancora un Centrafrica sconvolto da sanguinose violenze quello che Papa Francesco ha davanti a sé. Lo hanno testimoniato le accorate parole dall’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, che di fronte al Pontefice si è chiesto fino a quando nel suo Paese si faranno “parlare le armi”, si spargerà sangue di “fratelli e sorelle”, non si darà seguito agli accordi per una soluzione della crisi fin qui raggiunti. Quindi ha esortato ad agire concretamente, perché –ha detto il presule – “la pace si costruisce”:

“Devant vous, j’invite tous les centrafricains…
Davanti a voi, invito tutti i centrafricani senza distinzione di etnia e di religione a impegnarsi a costruire insieme un Centrafrica fraterno e prospero”.

Nuovi messaggeri verso i nostri fratelli
Nella ricorrenza liturgica di Sant’Andrea Apostolo, che col fratello Pietro non esitò “un solo istante” a lasciare tutto e seguire Gesù, come riferisce l’odierno Vangelo di Matteo, Francesco sottolinea come il “grido” di quei “messaggeri” che hanno trasmesso la fede oggi risuoni “più che mai”:

“Risuona qui, oggi, in questa terra del Centrafrica; risuona nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, nelle nostre parrocchie, ovunque viviamo, e ci invita alla perseveranza nell’entusiasmo della missione, una missione che ha bisogno di nuovi messaggeri, ancora più numerosi, ancora più generosi, ancora più gioiosi, ancora più santi. E tutti noi siamo chiamati ad essere, ciascuno, questo messaggero che il nostro fratello, di qualsiasi etnia, religione, cultura, aspetta, spesso senza saperlo”.

Grazie al Signore per la gioia nonostante difficoltà
La Parola, aggiunge, va “proclamata” e “ascoltata”, per comprendere che l’“altra riva”, la vita eterna, “non è un’illusione” o una “fuga dal mondo”: è una “potente realtà” che “ci impegna alla perseveranza nella fede e nell’amore” che – come spiega San Paolo nella prima Lettura ascoltata in tutto lo stadio – conduce alla salvezza e trasforma “già la nostra vita presente e il mondo in cui viviamo”, per amare Dio e amare i fratelli “in un modo nuovo”. Per questo, aggiunge il Pontefice, “rendiamo grazie al Signore per la sua presenza e per la forza che ci dà nel quotidiano” quando sperimentiamo “la sofferenza fisica o morale, una pena, un lutto”, ma anche per i nostri atti di solidarietà e generosità. E non solo:

“Per la gioia e l’amore che fa brillare nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, malgrado, a volte, la miseria, la violenza che ci circonda o la paura del domani; per il coraggio che mette nelle nostre anime di voler creare dei legami di amicizia, di dialogare con chi non è come noi, di perdonare chi ci ha fatto del male, di impegnarci nella costruzione di una società più giusta e fraterna dove nessuno è abbandonato”.

Perché Cristo, prosegue, ci prende “per mano” e ci “conduce a seguirlo”:

“Voglio rendere grazie con voi al Signore di misericordia per tutto quello che vi ha concesso di compiere di bello, di generoso, di coraggioso, nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità, durante gli eventi accaduti nel vostro Paese da molti anni”.

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Rompere col demonio
Quindi, una speranza, che nasce proprio dai giorni difficili vissuti dal Paese africano:

“Ogni battezzato deve continuamente rompere con quello che c’è ancora in lui dell’uomo vecchio, dell’uomo peccatore, sempre pronto a risvegliarsi al richiamo del demonio – e quanto agisce nel nostro mondo e in questi tempi di conflitti, di odio e di guerra – per condurlo all’egoismo, a ripiegarsi su sé stesso e alla diffidenza, alla violenza e all’istinto di distruzione, alla vendetta, all’abbandono e allo sfruttamento dei più deboli”.

Giubileo della Misericordia
Che l’Anno giubilare della Misericordia, appena iniziato in Centrafrica, sia l’occasione per chiedere perdono al Signore “per le troppe resistenze e per le lentezze nel rendere testimonianza al Vangelo”:

“Voi, cari Centrafricani, dovete soprattutto guardare verso il futuro e, forti del cammino già percorso, decidere risolutamente di compiere una nuova tappa nella storia cristiana del vostro Paese, di lanciarvi verso nuovi orizzonti, di andare più al largo, in acque profonde”.




Il servizio è di Giada Aquilino per la Radio Vaticana

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