Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano per Vaticannews.va
“Crudele”, “insensata”, teatro di “barbarie”, la guerra in Ucraina “minaccia il mondo intero” e interpella perciò “la coscienza di ogni cristiano e di ciascuna Chiesa” che deve contribuire a riportare quell’“unità” per cui Cristo ha dato la vita e annunciare il Vangelo che “disarma i cuori” più di ogni esercito. Papa Francesco parte da un’analisi della realtà attuale per il suo discorso ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ricevuti nel Palazzo Apostolico. Udienza che è l’occasione per ribadire l’invito ad un più solido dialogo ecumenico, memori anche della storia che ha insegnato che “ignorare le divisioni tra i cristiani, per abitudine o per rassegnazione, significa tollerare quell’inquinamento dei cuori che rende fertile il terreno per i conflitti”.
Nel suo discorso Francesco fa un passo indietro e parla dell’evento che, prima della guerra, ha destabilizzato il mondo: la pandemia che, con “il suo tragico impatto sulla vita sociale”, ha fortemente condizionato anche le attività ecumeniche, impedendo negli ultimi due anni la realizzazione di contatti progetti. Al tempo stesso, “la crisi sanitaria è stata anche un’opportunità per rafforzare e rinnovare le relazioni tra i cristiani”, dice il Pontefice, perché ha rinnovato la “consapevolezza di appartenere tutti all’unica famiglia cristiana” e mostrato “l’esperienza di condividere la medesima fragilità e di poter confidare solamente nell’aiuto che viene da Dio”.
Paradossalmente, la pandemia, che ci ha costretti a mantenere le distanze gli uni dagli altri, ci ha fatto comprendere quanto in realtà siamo vicini gli uni agli altri e quanto siamo responsabili gli uni degli altri.
È fondamentale far scaturire da questo “iniziative che rendano esplicito e accrescano questo sentimento di fratellanza”, esorta il Papa. E proprio sul concetto di fratellanza insiste: “Oggi – dice a braccio – per un cristiano non è possibile, non è ‘viabile’ andare da solo con la propria confessione. O andiamo insieme, tutte le confessioni fraterne, o non si cammina. Oggi la coscienza dell’ecumenismo è tale che non si può pensare di andare nel cammino della fede senza la compagnia dei fratelli e sorelle di altre chiese o comunità ecclesiali. E questa è una grande cosa. Soli, mai. Non possiamo”.
È facile, infatti, dimenticare questa profonda verità: “Quando ciò accade alle Comunità cristiane, ci si espone seriamente al rischio della presunzione di autosufficienza e della autoreferenzialità, che sono gravi ostacoli per l’ecumenismo”, ammonisce il Pontefice. “E noi lo vediamo. In alcuni Paesi ci sono queste riprese egocentriche – per dire così – di alcune comunità cristiane che è un tornare indietro e non potere avanzare. Oggi, o si cammina tutti insieme o non si può camminare”.
Da questa che è “una vera verità e una grazia”, Francesco prende spunto per parlare della guerra in corso in Ucraina: “Nuova tragica sfida” che il mondo si è trovato ad affrontare mentre la pandemia lascia ancora i suoi strascichi. “Dopo la fine della seconda guerra mondiale non sono mai mancate guerre regionali. Tante; pensiamo a Ruanda per esempio 25 anni fa per dirne una, ma pensiamo al Myanmar… Ma come sono lontane, noi non le vediamo e questa è prossima e ci fa reagire. Non sono mancare guerre regionali tanto che io ho spesso parlato di una terza guerra mondiale a pezzetti, sparsa un po’ ovunque”, dice il Papa.
Tuttavia, questa guerra, crudele e insensata come ogni guerra, ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero, e non può non interpellare la coscienza di ogni cristiano e di ciascuna Chiesa. Dobbiamo chiederci: cosa hanno fatto e cosa possono fare le Chiese per contribuire allo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale?
Il Pontefice guarda al secolo scorso, epoca in cui “la consapevolezza che lo scandalo della divisione dei cristiani avesse un peso storico nel generare il male che ha avvelenato il mondo di lutti e ingiustizie aveva mosso le comunità credenti, sotto la guida dello Spirito Santo, a desiderare l’unità per cui il Signore ha pregato e ha dato la vita”. Oggi, di fronte alla “barbarie della guerra”, questo anelito all’unità va nuovamente alimentato, esorta il Papa:
“L’annuncio del Vangelo della pace, quel Vangelo che disarma i cuori prima ancora che gli eserciti, sarà più credibile solo se annunciato da cristiani finalmente riconciliati in Gesù, Principe della pace; cristiani animati dal suo messaggio di amore e fraternità universale, che travalica i confini della propria comunità e della propria nazione”
“Oggi – insiste il Papa – o camminiamo insieme o rimarremo fermi. Non si può camminare da soli. Ma non perché è moderno, no: perché lo Spirito Santo ci ha svegliato questo senso dell’ecumenismo e della fratellanza”.
Da questo punto di vista, è un “contributo prezioso”, dice il Papa, la riflessione su come celebrare “in modo ecumenico” il 1700° anniversario del primo Concilio di Nicea. Un evento che, “nonostante le travagliate vicende della sua preparazione e soprattutto del successivo lungo periodo di recezione”, è stato comunque “di riconciliazione per la Chiesa, che in modo sinodale riaffermò la sua unità intorno alla professione della propria fede”. Proprio lo stile e le decisioni del Concilio di Nicea Francesco auspica che possano “illuminare l’attuale cammino ecumenico” e soprattutto che il prossimo Giubileo del 2025, coincidendo con l’anniversario di Nicea, “abbia una rilevante dimensione ecumenica”.
Da qui, un appello alla sinodalità che già il primo Concilio ecumenico mostrò come “forma di vita e di organizzazione della comunità cristiana”. Papa Francesco rilancia, cioè, l’invito del Pontificio Consiglio alle Conferenze episcopali a “cercare i modi per ascoltare, durante l’attuale processo sinodale della Chiesa cattolica, anche le voci dei fratelli e delle sorelle di altre Confessioni sulle questioni che interpellano la fede e la diaconia nel mondo di oggi”. Infine, un ultimo pensiero a braccio:
“Andare avanti, camminare insieme. È vero che il lavoro teologico è molto importante e dobbiamo riflettere, ma non possiamo aspettare di fare il cammino di unità [finché] i teologi si mettono d’accordo. Una volta uno, un grande ortodosso, un grande teologo ortodosso, mi disse che lui sapeva quando i teologi saranno d’accordo. Quando? Il giorno dopo del giudizio finale, mi ha detto. Ma nel frattempo? Camminare come fratelli, nella preghiera insieme, nelle opere di carità, nella ricerca della verità. Come fratelli. E questa fratellanza è per tutti noi”.
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