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Papa Francesco: i Santi insegnano a vivere in Cristo

Papa Francesco: i Santi insegnano a vivere in Cristo, senza mezze misure

La Chiesa da oggi ha sette nuovi Santi, tra di loro Paolo VI e mons. Romero. Nella Messa celebrata in San Pietro, Papa Francesco ha ricordato che i Santi sono stati capaci di rischiare per seguire Gesù, “senza tiepidezza e senza calcoli”

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

I sette drappi collocati sulla facciata della Basilica di San Pietro mostrano al mondo di oggi la via luminosa della santità, conquistata con il sì a Dio, con il rischio di lasciare tutto per seguirlo, con un cuore libero che ama il Signore, un cuore gioioso “di cui oggi – spiega Papa Francesco nell’omelia della Messa di canonizzazione dei 7 nuovi Santi – c’è grande bisogno”. Un richiamo alla santità che torna poi anche nel Tweet: “Il mondo ha bisogno di santi e tutti noi, senza eccezioni, siamo chiamati alla santità. Non abbiamo paura!”

I nuovi Santi

Il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, davanti al Papa e ai 70mila fedeli presenti, ricorda le principali tappe della vita dei 7 nuovi Santi, a partire da Paolo VI, beatificato proprio da Francesco, come mons. Romero, da sempre al fianco dei poveri e degli emarginati: una scelta che segnò la sua condanna da parte degli squadroni della morte. Poi il porporato ricorda don Francesco Spinelli, fondatore dell’Istituto delle Suore adoratrici del S.S Sacramento. Anima della rinascita materiale e spirituale della comunità di Torre del Greco, dopo l’eruzione del Vesuvio del 1794, fu il sacerdote Vincenzo Romano, attento agli ultimi e all’educazione dei giovani. Il card. Becciu sottolinea che fu Paolo VI a beatificare Maria Caterina Kasper, fondatrice della Casa delle “Povere Ancelle di Gesù Cristo”. Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù March Mesa fondò la Congregazione delle Suore Missionarie Crociate della Chiesa mentre Nunzio Sulprizio fu modello per i giovani, secondo la definizione di Papa Leone XIII che ne decretò l’eroicità delle virtù. Dopo la proclamazione della formula di canonizzazione da parte di Francesco, l’applauso dei fedeli suggella la loro santità.

La proposta di vita tagliente

E’ la seconda lettura tratta dalla Lettera agli Ebrei a guidare la riflessione di Papa Francesco che per l’occasione indossa il cingolo, la cintura di corda che chiude il camice bianco, dove sono ancora visibili le tracce di sangue dell’arcivescovo Romero e inoltre utilizza il calice, il pallio e il pastorale di Paolo VI. La Parola “viva, efficace e tagliente”, ricorda, “parla ai nostri cuori” e li invita a non ragionare secondo la logica del mondo – la vita eterna come eredità da ottenere – ma attraverso il dono di sé, “dal fare per sé all’essere con Lui”. E’ la proposta di “vita tagliente” che si traduce nel “seguimi” di Gesù.

Vieni: non stare fermo, perché non basta non fare nulla di male per essere di Gesù. Seguimi: non andare dietro a Gesù solo quando ti va, ma cercalo ogni giorno; non accontentarti di osservare dei precetti, di fare un po’ di elemosina e dire qualche preghiera: trova in Lui il Dio che ti ama sempre, il senso della tua vita, la forza di donarti.

Se al centro ci sono i soldi non c’è posto per Dio

E’ solo una la condizione per rispondere al “seguimi” di Gesù: avere un cuore libero, “non affollato di beni” perché questo impedisce di fare spazio al Signore “che diventerà una cosa come le altre”. “Per questo la ricchezza – afferma il Papa – è pericolosa e rende difficile persino salvarsi”.

Non perché Dio sia severo, no! Il problema è dalla nostra parte: il nostro troppo avere, il nostro troppo volere ci soffocano il cuore e ci rendono incapaci di amare. Perciò San Paolo ricorda che «l’avidità del denaro è la radice di tutti i mali». Lo vediamo: dove si mettono al centro i soldi non c’è posto per Dio e non c’è posto neanche per l’uomo.

Il cuore è una calamita

“Gesù è radicale – evidenzia il Papa – Egli dà tutto e chiede tutto: dà un amore totale e chiede un cuore indiviso”. Francesco ricorda che non possiamo dare in cambio delle briciole, o “una percentuale di amore”. O tutto o niente.

Il nostro cuore è come una calamita: si lascia attirare dall’amore, ma può attaccarsi da una parte sola e deve scegliere: o amerà Dio o amerà la ricchezza del mondo (cfr Mt 6,24); o vivrà per amare o vivrà per sé (cfr Mc 8,35). Chiediamoci da che parte stiamo. Gesù interroga ciascuno di noi e tutti noi come Chiesa in cammino: siamo una Chiesa che soltanto predica buoni precetti o una Chiesa-sposa, che per il suo Signore si lancia nell’amore?

Il salto in avanti nell’amore

Il Pontefice esorta poi a chiedere “la grazia di lasciare le ricchezze, lasciare le nostalgie di ruoli e poteri, lasciare le strutture non più adeguate all’annuncio del Vangelo, i pesi che frenano la missione, i lacci che ci legano al mondo”.

Senza un salto in avanti nell’amore la nostra vita e la nostra Chiesa si ammalano di «autocompiacimento egocentrico»: si cerca la gioia in qualche piacere passeggero, ci si rinchiude nel chiacchiericcio sterile, ci si adagia nella monotonia di una vita cristiana senza slancio, dove un po’ di narcisismo copre la tristezza di rimanere incompiuti.

Tristezza, amore incompiuto

Il segno della nostra reticenza al Signore è un cuore tiepido, “la tristezza è la prova dell’amore incompiuto”.

Un cuore alleggerito di beni, che libero ama il Signore, diffonde sempre la gioia, quella gioia di cui oggi c’è grande bisogno. Gesù oggi ci invita a ritornare alle sorgenti della gioia, che sono l’incontro con Lui, la scelta coraggiosa di rischiare per seguirlo, il gusto di lasciare qualcosa per abbracciare la sua via. I santi hanno percorso questo cammino.

Paolo VI, testimone di dialogo

Francesco ricorda infine la figura di Paolo VI, testimone di bellezza e gioia nel seguire Gesù pur nella fatica e nelle incomprensioni, sull’esempio dell’Apostolo del quale assunse il nome.

Come lui ha speso la vita per il Vangelo di Cristo, valicando nuovi confini e facendosi suo testimone nell’annuncio e nel dialogo, profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri. Oggi ci esorta ancora, insieme al Concilio di cui è stato il sapiente timoniere, a vivere la nostra comune vocazione: la vocazione universale alla santità. Non alle mezze misure, ma alla santità.

Mons. Romero, una vita per il Vangelo

Il Papa poi delinea la santità di tutti gli altri testimoni della fede, capaci di tradurre “con la vita la Parola di oggi, senza tiepidezza, senza calcoli, con l’ardore di rischiare e di lasciare”, come:

Mons. Romero che ha lasciato le sicurezze del mondo, persino la propria incolumità, per dare la vita secondo il Vangelo, vicino ai poveri e alla sua gente, col cuore calamitato da Gesù e dai fratelli. Lo stesso possiamo dire di Francesco Spinelli, di Vincenzo Romano, di Maria Caterina Kasper, di Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù e anche del nostro ragazzo abruzzese-napoletano, Nunzio Sulprizio: il santo giovane, coraggioso, umile che ha saputo incontrare Gesù nella sofferenza, nel silenzio e nell’offerta di sé stesso.

Il saluto alle autorità presenti

Papa Francesco all’Angelus ha ringraziato le delegazioni ufficiali di tanti Paesi presenti, venute a rendere omaggio ai nuovi Santi, “che hanno contribuito – ha detto il Pontefice – al progresso spirituale e sociale delle rispettive Nazioni”, tra di loro Sua Maestà la Regina Sofia, il Presidente della Repubblica Italiana, i Presidenti del Chile, di El Salvador e di Panamá. Infine un pensiero speciale all’Arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, e al gruppo delle Acli, molto legato a Paolo VI.
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(Ultimo aggiornamento domenica 14 ottobre 2018 ore 13.30)

A cura di Vaticannews.va

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