Benedetta Capelli – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Nel confessionale si incontra “un raggio di amore accogliente”, che trasforma il “cuore di pietra in cuore di carne”, che opera un cambiamento grazie alla misericordia e all’abbandono “tra le braccia di questo amore”. Papa Francesco usa parole appassionate per tratteggiare la forza del sacramento della Riconciliazione. Lo fa nell’udienza, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, ai partecipanti al 31.mo Corso sul Foro Interno, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica, in modalità on-line dall’8 marzo, e che ha visto la partecipazione di 870 chierici. Un corso che cade nel tempo di Quaresima: “tempo penitenziale e tempo di deserto, di conversione, di penitenza e – dice il Papa – di accoglienza della misericordia, anche per noi”.
Nell’amore che trasforma, c’è “una palestra” da frequentare, sottolinea Francesco, ed è l’amore per gli altri. Lì, infatti, possiamo corrispondere all’amore di Dio e alla sua misericordia con “un amore possibile”:
Chi è stato accolto dall’Amore, non può non accogliere il fratello. Chi si è abbandonato all’Amore, non può con consolare gli afflitti. Chi è stato perdonato da Dio, non può non perdonare di cuore ai fratelli.
Sono tre le espressioni che guidano la riflessione del Papa. La prima è “abbandonarsi all’amore” che significa compiere “un vero atto di fede”: “Dio chiama e l’uomo risponde”. “Andare a confessarsi – sottolinea Francesco – non è come andare in tintoria a togliere una macchia, è un’altra cosa”.
La fede è l’incontro con la Misericordia, con Dio stesso che è Misericordia, – il nome di Dio è Misericordia – ed è l’abbandono tra le braccia di questo Amore, misterioso e generoso, di cui tanto abbiamo bisogno, ma al quale, a volte, si ha paura ad abbandonarsi.
Il pericolo è di incontrare le braccia “della mentalità mondana” che porta “amarezza, tristezza e solitudine”. Così il confessore “dev’essere capace di stupirsi” per chi va a ricevere il perdono e mostra dolore per i propri peccati.
La resa implica il “lasciarsi trasformare dall’amore” – il secondo punto di riflessione – perché si cambia non per la serie di precetti da rispettare “ma per il fascino dell’amore percepito e gratuitamente offerto”. L’esempio più concreto è la morte in croce di Gesù per noi. “Tutto è consegnato, perché tutto sia perdonato” così “il buon confessore – afferma il Papa – è sempre chiamato a scorgere il miracolo del cambiamento, ad accorgersi dell’opera della Grazia nei cuori dei penitenti, favorendone il più possibile l’azione trasformante”.
Il penitente che incontra, nel colloquio sacramentale, un raggio di questo Amore accogliente, si lascia trasformare dall’Amore, dalla Grazia, iniziando a vivere quella trasformazione del cuore di pietra in cuore di carne – che è una trasformazione che si dà in ogni confessione. Anche nella vita affettiva è così: si cambia per l’incontro con un grande amore.
Abbandonati, trasformati e pronti a restituire amore. E’ questo il percorso suggerito dal Papa che nel “corrispondere all’amore”, ultima tappa della sua riflessione, sottolinea “che noi non potremo mai corrispondere pienamente all’Amore divino, per la differenza incolmabile tra il Creatore e le creature” ma Dio ci indica “un amore possibile, nel quale vivere tale impossibile corrispondenza: l’amore per il fratello”.
Il buon confessore indica sempre, accanto al primato dell’amore, l’indispensabile amore per il prossimo, come palestra quotidiana nella quale allenare l’amore per Dio. Il proposito attuale di non commettere ancora il peccato è il segno della volontà di corrispondere all’Amore.
Ma Francesco sa che spesso si prova vergogna a tornare dal confessore e così cita una poesia alla Madonna di un parroco argentino che chiedeva alla Vergine di custodirlo con la promessa di cambiare. La pregava di lasciare la chiave fuori dalla porta, nel caso peccasse di nuovo. “Sapeva che sempre ci sarà la chiave per aprire, perché è stato Dio, la tenerezza di Dio, a lasciarla fuori”.
Il riconciliarsi frequentemente, spiega il Papa, “diventa, sia per il penitente che per il confessore, una via di santificazione, una scuola di fede, di abbandono, di cambiamento e di corrispondenza all’amore misericordioso del Padre”. “Un servizio importante per la santificazione del popolo santo di Dio”
Cari fratelli, ricordiamo sempre che ciascuno di noi è un peccatore perdonato,perdonato – se uno di noi non si sente così, meglio che non vada a confessarsi, meglio che non faccia il confessore – un peccatore perdonato, posto al servizio degli altri, perché anch’essi, attraverso l’incontro sacramentale, possano incontrare quell’Amore che ha affascinato e cambiato la nostra vita.
Sono molte le raccomandazioni di Francesco ai confessori che invita ad “essere misericordiosi” che “non significa essere di manica larga, ma fratello, padre, consolatore”. Un “atteggiamento religioso che – afferma il Papa – nasce da questa coscienza di essere peccatore perdonato che deve avere il confessore”.
Accogliere in pace, accogliere con paternità, ognuno saprà come è l’espressione della paternità: il sorriso, gli occhi in pace … Accogliere offrendo tranquillità, e poi lasciare parlare. A volte, il confessore si accorge che c’è una certa difficoltà ad andare avanti con un peccato; ma se capisce, non faccia domande indiscrete.
Fermarsi per “non fargli più dolore, più tortura” e senza domande inutili evitando di sembrare “lo sceriffo che ti torturerà”.
Nel saluto finale, Francesco chiede di affidare il ministero prezioso che i confessori sono chiamati a svolgere a san Giuseppe, “uomo giusto e fedele”. Poi il Papa si è scusato perchè è rimasto seduto “ma – ha affermato – dopo il viaggio le gambe si fanno sentire”. Il riferimento è alla visita in Iraq, Paese dal quale è tornato lunedì scorso.
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