Debora Donnini – Città del Vaticano
In una società afflitta da violenza e diseguaglianze e segnata dalla pandemia, il sacerdote è chiamato a portare uno sguardo di “tenerezza, riconciliazione e fratellanza”, conformandolo così a quello con cui il Signore “ci contempla”. Su queste tre parole chiave il Papa intesse il suo discorso parlando in spagnolo alla comunità del Pontificio Collegio Messicano, ricevuta in udienza. È la configurazione sempre più profonda con il Buon Pastore a suscitare “in ogni sacerdote un’autentica compassione, sia per le pecore che gli sono affidate, sia per quelle che si sono smarrite”, rimarca Francesco. Centrale anche l’esortazione a prendere coscienza e correggere le proprie carenze e a non sottovalutare le tentazioni mondane.
Di formazione si occupa infatti il Pontificio Collegio Messicano. Venne fondato nel 1967 e in origine fu concepito come seminario, ma molto presto consolidò la propria identità come comunità sacerdotale, con la missione di favorire la formazione permanente integrale dei sacerdoti messicani inviati a Roma dai rispettivi vescovi, per porla poi al servizio del Popolo di Dio una volta rientrati in patria. All’inizio del suo intervento il Papa ringrazia il rettore, padre Víctor Ulises Vásquez Moreno, per aver ricordato le principali sfide per l’evangelizzazione del Messico e dell’intero continente americano, in particolare a causa della pandemia. Sfide che hanno impatto anche sul cammino di formazione permanente che i sacerdoti intraprendono.
In questo senso è dunque “essenziale armonizzare la dimensione accademica, spirituale, umana e pastorale nella formazione permanente”. E allo stesso tempo il Papa esorta a “prendere coscienza” delle “carenze personali e comunitarie, così come – indica – delle negligenze e mancanze che dobbiamo correggere nella nostra vita”. Invita a “non sottovalutare le tentazioni mondane che possono portarci a una conoscenza personale insufficiente, ad atteggiamenti autoreferenziali, al consumismo e alle molteplici forme di fuga dalle nostre responsabilità”. Richiamandosi a De Lubac, Francesco ricorda che “la mondanità spirituale è il peggiore dei mali che può capitare alla Chiesa”.
Per uno sguardo di tenerezza di fronte ai problemi odierni, come la mancanza di speranza specie fra i più giovani e la corruzione, il Papa offre, poi, come modello Maria che con materna tenerezza riflette l’amore di Dio che “accoglie tutti”. “Per questo però è necessario lasciarsi modellare dal Signore perché si intensifichi “la nostra carità pastorale, dove nessuno è escluso dalla nostra sollecitudine e dalla nostra preghiera”. Questo tra l’altro impedisce di isolarsi in casa, in ufficio o in passatempi e “incoraggia ad uscire per incontrare persone, a non stare fermi”. Quindi, invita a non clericalizzarsi: “il clericalismo è una perversione”, afferma.
Per quanto riguarda la riconciliazione i pastori sono chiamati a contribuire a “ricostruire relazioni rispettose e costruttive tra persone”, a “intessere i diversi fili che si sono assottigliati o sono stati tagliati nella tilma multicolore di culture che formano il tessuto sociale e religioso della nazione, prestando attenzione, soprattutto, a quanti sono scartati a causa delle loro radici indigene o della loro particolare religiosità popolare”. Bisogna, dunque, proporre a tutti di “lasciarsi riconciliare da Dio” e di impegnarsi per il ristabilimento della giustizia.
Quindi Francesco ricorda come il tempo attuale spinga ad avere uno sguardo di fratellanza. Di fronte a una realtà globalizzata e interconnessa dalle reti sociali e dai mezzi di comunicazione, serve “una visione dell’insieme e dell’unità, che ci spinga a creare fraternità, che ci permetta di evidenziare i punti di connessione e interazione all’interno delle culture e all’interno del mondo ecclesiale”, sottolinea ancora Francesco. Bisogna anche incoraggiare i fedeli a essere rispettosi della nostra casa comune e costruttori di un mondo nuovo, in collaborazione con tutti. “Per questo serve la fede e la saggezza “di chi sa ‘togliersi i calzari’ per contemplare il mistero di Dio e, da quell’ottica, leggere i segni dei tempi”.
Infine, il richiamo a “non smettere di approfondire le radici della fede” che provengono da “un ricco processo d’inculturazione del Vangelo, del quale è modello Nostra Signora di Guadalupe,” che ricorda “l’amore preferenziale di suo Figlio Gesù nel renderci partecipi del suo sacerdozio”. All’inizio del suo discorso il Papa aveva sottolineato come lo accompagnasse, oggi, “il vivo ricordo degli incontri avuti con il santo Popolo di Dio” nel corso del suo viaggio apostolico in Messico, nel 2016. Un ricordo, aveva rimarcato, “che in un certo modo si rinnova ogni anno con la celebrazione della Solennità di Nostra Signora di Guadalupe qui nella Basilica Vaticana”. Ed è proprio a “La Morenita, Madre di Dio e Madre nostra” che li invita a ricorrere con fiducia. A Lei e a san Giuseppe, conclude il Papa, “chiedo di prendersi cura di tutto il clero del Messico e della comunità di questo Pontificio Collegio Messicano”.
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