Il valore sacro della vita del malato “non scompare né si oscura, ma brilla con più splendore” nella sua sofferenza. Lo ha ribadito il Papa ai dirigenti degli Ordini dei medici di Spagna e America Latina, ricevuti in 150 in Sala Clementina alla vigilia del Giubileo degli ammalati e delle persone disabili, in programma da domani a domenica. Il Pontefice, parlando in spagnolo, ha esortato a non nascondersi dietro una “presunta pietà per giustificare e approvare la morte” di un paziente.
La posta “in gioco” è la dignità della vita umana e, con essa, la dignità della vocazione medica. Papa Francesco si rivolge direttamente agli operatori sanitari di Spagna e America Latina e ricorda loro che il valore sacro della vita del malato “non scompare né si oscura, ma brilla con più splendore” nella sua sofferenza:
“No se puede ceder”…
Non si può “cedere” – sottolinea – alla tentazione di “applicare soluzioni rapide e drastiche”, guidati da una “falsa compassione” e da meri criteri di efficienza e risparmio economico. Il riferimento è chiaro: nella nostra cultura “tecnologica e individualista” – osserva – la compassione, che “non è peccato” ma “soffrire con”, non sempre è ben accolta: a volte addirittura viene disprezzata perché può essere interpretata come una “umiliazione” per chi la riceve, oppure ci sono persone che si nascondo dietro una “presunta compassione per giustificare e approvare la morte” di un paziente.
“La verdadera compasión no margina a nadie”…
La vera compassione, aggiunge Francesco, “non emargina, non umilia e non esclude nessuno” e tanto meno considera una buona cosa la scomparsa di un essere umano. Se così non fosse, si assisterebbe al “trionfo dell’egoismo, di quella ‘cultura dello scarto’ che rifiuta e disprezza le persone che non soddisfano determinati standard di salute, bellezza, utilità”:
“A mí me gusta bendecir las manos de los médicos”…
Gli piace, racconta, “benedire le mani dei medici” come segno di riconoscimento della compassione che si fa carezza di salute. Perché la salute è “uno dei doni più preziosi e desiderati da tutti”. Quanto fa bene, prosegue, all’esercizio della medicina pensare e sentire che “il malato è nostro vicino”, che “nel suo corpo lacerato si riflette il mistero della carne di Cristo stesso”. L’identità e l’impegno del medico non si basano soltanto su conoscenza ed esperienza, spiega, ma soprattutto sull’attitudine “compassionevole e misericordiosa verso coloro che soffrono nel corpo e nello spirito”:
“La compasión, esto padecer-con, es la respuesta adecuada…
La compassione è dunque la “risposta adeguata” al valore immenso della persona malata, una “risposta fatta di rispetto, comprensione e tenerezza”. Nell’esercizio della medicina, aggiunge, c’è dunque bisogno di un “cuore compassionevole”, che a volte non si coniuga con i mezzi e le tecniche del mestiere. D’altra parte “fragilità, dolore e malattia sono una dura prova per tutti, anche per il personale medico”, ma sono pure un invito alla pazienza, a “soffrire con”, ad essere “personificazione della misericordia”, soprattutto nell’Anno Santo in corso. Perché il medico è come un “buon samaritano”: come Gesù “non passa oltre la persona derelitta al bordo del cammino, ma mosso da compassione la cura e la soccorre”. Il pensiero conclusivo del Papa – che sorridendo dice di avere in sé “qualcosa del medico” – va ai sanitari stessi, che possono fare “tanto bene”, e alle loro famiglie che “devono accompagnare, supportando la vocazione del medico, che è come un sacerdozio”.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va/Giada Aquilino)