Papa Francesco: “Si comunica con l’anima e con il corpo; si comunica con la mente, con il cuore, con le mani; si comunica con tutto. Il vero comunicatore dà tutto, dà tutto sé stesso – come diciamo nella mia terra: “mette tutta la carne al fuoco”, tutta, non risparmia per sé. Ed è vero che la comunicazione più grande è l’amore: nell’amore c’è la pienezza della comunicazione: amore a Dio e tra noi”…
Nella splendida cornice della Sala Regia, in Vaticano, ai dirigenti e al personale del Dicastero per la Comunicazione, il Papa sceglie di parlare a braccio “per comunicare meglio”, per dire ciò che ha in cuore sulla comunicazione. Consegna dunque il discorso preparato
al prefetto Paolo Ruffini, primo laico, sottolinea il Papa, a ricoprire il ruolo di prefetto di un Dicastero vaticano, perché lo faccia comunque conoscere a tutti i dipendenti.Le sue prime parole spontanee sono di ringraziamento per il lavoro svolto da tutta la grande famiglia impegnata nella comunicazione vaticana, per poi definire che cosa c’è all’origine di ogni comunicazione stessa. E’ il desiderio di Dio, dice, di comunicare, Dio che comunica all’interno di se stesso e si comunica a noi.
Questo è l’inizio della comunicazione: non è un lavoro di ufficio, come la pubblicità, per esempio: no. Comunicarsi è proprio prendere dall’Essere di Dio e avere lo stesso atteggiamento; non poter rimanere da soli: il bisogno di comunicare quello che ho io e penso che sia il vero, il giusto, il buono e il bello. Comunicare. E voi, siete specialisti in comunicazione, siete tecnici nella comunicazione:
E il Papa prosegue: “Si comunica con l’anima e con il corpo, con la mente e con il cuore, con le mani; si comunica con tutto.” Il vero comunicatore dà tutto sé stesso, mette tutto sé stesso nel comunicare, non si risparmia. Ma la comunicazione più grande, sottolinea Francesco, è l’amore. Quindi la prima indicazione: una delle cose che voi non dovete fare – afferma Francesco – è fare solo pubblicità, come fanno le imprese umane che cercano di avere sempre più persone. “Non dovete fare proselitismo”, dice, io vorrei che la vostra comunicazione fosse cristiana, non deve fare proselitismo. La Chiesa non cresce se non per attrazione e la comunicazione deve essere testimonianza.
Se voi volete comunicare soltanto una verità senza la bontà e la bellezza, fermatevi, non fatelo. Se voi volete comunicare una verità più o meno, ma senza coinvolgervi, senza testimoniare con la propria vita, con la propria carne quella verità, fermatevi, non fatelo. C’è sempre la firma della testimonianza in ognuna delle cose che noi facciamo. Testimoni: cristiani vuol dire testimoni. Martiri. E’ questa la dimensione martiriale della nostra vocazione: essere testimoni.
La seconda cosa che Francesco vuole sottolineare è una certa rassegnazione che tante volte entra nel cuore dei cristiani. Il mondo è pagano e questo è da sempre, dice, la mondanità non è una cosa nuova, è sempre stata un pericolo per la Chiesa. Tanti sostengono, prosegue, che la nostra realtà è essere una chiesa piccola ma ‘autentica’. Una parola che al Papa non piace: se una cosa è, dice, non è necessario definirla ‘autentica’. Non bisogna cedere alla tentazione della rassegnazione, si siamo pochi, è vero, ma siamo poco come lievito, come sale.
La rassegnazione nella sconfitta culturale – permettetemi di chiamarla così – viene dal cattivo spirito, non viene da Dio. Non è spirito cristiano, la lamentela della rassegnazione. Questa è la seconda cosa che io vorrei dirvi: non avere paura; siamo pochi? Sì: ma con la voglia di ‘missionare’, di far vedere agli altri chi siamo. Con la testimonianza, una volta in più, ripeto quella frase di San Francesco ai suoi frati, quando li mandava a predicare: “Predicate il Vangelo, e se fosse necessario, anche con le parole”, cioè la testimonianza al primo posto.
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