Categorie: Caritas et Veritas

Papa Francesco in dialogo con Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II

“Fare la canonizzazione di tutti e due insieme è un messaggio alla Chiesa: questi due sono bravi, sono bravi”.



La frase che papa Francesco pronunciò il 29 luglio dell’anno scorso, sull’aereo che lo riportava a Roma dalla festa della Giornata mondiale della gioventù, spiega la scelta di proclamare santi contemporaneamente, il 27 aprile, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Ma, accanto al fatto di indicare alla Chiesa tutta l’esempio di due “bravi” papi, che hanno vissuto la santità, la decisione di papa Francesco non è solo la naturale conclusione di processi canonici iniziati ben prima dell’inizio dell’attuale pontificato, ma espressione di un “rapporto” con i due Papi che lo stesso Francesco ha indicato più volte. Nella bimillenaria storia della Chiesa, infatti, al di là di differenze personali e dei cambiamenti portati dall’evolversi delle situazioni e dei tempi, c’è sempre un filo, una consequenzialità che lega tra loro i pontificati. A volte il filo è più forte e sono gli stessi successori a evidenziarlo, al di là del rispetto – e magari dell’affetto – che li lega ai loro predecessori. Più diretto quello di Francesco con Giovanni Paolo II, che nel 1992 nominò Bergoglio vescovo e nel 2001 lo creò Cardinale. Di Karol Woytjla, Francesco sottolineando la coerenza, il coraggio e la forza missionaria ha in certo modo evidenziato caratteristiche che egli stesso ha e che vuole infondere in tutta la Chiesa. Stesso discorso per l’umiltà e l’abbandono alla volontà di Dio esaltate in Papa Giovanni.

Giovanni Paolo II, coerenza e coraggio-.  Per quanto riguarda Giovanni Paolo II, si può risalire alla morte del Papa polacco: celebrando il 4 aprile 2005 una messa nella cattedrale di Buenos Aires, il cardinale Bergoglio parlò della “coerenza”,

quale prima virtù per seguire il cammino di Cristo e segno caratteristico della personalità del Papa defunto. “Giovanni Paolo II – disse – è semplicemente stato coerente, non ha mai ingannato, mai ha mentito, mai ha manipolato”. Ma la  coerenza “non si compra”, “non si studia”,va coltivata nel cuore con l’adorazione, con l’unzione del servizio agli altri e una retta condotta”. Wojtyla era coerente, quindi, “perché si è lasciato cesellare dalla volontà di Dio. Si è lasciato umiliare dalla volontà di Dio. Lasciò che crescesse nel suo animo questa attitudine all’obbedienza che ebbe il nostro padre Abramo e poi tutti coloro che lo seguirono”. Ancora, il primo maggio 2011, poi, mentre a Roma Benedetto XVI presiedeva la messa di beatificazione di Karol Wojtyla, l’arcivescovo Bergoglio celebrando una messa solenne di ringraziamento affermò: “Giovanni Paolo II non ha avuto paura perché ha vissuto la sua vita contemplando il Signore Risorto, e possano risuonare anche oggi nel nostro cuore le parole di Gesù e del beato Giovanni Paolo: Non abbiate paura”. Sono frasi nelle quali si evidenziano affermazioni che caratterizzano l’attuale pontificato. Ancora il 29 luglio dell’anno scorso, rispondendo a domande dei giornalisti Francesco ha detto: “di Giovanni Paolo II mi viene da dire: grande missionario della Chiesa. E’ un missionario, uno che ha portato il Vangelo dappertutto, voi lo sapete meglio di me, andava, eh, sentiva questo fuoco di portare avanti la parola del Signore, è un San Paolo, un uomo così, questo per me è grande”. Quanto a Giovanni XXIII, aggiunse, “è un po’ la figura del prete di campagna, del prete che ama ognuno dei fedeli, che sa curare i fedeli. E questo lo ha fatto come vescovo, come nunzio”. “Giovanni XXIII era un grande. Un grande. E poi il Concilio, un uomo docile alla voce di Dio. Perché quello gli è venuto dallo Spirito Santo, e lui è stato docile”, “un uomo che si è lasciato guidare dal Signore”. Tornando al Papa polacco. In Francesco non ci sono solo affermazioni nelle quali si sente il richiamo a una Chiesa che “esce” senza paura per portare il messaggio del Vangelo, tema centrale del suo insegnamento, ci sono i gesti. Come quello del 2 aprile dell’anno scorso, quando, papa da meno di un mese, verso le 19, dopo la chiusura serale della basilica Vaticana, ha compiuto una visita alla tomba di Giovanni Paolo II, nell’ottavo anniversario della morte. Visita ripetuta il 31 ottobre, quando, alle 7 del mattino si è unito ai polacchi che ogni giovedì si riuniscono per una messa sulla tomba del “loro”
papa. Significativo, infine, il riferimento a Giovanni Paolo II contenuto nel messaggio per la Giornata mondiale della gioventù – a livello diocesano – del 13 aprile, pubblicato il 6 febbraio, nel quale c’è l’annuncio che papa Woytjla “sarà il grande patrono delle GMG, di cui è stato l’iniziatore e il trascinatore”.

Giovanni XXIII, umiltà e abbandono alla volontà di Dio-.  Se queste sono le impronte di Giovanni Paolo II sottolineate da Francesco, umiltà, preghiera e abbandono alla volontà di Dio – ricorrenti nell’insegnamento dell’attuale Papa – sono caratteristiche che papa Bergoglio ha più volte evidenziato in Giovanni XXIII. E anche se, per motivi anagrafici, non c’è stato un rapporto personale, Francesco ha ricordato l’emozione che accompagnò la notizia della morte del Papa buono, il 3 giugno 1963. “Chi, come me, ha una certa età, – ha detto a un pellegrinaggio di bergamaschi nel 50mo di quel giorno – mantiene un vivo ricordo della commozione che si diffuse ovunque in quei giorni”. “Il mondo intero aveva riconosciuto in Papa Giovanni un pastore e un padre. Pastore perché padre. Che cosa lo aveva reso tale? Come aveva potuto arrivare al cuore di persone così diverse, persino di molti non cristiani? Per rispondere a questa domanda, possiamo richiamarci al suo motto episcopale, Oboedientia et pax: obbedienza e pace”. “Se la pace è stata la caratteristica esteriore, l’obbedienza ha costituito per Roncalli la disposizione interiore: l’obbedienza, in realtà, è stata lo strumento per raggiungere la pace. Anzitutto essa ha avuto un senso molto semplice e concreto: svolgere nella Chiesa il servizio che i superiori gli chiedevano, senza cercare nulla per sé, senza sottrarsi a nulla di ciò che gli veniva richiesto”. Attraverso questa obbedienza, papa Roncalli “ha però vissuto anche una fedeltà più profonda, che potremmo definire, come lui avrebbe detto, abbandono alla divina Provvidenza”. “Era un uomo di governo, era un conduttore. Ma un conduttore condotto, dallo Spirito Santo, per obbedienza”. “E questo è un insegnamento per ciascuno di noi, ma anche per la Chiesa del nostro tempo: se sapremo lasciarci condurre dallo Spirito Santo, se sapremo mortificare il nostro egoismo per fare spazio all’amore del Signore e alla sua volontà, allora troveremo la pace, allora sapremo essere costruttori di pace e diffonderemo pace attorno a noi”. Considerazioni analoghe papa Francesco le ha svolte il 6 giugno 2013, quando ha indicato Giovanni XXIII come esempio e modello ai giovani sacerdoti che frequentano l’Accademia ecclesiastica, dove si formano i futuri rappresentanti pontifici. A loro, parlando del “ministero al quale vi preparate” ha indicato l’esempio di Giovanni XXIII. “Rileggendo i suoi scritti, impressiona la cura che egli sempre pose nel custodire la propria anima, in mezzo alle più svariate occupazioni in campo ecclesiale e politico. Da qui nascevano la sua libertà interiore, la letizia che trasmetteva esternamente, e la stessa efficacia della sua azione pastorale e diplomatica”. Nei due nuovi santi del 27 aprile, dunque, in certo modo papa Francesco si specchia. Lo hanno sottolineato quelli che oggi sono due cardinali, ma che sono stati i segretari di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. “Al termine della mia vita – ha detto il card. Loris Capovilla – tocco con mano che alcune intuizioni di papa Giovanni vengono oggi messe sul tappeto da papa Francesco. Nel discorso agli ambasciatori che hanno presentato le credenziali qualche giorno fa, lui ha detto che la Chiesa deve preoccuparsi in particolar modo degli ultimi. Ha ripetuto la stessa frase di papa Giovanni nel radiomessaggio un mese prima dell’apertura del Concilio, l’11 settembre: “La Chiesa è di tutti e nessuno è escluso, ma è particolarmente la Chiesa dei poveri”. E il card. Stanislaw Dziwisz ha osservato che “Bergoglio parla la lingua della povertà, con discorsi freschi, e la Chiesa ha bisogno di questo carisma. E poi assomiglia a Karol Wojtyla”. “Sono convinto -ha aggiunto- che la storia li accomunerà in un’opera: avere aperto le porte della Chiesa a tutti, rendendola più vicina alla vita quotidiana e concreta della gente; avere creato ponti anche con ‘mondi’ lontani e avversi”.




di di Franco Pisano, giornalista di asianews

 

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