Papa Francesco ha incontrato i vescovi, sacerdoti, religiosi, catechisti della Grecia nella cattedrale cattolica di San Dionigi
L’incontro si svolge nella cattedrale intitolata a San Dionigi l’Aeropagita, antico edificio sacro dalle mura dipinte con scene evangeliche, dove il Pontefice viene accolto da un sacerdote, padre Giovanni, che gli avvicina un crocifisso in legno che il Papa si china e bacia e da padre Mario, un altro giovane prete, che gli porge l’acqua benedetta. Fragorosi applausi e lo sventolio di bandiere bianco celesti della Grecia accompagnano il passaggio del Vescovo di Roma lungo la navata.
Il saluto dell’arcivescovo emerito di Atene, Sevastianos Rossolatos, presidente della Conferenza episcopale greca, introduce l’incontro; seguono le testimonianze di una suora e un laico. “Καλησπέρα”, “buonasera”, esordisce Francesco, che si dice grato e contento di essere in questa terra che è “dono” e “patrimonio dell’umanità”.
Siamo un po’ tutti figli e debitori del vostro Paese: senza la poesia, la letteratura, la filosofia e l’arte che si sono sviluppate qui, non potremmo conoscere tante sfaccettature dell’esistenza umana, né soddisfare molte domande interiori sulla vita, sull’amore, sul dolore e sulla morte.
È proprio nell’alveo di questo ricco patrimonio che agli inizi del cristianesimo è stato inaugurato “un ‘laboratorio’ per l’inculturazione della fede”. Fu l’apostolo Paolo, e proprio ad Atene, a sintetizzare “due mondi”, favorendo l’incontro tra cristianesimo delle origini e cultura greca. Il Papa invita a farsi orientare da due atteggiamenti dell’apostolo “utili alla nostra attuale elaborazione della fede”. Il primo è, appunto, la fiducia. Paolo predicava e alcuni filosofi lo chiamano “ciarlatano”, lo mettono all’angolo, lo trattano come ospite poco gradito. Non vive, insomma, “un momento trionfante”.
Anche noi avvertiamo la fatica e talvolta la frustrazione di essere una piccola comunità, o una Chiesa con poche forze che si muove in un contesto non sempre favorevole.
La vicenda ateniese di Paolo è di aiuto: è solo, in minoranza, con scarse probabilità di successo, ma “non si è lasciato vincere dallo scoraggiamento, non ha rinunciato alla missione. E non si è lasciato prendere dalla tentazione di lamentarsi… Attenti alle lamentele!”. “Ecco l’atteggiamento del vero apostolo – dice il Papa – andare avanti con fiducia, preferendo l’inquietudine delle situazioni inattese all’abitudine e alla ripetizione”.
Questa stessa fiducia Francesco vuole infonderla nella Chiesa cattolica greca: “Essere Chiesa piccola ci rende segno eloquente del Vangelo, del Dio annunciato da Gesù che sceglie i piccoli e i poveri, che cambia la storia con le gesta semplici degli umili”.
“A noi, come Chiesa, non è richiesto lo spirito della conquista e della vittoria, la magnificenza dei grandi numeri, lo splendore mondano. Tutto ciò è pericoloso. È la tentazione del trionfalismo.”
“Benedite la piccolezza e accoglietela…”, esorta quindi il Papa. “Essere minoritari – e nel mondo intero la Chiesa è minoritaria – non vuol dire essere insignificanti, ma percorrere la via aperta dal Signore”, che è quella “della kenosis, dell’abbassamento, della condiscendenza”.
Con questo spirito, non perdendo mai “l’entusiasmo del servizio”, il Papa incoraggia ad essere accoglienti che non significa voler “occupare lo spazio e la vita dell’altro, ma seminare la buona notizia nel terreno della sua esistenza, imparando anzitutto ad accogliere e riconoscere i semi che Dio ha già posto nel suo cuore, prima del nostro arrivo”.
Dio precede sempre la nostra semina. Evangelizzare non è riempire un contenitore vuoto, è anzitutto portare alla luce quello che Dio ha già iniziato a compiere.
Paolo nell’Aeropago non dice “state sbagliando tutto” oppure “adesso vi insegno la verità”, ma inizia con l’accogliere il loro spirito religioso. Riconosce, cioè, “dignità” ai suoi interlocutori e accoglie la loro “sensibilità religiosa”, secondo uno stile non “impositivo” ma “propositivo”, basato non sul “proselitismo” ma sulla “mitezza di Gesù”.
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“Anche a noi oggi – rimarca Francesco – è richiesto l’atteggiamento dell’accoglienza, lo stile dell’ospitalità, un cuore animato dal desiderio di creare comunione tra le differenze umane, culturali, religiose”.
“La sfida è elaborare la passione per l’insieme, che ci conduca – cattolici, ortodossi, fratelli e sorelle di altri credo – ad ascoltarci reciprocamente, a sognare e lavorare insieme, a coltivare la “mistica” della fraternità”
“La storia passata rimane ancora una ferita aperta sulla strada di questo dialogo accogliente, ma abbracciamo con coraggio la sfida di oggi!”, conclude il Papa. E si congeda dicendo: “O Theós na sas evloghi! Dio vi benedica!”.
(Di Salvatore Cernuzio)
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