Benedetta Capelli – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Nel cuore del Papa ci sono urgenze che non possono essere dimenticate come l’Ucraina, di cui stigmatizza lo scivolamento in secondo piano almeno sui giornali. Un’urgenza che Francesco condivide in modo spontaneo, ricevendo in Vaticano i membri dell’Ordine della Madre di Dio e della Congregazione della Missione, che stanno concludendo i lavori capitolari, e i rappresentanti dell’Ordine Basiliano di San Giosafat, che invece hanno appena iniziato.
Un’udienza a tre diverse comunità religiose – spiega Francesco – che, rompendo “il digiuno” del mese di luglio, osserva che qualcuno possa pensare a “una ‘macedonia’ di istituti ma bella come la varietà della Chiesa”. Rivolgendosi in particolare ai Basiliani ucraini, il Papa esprime tutta la sua vicinanza.
Vorrei dirvi che vi sono vicino, tutta la Chiesa è vicina, tutta. Vi accompagniamo come possiamo nel vostro dolore. Io tante volte penso che uno dei pericoli più grandi adesso è dimenticare il dramma dell’Ucraina. Uno si abitua, si abitua… e poi non è tanto importante e si parla… Uno dei giorni scorsi, ho visto sul giornale che la notizia sulla guerra era alla pagina 9! Non è un problema di interesse, è brutto questo, è brutto. Per questo vi siamo vicini e tutti noi dobbiamo guardare loro perché loro in questo momento sono sul martirio. Voi siete sul martirio. E vi auguro che il Signore abbia compassione di voi e in un altro modo vi sia vicino con la pace e il dono della pace.
L’altra urgenza che Francesco evidenzia riguarda il problema degli abusi nella Chiesa. Ricorda la linea da seguire che è tolleranza zero.
Noi siamo religiosi, siamo sacerdoti per portare la gente a Gesù, non per “mangiare” la gente con la nostra concupiscenza. E l’abusatore distrugge, “mangia” l’abusato con la sua concupiscenza. Tolleranza zero. Non abbiate vergogna di denunciare: “Questo ha fatto questo, quell’altro…” “Ti accompagno, sei un peccatore, sei un ammalato, ma io devo proteggere gli altri”. Per favore vi chiedo questo, tolleranza zero. Non si risolve questo con un trasferimento. “Ah, in questo continente lo mando all’altro continente…”. No.
Mentre ricorda l’importanza della gioia comunitaria, il Papa tratteggia uno dei pericoli più grandi ovvero il chiacchiericcio che la uccide, che “distrugge, non solo la comunità, distrugge me stesso”.
Il chiacchiericcio non è da uomini, il chiacchiericcio rende le persone superficiali, che vanno portando le cose da una parte all’altra e così vivono. Per favore, custodite la lingua. So che non è facile in una Congregazione religiosa evitare il chiacchiericcio. Una volta mi hanno detto che c’è una buona medicina per questo: mordersi la lingua a tempo. Sì si gonfierà un po’, ma almeno… Per favore, vi chiedo: niente chiacchiericcio. Questo ammazza, questo distrugge.
Evangelizzazione, fraternità, gioia. Sono le parole che il Papa ripete più volte nell’udienza, nella quale si sofferma e che riguarda l’importanza “di essere di Cristo” ma anche perdonati da lui. Una gioia – afferma – che traspare ed è contagiosa.
È la gioia dei Santi e delle Sante, che, se sono fondatori, non lo sono per nascita. Non si nasce fondatori! Lo si diventa per attrazione: nel duplice senso che prima di tutto Cristo attrae a Sé quell’uomo o quella donna; e così lo o la rende capace di attirare altri a Lui. Sottolineiamo questo “a Lui”: il santo non attira a sé ma sempre al Signore. Dunque, umiltà e semplicità di cuore e gioia. Questa è la strada di una fraternità evangelizzante. Impossibile agli uomini, ma non a Dio!
Il Papa ricorda che il Capitolo è un “momento di discernimento comunitario” che, oggi fortunatamente si può realizzare in presenza e in cui verificare in che misura si è fedeli al carisma, nell’ascolto dello Spirito, vero “protagonista del Capitolo”. “Una delle esperienze più fortemente ecclesiali”. Sui carismi, Francesco ricorda l’importanza di interpretarlo alla luce dell’evangelizzazione perché questi aiutano ad edificare la Chiesa.
Pensate che la vocazione della Chiesa è evangelizzare, anzi la gioia della Chiesa è evangelizzare, questo lo ha detto il Santo Papa, Paolo VI, in quella Lettera che anche oggi, passati tanti anni, ha attualità, la Evangelii Nuntiandi. La vocazione della Chiesa è evangelizzare, la gioia della Chiesa è evangelizzare.
Riferendosi ai Santi che hanno fondato i vari ordini come San Giovanni Leonardi, San Giosafat e San Vincenzo de’ Paoli, il Papa li indica come “evangelizzatori con lo Spirito”, che pregano e lavorano.
Evangelizzatori, non proselitisti, perché evangelizzare non è fare proselitismo, niente a che vedere l’uno con l’altro.
Francesco su questo invita a farsi domande: “Faccio adorazione? Io so cosa adorare? So adorare in silenzio”. L’altra questione sulla quale esorta a riflettere riguarda la gioia comunitaria, espressione di una vita fraterna, “la grande sfida della vita comune, inconcepibile per la mentalità del mondo” che “richiede un atteggiamento quotidiano di conversione, richiede disponibilità a mettersi in discussione, vigilanza sulle rigidità come pure su una tolleranza eccessiva e ‘di comodo’. Soprattutto richiede umiltà e semplicità di cuore”. E’ la fraternità libera, “non una cosa sdolcinata, non una concordia di facciata, non un’omogeneità appiattita sulla personalità del superiore o di qualche leader”.
E da qui viene la gioia. E’ così come ho fatto la domanda “ Io adoro?” che ognuno di voi deve farsi, “Io so adorare in silenzio?”, anche vorrei farvene un’altra: “Io sono gioioso nella mia vocazione o vado come posso o cerco la gioia altrove?”. Una gioia vera, non formale, non quella gioia con il sorriso “così” che non dice nulla, il sorriso artificiale, “fratello, fratello” e poi il pugnale da dietro. Succede, succede, lo sappiamo. La gioia non formale, non il sorriso artificiale.
Pregando lo Spirito Santo e la Vergine Maria, Francesco chiede, al termine dell’udienza, di pregare per lui “perché – conclude – questo lavoro non è facile”.
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