Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano per Vaticannews.va
Essere “giovani credenti responsabili credibili”. Quindi interessarsi alla “realtà sociale”, mutata, anzi, stravolta dalla pandemia. E prendersi cura della gente, soprattutto dei più deboli, ricordando che il motto del cristiano è “mi interessa” e non “me ne frego”.
“È più pericolosa di un cancro la malattia del menefreghismo dei giovani”.
Chiare e concrete le indicazioni di Papa Francesco al popolo di Azione Cattolica, che ha affollato oggi l’Aula Paolo VI. Circa duemila i giovani, i sacerdoti e le famiglie venute da tutta Italia in questi giorni a Roma per un convegno mirato al confronto su come trasformare i propri incarichi associativi in occasioni per prendersi cura e mettersi al servizio dei territori, delle persone che ciascuno incontra nel cammino della vita e nei “luoghi” che abitano gli uomini e le donne di oggi.
Tutti hanno preso parte oggi all’udienza del Papa, che hanno riempito il lungo tempo di attesa per l’arrivo del Pontefice cantando l’inno della Gmg del 2022 Jesus Christ, you are my life e sventolando bandiere con il logo dell’AC e bandane rosse e gialle. Presente, tra le prime file, anche l’ex ministra italiana Rosy Bindi. Cori di W il Papa, Francesco, Francesco e applausi fragorosi hanno salutato l’ingresso del Pontefice in Aula, in piedi, con un bastone. “Ma almeno sapete fare rumore, è una cosa. Avanti!”, scherza infatti il Papa.
Il saluto del presidente Giuseppe Notarstefano e le esperienze di alcuni ragazzi e ragazze responsabili parrocchiali danno lo spunto a Francesco per il suo discorso, aperto con una nota personale.
Vi dico subito che apprezzo molto il fatto che a voi sta a cuore la parrocchia. Anche a me sta a cuore! Ma io sono di un’altra generazione. Sono nato e cresciuto in un contesto sociale ed ecclesiale diverso, quando la parrocchia – con il suo parroco – era un punto di riferimento centrale per la vita della gente: la Messa domenicale, la catechesi, i sacramenti…
La realtà socioculturale in cui oggi i giovani vivono “è molto cambiata” e già da tempo, riconosce il Papa: “La missione della Chiesa è stata ripensata, in particolare la parrocchia. Ma, in tutto questo, rimane una cosa essenziale”. La parrocchia è infatti “l’ambiente ‘normale’ dove abbiamo imparato ad ascoltare il Vangelo, a conoscere il Signore Gesù, ad offrire un servizio con gratuità, a pregare in comunità, a condividere progetti e iniziative, a sentirci parte del popolo santo di Dio…”.
Tutto questo l’Azione Cattolica lo vive quotidianamente, in quanto esperienza associativa “intrecciata” con quella della comunità parrocchiale. È importante, dice il Papa, “imparare attraverso l’esperienza che nella Chiesa siamo tutti fratelli per il Battesimo; che tutti siamo protagonisti e responsabili; che abbiamo doni diversi e tutti per il bene della comunità”.
Il cristiano si interessa alla realtà sociale e dà il proprio contributo; che il nostro motto non è “me ne frego”, ma “mi interessa!”; che la miseria umana non è un destino che tocca ad alcuni sfortunati, ma quasi sempre il frutto di ingiustizie da estirpare.
“Quanti giovani si sono formati a questa scuola!”, osserva Papa Francesco. “Quanti hanno dato la loro testimonianza sia nella Chiesa sia nella società, nelle diverse vocazioni e soprattutto come fedeli laici, che hanno portato avanti da adulti e da anziani lo stile di vita maturato da giovani”.
“L’amore per la Chiesa” unisce dunque tutte le generazioni, come pure “la passione per la parrocchia, che è la Chiesa in mezzo alle case, in mezzo al popolo”. E proprio sulla base di questa passione il Papa condivide “alcune sottolineature” per sintonizzarsi al cammino e all’impegno dell’Azione Cattolica.
Anzitutto, “contribuire a far crescere la Chiesa nella fraternità”. Come farlo? Prima di tutto, non spaventarsi se nelle comunità “è un po’ debole la dimensione comunitaria”.
È una cosa molto importante, ma non spaventatevi, perché si tratta di un dato sociale, che si è aggravato con la pandemia. Oggi, specialmente i giovani, sono estremamente diversi rispetto a 50 anni fa: non c’è più la voglia di fare riunioni, dibattiti, assemblee…
Da una parte è “una cosa buona”, perché “la Chiesa non va avanti con le riunioni”, dice il Papa. D’altra parte, “l’individualismo, la chiusura nel privato o in piccoli gruppetti, la tendenza a relazionarsi ‘a distanza’ contagiano anche le comunità cristiane. Se ci verifichiamo, siamo tutti un po’ influenzati da questa cultura egoistica. Dunque bisogna reagire, e anche voi potete farlo incominciando con un lavoro su voi stessi”.
“Lavoro” perché “è un cammino impegnativo e richiede costanza”.
La fraternità non si improvvisa e non si costruisce solo con emozioni, slogan, eventi… No, è un lavoro che ciascuno fa su di sé insieme con il Signore, con lo Spirito Santo, che crea l’armonia tra le diversità.
Il punto di partenza è perciò “uscire da sé stessi per aprirsi agli altri e andare loro incontro”. Non “alienazione”, ma “relazione”, chiarisce il Papa, in cui ci “sopportiamo” e ci “perdoniamo”.
Francesco torna quindi a stigmatizzare quello che, come già in tante altre occasioni, definisce “la malattia più grave in una comunità parrocchiale: il chiacchiericcio”. “Sempre si fa come strumento di arrampicamento, di promozione, di auto-promozione: sporcare l’altro perché io vada più avanti.
Per favore, il chiacchiericcio non è cristiano, è diabolico perché divide. Attenti, giovani, voi giovani: per favore, no! Lasciamo questo per le zitelle che avranno questa … [ridono, applauso]. Mai chiacchierare di un altro.
“Se tu hai una cosa contro l’altro, vai e dillo in faccia, sìì uomo, sìì donna: in faccia, sempre. Alle volte poi riceverai un pugno, ma hai detto la verità, l’hai detto in faccia con carità fraterna”, raccomanda il Papa, suscitando le risate dei presenti. “Per favore – insiste – le critiche nascoste sono cose del diavolo. Se volete criticare tutti insieme, criticate tra voi, ma non fuori, contro di voi”.
L’invito è perciò all’unità e anche ad essere “lievito” nella società.
Mi piace molto un’espressione che voi usate: “essere impastati in questo mondo”. È il principio di incarnazione, la strada di Gesù: portare la vita nuova dall’interno, non da fuori, no, da dentro.
Da dentro, ma a condizione che “il sale rimanga sale, la luce rimanga luce, il lievito rimanga lievito”. Quindi che non ci si “mondanizzi”, perché altrimenti “non abbiamo più niente da dire o da dare”, raccomanda Francesco.
L’augurio del Papa è ripreso da una espressione cara ai membri di AC: “Essere giovani credenti responsabili credibili”. “Potrebbe diventare anche questa una formula, un modo di dire”, dice il Papa, “ma non è così, perché queste parole sono incarnate nei santi, nei giovani santi!”: Francesco e Chiara d’Assisi, Rosa da Viterbo, Gabriele dell’Addolorata, Domenico Savio, Gemma Galgani, Maria Goretti, Pier Giorgio Frassati, Chiara Badano, Carlo Acutis, giusto per citarne alcuni. “Loro ci insegnano che cosa vuol dire essere lievito, essere nel mondo ma non del mondo”, dice il Papa.
Due, le ultime raccomandazioni a ragazzi e ragazze. La prima, la gioia
Guai ai giovani con la faccia di veglia funebre, hanno perso tutto.
La seconda, in questo mese di ottobre, il Rosario: “Imparate dalla Vergine Maria a custodire e meditare nel vostro cuore i misteri di Gesù. Rispecchiatevi ogni giorno negli eventi gioiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi della sua vita, ed essi vi permetteranno di vivere l’ordinario in modo straordinario, cioè con la novità dello Spirito, la novità del Vangelo”.
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