“È l’ingiustizia – ha detto il Santo Padre – che costringe molti migranti a lasciare le loro terre”. Ed è “l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare”
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Una croce e un giubbotto salvagente. Sono questi simboli di sofferenza, esposti in Vaticano nel Cortile del Belvedere, al centro del discorso rivolto da Papa Francesco ai profughi arrivati recentemente da Lesbo, in Grecia, con i corridoi umanitari. Il giubbotto, consegnato da un gruppo di soccorritori, “è appartenuto ad un migrante scomparso” in mare lo scorso mese di luglio. La croce, aggiunge il Papa, è trasparente ed esorta a guardare “con maggiore attenzione e a cercare sempre la verità”; ed è anche luminescente, “perché vuole rincuorare la nostra fede nella Risurrezione”.
Il giubbotto e la croce, spiega il Pontefice, ci ricordano che dobbiamo tenere aperti gli occhi e il cuore. Non dobbiamo restare indifferenti davanti a morti causate dall’ingiustizia:
Già, perché è l’ingiustizia che costringe molti migranti a lasciare le loro terre. È l’ingiustizia che li obbliga a attraversare deserti e a subire abusi e torture nei campi di detenzione. È l’ingiustizia che li respinge e li fa morire in mare.
Salvare ogni vita umana, sottolinea il Santo Padre, “è un dovere morale che unisce credenti e non credenti”:
Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile. Come possiamo rimanere indifferenti di fronte agli abusi e alle violenze di cui sono vittime innocenti, lasciandoli alle mercé di trafficanti senza scrupoli. Come possiamo “passare oltre”, come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano, facendoci così responsabili della loro morte. La nostra ignavia è peccato!
Il grido disperato di tanti fratelli, ricorda Francesco, non rimane sempre inascoltato:
Ringrazio il Signore per tutti coloro che hanno deciso di non restare indifferenti e si prodigano a soccorrere il malcapitato sulla via verso Gerico, senza farsi troppe domande sul come o sul perché il povero mezzo morto sia finito sulla loro strada. Non è bloccando le loro navi che si risolve il problema.
Il giubbotto salvagente e la croce sono anche pietre miliari che
indicano i passi da compiere. “Siamo tutti responsabili – afferma il
Papa – della vita del nostro prossimo”:
Bisogna impegnarsi seriamente a svuotare i campi di detenzione in Libia, valutando e attuando tutte le soluzioni possibili. Bisogna denunciare e perseguire i trafficanti che sfruttano e maltrattano i migranti, senza timore di rivelare connivenze e complicità con le istituzioni. Bisogna mettere da parte gli interessi economici per mettere al centro la persona, ogni persona, la cui vita e dignità sono preziose agli occhi di Dio. Bisogna soccorrere e salvare, perché siamo tutti responsabili della vita del nostro prossimo, e il Signore ce ne chiederà conto al momento del giudizio.
Sono 33 i profughi arrivati recentemente da Lesbo grazie ad un corridoio umanitario. Sono stati accompagnati dal cardinale Konrad Krajewski e dalla Comunità di Sant’Egidio. Tra i rifugiati ci sono 14 minori e una decina di fedeli cristiani. Attualmente a Lesbo, in Grecia, il campo profughi di Moria ospita oltre 14 mila migranti. Le loro vite e quelle di migliaia di profughi, si possono legare a simboli potenti, come quelli di un giubbotto salvagente e della croce. Vite che, con sguardi fraterni e non indifferenti, si possono incontrare tra vie di dolore e di speranza.
Credito: Vatican News
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