Nell’incontro con il clero, i religiosi, le religiose e il Consiglio ecumenico delle Chiese, il Papa sottolinea che “le vie della missione non passano attraverso il proselitismo, ma attraverso il nostro modo di essere con Gesù e con gli altri”. Al termine del discorso, Francesco ha guidato la recita dell’Angelus
Nel secondo giorno del viaggio apostolico in Marocco, dedicato in particolare alla piccola comunità cattolica locale, Papa Francesco ricorda l’autentico senso della missione alla luce del Vangelo. Incontrando nella cattedrale di Rabat sacerdoti, persone consacrate e il Consiglio ecumenico delle Chiese, il Pontefice – dopo aver ascoltato le testimonianze di un prete e di una suora – spiega che i cristiani in Marocco sono un piccolo numero. Ma la missione, aggiunge Francesco, non è determinata “particolarmente dal numero o dalla quantità di spazi che si occupano”. È invece definita “dalla capacità di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione”, dal modo in cui si vive come “discepoli del Signore”.
La situazione della Chiesa del Marocco, osserva il Papa, si può ricollegare alla domanda di Gesù: “A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare?”. Parafrasando le parole del Signore, il Santo Padre pone questo interrogativo: A che cosa è simile un cristiano in queste terre?
È simile a un po’ di lievito che la madre Chiesa vuole mescolare con una grande quantità di farina, fino a che tutta la massa fermenti. Infatti, Gesù non ci ha scelti e mandati perché diventassimo i più numerosi! Ci ha chiamati per una missione. Ci ha messo nella società come quella piccola quantità di lievito: il lievito delle beatitudini e dell’amore fraterno nel quale come cristiani ci possiamo tutti ritrovare per rendere presente il suo Regno.
Francesco sottolinea che la missione non significa, dunque, occupare degli spazi, ma si esprime attraverso l’incontro con Gesù:
Le vie della missione non passano attraverso il proselitismo, che porta sempre a un vicolo cieco, ma attraverso il nostro modo di essere con Gesù e con gli altri. Quindi il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo, o una luce che non illumina più niente (cfr Mt 5,13-15)
Rivolgendosi ai religiosi e alle religiose del Marocco, il Pontefice ricorda che non si deve essere assillati “dal pensiero di poter essere significativi solo se siamo la massa e se occupiamo tutti gli spazi”:
Voi sapete bene che la vita si gioca con la capacità che abbiamo di ‘lievitare’ lì dove ci troviamo e con chi ci troviamo. Anche se questo può non portare apparentemente benefici tangibili o immediati (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 210). Perché essere cristiano non è aderire a una dottrina, né a un tempio, né a un gruppo etnico. Essere cristiano è un incontro, un incontro con Gesù Cristo. Siamo cristiani perché siamo stati amati e incontrati e non frutti di proselitismo.
Francesco rievoca, inoltre, quanto scritto da San Paolo VI nell’Enciclica “Ecclesiam Suam”: “La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere”. Affermare che la Chiesa deve entrare in dialogo, osserva Francesco, “non dipende da una moda, tanto meno da una strategia per aumentare il numero dei suoi membri”. Deve invece entrare in dialogo “per fedeltà al suo Signore e Maestro”:
Il cristiano, in queste terre, impara ad essere sacramento vivo del dialogo che Dio vuole intavolare con ciascun uomo e donna, in qualunque condizione viva. Un dialogo che, pertanto, siamo invitati a realizzare alla maniera di Gesù, mite e umile di cuore (cfr Mt 11,29), con un amore fervente e disinteressato, senza calcoli e senza limiti, nel rispetto della libertà delle persone.
Il dialogo, rimarca il Papa, è anche la porta della fraternità: “Quando la Chiesa entra in dialogo con il mondo e si fa colloquio, essa partecipa all’avvento della fraternità, che ha la sua sorgente profonda non in noi, ma nella Paternità di Dio”. Con la preghiera di intercessione per il popolo, “che in una certa misura gli è stato affidato”, il sacerdote mantiene viva “la forza vivificante dello Spirito”. Porta, quindi, “nella sua preghiera la vita dei suoi conterranei”:
È un dialogo che, pertanto, diventa preghiera e che possiamo realizzare concretamente tutti i giorni in nome «della “fratellanza umana” che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali. In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini. (Documento sulla fratellanza umana, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019).
Una preghiera, afferma Francesco, “che non distingue, non separa e non emargina, ma che si fa eco della vita del prossimo”. Una “preghiera di intercessione che è capace di dire al Padre: venga il Tuo regno”:
Non con la violenza, non con l’odio, né con la supremazia etnica, religiosa, economica, ma con la forza della compassione riversata sulla Croce per tutti gli uomini. Questa è l’esperienza vissuta dalla maggior parte di voi.
Il Santo Padre ringrazia, in particolare, i religiosi e le religiose del Marocco per quello che hanno fatto, come discepoli di Gesù Cristo, nel Paese trovando ogni giorno “nel dialogo, nella collaborazione e nell’amicizia gli strumenti per seminare futuro e speranza”:
Così smascherate e riuscite a mettere in evidenza tutti i tentativi di usare le differenze e l’ignoranza per seminare paura, odio e conflitto. Perché sappiamo che la paura e l’odio, alimentati e manipolati, destabilizzano e lasciano spiritualmente indifese le nostre comunità.
Il Papa incoraggia, inoltre, quanti fanno parte della Chiesa del Marocco a rendere visibile la presenza e l’amore di Cristo:
Continuate a farvi prossimi di coloro che sono spesso lasciati indietro, dei piccoli e dei poveri, dei prigionieri e dei migranti. Che la vostra carità si faccia sempre attiva e sia così una via di comunione tra i cristiani di tutte le confessioni presenti in Marocco: l’ecumenismo della carità. Che possa essere anche una via di dialogo e di cooperazione con i nostri fratelli e sorelle musulmani e con tutte le persone di buona volontà.
La migliore opportunità per continuare “a lavorare in favore di una cultura dell’incontro”, conclude Francesco, è “la carità, specialmente verso i più deboli”:
Che essa sia quella via che permette alle persone ferite, provate, escluse di riconoscersi membri dell’unica famiglia umana, nel segno della fraternità. Come discepoli di Gesù Cristo, in questo stesso spirito di dialogo e di cooperazione, abbiate sempre a cuore di dare il vostro contributo al servizio della giustizia e della pace, dell’educazione dei bambini e dei giovani, della protezione e dell’accompagnamento degli anziani, dei deboli, dei disabili e degli oppressi.
Dopo il discorso rivolto a sacerdoti, persone consacrate e il Consiglio ecumenico delle Chiese, Papa Francesco ha guidato, nella cattedrale di Rabat, la recita dell’Angelus. Durante la preghiera, alcuni bambini sono rimasti accanto a Francesco.
Il servizio è di Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano per Vaticannews.va
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