R. – Mi ha colpito molto innanzi tutto un riferimento che lui faceva sulla necessità di recuperare il senso dello stupore nella Liturgia; mi ha colpito l’idea che lui ha sottolineato di come alla fine non è capace di stupore né il sacerdote che celebra in una maniera rubricistica, attento soltanto alle norme, ma nemmeno il sacerdote che celebra in una maniera sciatta. Quindi tutte e due le cose: evitare il rubricismo e la sciatteria, avendo questa cura di comunicare il senso dello stupore che noi per primi dobbiamo provare di fronte alla celebrazione.
D. – Papa Francesco parla anche del contatto con la gente …
R. – Assolutamente, perché tu non puoi parlare di cose astratte che interessano solamente te. È evidente che bisogna partire dal vissuto della gente, da quella che è la loro esperienza, la loro sofferenza, la loro fatica. Però, per guidarle appunto a questo senso dello stupore. Anche questo è importante perché poi se c’è una cosa che la nostra gente ha perduto è proprio questo senso dello stupore e del sacro. Il momento fondamentale dell’omelia è proprio questo: essere aderenti alla vita per condurre di nuovo questa vita verso l’incontro con il sacro, verso l’esperienza del sacro ma interiorizzata, per cui a partire dalla loro storia, dalla loro situazione.
D. – In che contesto operano oggi i parroci romani?
R. – Credo che in generale questa città soffre molto di quel male di cui soffrono tutte le città: una vita che è ormai percepita in una maniera completamente orizzontale, senza nessun riferimento al trascendente, senza nessun riferimento a Dio. Per cui penso che – a prescindere dal contesto concreto, cioè di borgata oppure più intellettuale o più sociale in cui ci si può trovare ad operare – un tratto comune che dobbiamo avere tutti è proprio questo senso del trascendente, del primato di Dio che dobbiamo riportare ognuno nel suo specifico, nel modo caratteristico che richiede la sua comunità però che dobbiamo tutti noi riportare al centro.
D. – Che cosa sta dicendo Papa Francesco alla sua diocesi?
R. – Credo che il Papa stia esortando noi sacerdoti innanzitutto ad essere profondamente con il nostro popolo; lo ha detto fin dall’inizio: ricordi il famoso discorso del pastore che deve avere lo stesso odore delle pecore? Ci esorta ad essere vicino alla nostra gente per amarla, per volergli bene e per condurla a Cristo. Penso che a partire da quella intuizione iniziale – ormai di due anni fa – ogni cosa che dice sia una specificazione ulteriore che va sempre in questa direzione.
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