Con l’invio di settanta rosari da parte di Papa Francesco in dono ai detenuti del carcere di Pordenone, in occasione della rassegna editoriale della libreria Editrice Vaticana, sono stati presentati e donati nei giorni scorsi anche due libri. I volumi, intitolati “Dite ai detenuti che prego per loro” e “Anche il Signore è un carcerato”, raccolgono gli interventi di Papa Francesco sulla situazione all’interno delle carceri.
Don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei Cappellani delle carceri Italiane, racconta al microfono di Francesca Di Folco il significato dei doni:
R. – Questa cosa fa vedere la vicinanza del Papa alle persone che sono in carcere e che stanno soffrendo la carcerazione. Vuol dire, in ogni caso: guardate che la comunità cristiana, non solo io, non vi abbandona, non vi lascia soli e vuole seguire con voi un cammino di riconciliazione con il Padre e con i fratelli”. Il gesto del Rosario è come dire: “Preghiamo insieme”. Una mamma che possa proteggere tutti. Questo fa vedere questa vicinanza di Papa Francesco ai problemi delle persone, non solo quelle che sono dentro il carcere, ma anche ai loro famigliari. I libri, infatti, che sono stati regalati parlano di perdono, di riconciliazione, di vittime, di reinserimento sociale. Tutti strumenti, quindi, che fanno sì che si prospetti a livello giuridico una giustizia che riconcili, che renda possibili i percorsi di riconciliazione fra tutti, che reinserisca veramente le persone e che faccia sì che davvero anche i luoghi di contenimento sociale ridiventino luoghi in cui la dignità umana sia rispettata.
D. – Il Papa è da sempre vicino ai detenuti. In occasione del Giubileo della Misericordia ha stabilito che la porta della loro cella si trasformi in una vera e propria porta santa…
R. – Ci sono delle persone che non si possono muovere, che non possono fare il cammino giubilare, ma che possono fare un cammino giubilare spirituale. Non possono accedere alle cattedrali, ma hanno un luogo in cui incontrano Dio. Anche nel buio di una cella Dio ti intercetta e ti dice: se vuoi, possiamo camminare verso il bene, qualsiasi cosa tu abbia fatto. Qualsiasi situazione ti rimproveri la tua coscienza, sappi che c’è un papà che ti aspetta. Attraversa la porta della sua casa: dove abiti oggi è il luogo in cui Dio può parlarti e là, dove tu stai vivendo la tua fragilità, Dio dice: ‘Apri il cuore a Dio e Dio ti aprirà la sua casa, ti sta solo aspettando’”.
D. – Queste dichiarazioni del Santo Padre ci portano a riflettere sul significato della pena e a chiederci che cosa ci si aspetta davvero dalla redenzione in un carcere…
R. – Il carcere, come struttura, limita molto la persona. L’attività delle persone è ridotta e si fa difficoltà a responsabilizzarle. Tutto quello, quindi, che serve a coscientizzare rispetto al male che uno ha fatto, a capire che questo male non è tutta la sua vita, ma c’è del bene che il Signore può ancora ricavare dalla persona, e tutto ciò che porta maggiore dignità nelle carceri, favorisce un cambiamento del vissuto in carcere, ma anche della giustizia. La speranza è che le parole del Papa aiutino tutti a coscientizzarsi meglio rispetto al male fatto, a ripararlo e a pensare di se stessi che in ogni caso ci si può rialzare, in ogni situazione si può ridiventare uomini nuovi.
D. – E’ più complesso per un uomo avvicinarsi alla fede dietro alle sbarre?
R. – Non è detto, non è detto che la situazione del carcere diventi quella che ti allontana di più. Può succedere. Noi abbiamo un esempio nella parola di Dio che ci fa vedere molto chiaramente che cosa può capitare. Gesù Cristo è affiancato da due ladroni, uno chiede la salvezza, l’altro chiede a Dio: visto che sei Dio, tiraci giù dalla croce e io crederò che tu sei Dio. Quelli credo che siano i due atteggiamenti simbolo, perché di fronte alla disperazione che si vive in carcere si può rimproverare Dio per il fatto che non intervenga. E altri invece riacquisiscono la capacità di comprendere che Gesù stesso ha subito non tanto la carcerazione, ma la condanna degli uomini, e questo fratello maggiore ci può riaccompagnare da Dio Padre, che ci abbraccia e ci rimette in libertà, a partire dalla libertà personale, che poi diventa anche libertà esterna quando effettivamente nella società si creano tutti i presupposti, perché le persone che escono dal carcere possano avere una capacità migliore di avere lavoro, di avere la casa e di avere affetti.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)
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