Papa Francesco desidera che la Beatificazione di mons. Flavien Michel Melki, martirizzato cento anni fa durante le persecuzioni dell’Impero Ottomano, sia un messaggio di speranza e incoraggiamento a tutti i cristiani che oggi sono umiliati e oppressi: è quanto afferma il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che parteciperà al rito di Beatificazione del vescovo siro-cattolico, sabato prossimo, ad Harissa, in Libano. Per il porporato “molti cristiani, oggi, in Medio Oriente, ma anche altrove, soffrono il tramonto di una civiltà umana di convivenza pacifica. Ma questi nostri fratelli non vogliono arrendersi al terrore” e rispondono alle violenze “con coraggio e grande fede”. Sulla figura di mons. Melki, ascoltiamo il cardinale Amato al microfono di Sergio Centofanti:
R. – Flavien Michel Melchi nacque nel 1858 in un piccolo villaggio nei pressi di Mardin (Turchia). La famiglia apparteneva alla Chiesa monofisita siro-ortodossa (chiamata anche giacobita). A dieci anni il fanciullo fu inviato al monastero di Zaafarane, residenza del Patriarcato ortodosso, per i suoi studi e lì rimase per 10 anni. All’età di 20 anni fu ordinato diacono e assunse il ruolo di bibliotecario del monastero. Durante questo periodo maturò la decisione di aderire al cattolicesimo.
D. – Come avvenne il suo ritorno alla Chiesa cattolica?
R. – A 21 anni, nonostante la contrarietà dei parenti — il fratello giunse perfino a legarlo e a trascinarlo con la forza per riportarlo al monastero giacobita — e le pressioni dei monaci per farlo desistere, il Servo di Dio, convinto della sua scelta vocazionale, aderì ufficialmente al cattolicesimo recandosi subito in Libano presso il Patriarcato Cattolico, per continuare la formazione e diventare sacerdote. In questo periodo libanese, Flavien Michel Melchi, come seminarista diocesano di Mardin, aderì alla Fraternità di S. Efrem, impegnandosi a pronunciare i tre voti di povertà, castità e obbedienza e a destinare per testamento il terzo dei suoi beni a favore della Fraternità.
D. – Qual è stata la sua azione pastorale?
R. – Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 13 maggio del 1883, Flavien Michel fu nominato professore del seminario di Mardin e missionario presso i villaggi siro-ortodossi e russi per seguire ed aiutare le famiglie cattoliche residenti in quei luoghi. Dopo questo apostolato, fu nominato vicario patriarcale e successivamente vescovo di Djezireh, regione siriana ai confini con l’Irak e la Turchia. La sua attività sacerdotale, prima, e quella episcopale dopo, fu centrata sulla formazione dei sacerdoti usciti dal giacobinismo, sulla riparazione di molte chiese distrutte e sulla costruzione di nuove. In tutta la sua vita mons. Melki lottò contro l’oppressione dei più deboli, manifestando solide virtù evangeliche e conducendo una vita completamente votata a Dio, nella povertà e nell’ obbedienza.
D. – Quale il contesto del suo martirio, avvenuto il 29 agosto del 1915 a Djezireh-ibn-Omar, in Turchia?
R. – Il contesto di questa uccisione fu l’odium fidei dei musulmani contro i cristiani durante la micidiale persecuzione turca, che provocò lo sterminio degli armeni e il massacro delle altre minoranze cristiane. In questo tragico periodo il Servo di Dio divenne un instancabile difensore dei diritti del suo popolo, cercando di aiutare, senza fare distinzioni, tutti i cristiani della Djezireh, che venivano sottoposti ai peggiori trattamenti.Un suo amico musulmano di nome Osman gli offrì la possibilità di fuggire e di salvarsi, rifugiandosi nella vicina città di Yézidis. Egli rifiutò: «È impossibile abbandonare i miei fedeli per salvare me stesso. Ciò è contrario alla mia fede e al mio dovere di pastore».Catturato e imprigionato a metà agosto del 1915 insieme ad alcuni sacerdoti e laici, nella prigione di Djezireh-ibn-Omar fu operoso anche tra i prigionieri che erano reclusi con lui, esortandoli a rimanere saldi nella fede. Venne poi sottoposto all’interrogatorio di rito. In tale occasione, gli fu proposto che se voleva aver salva la vita, doveva convertirsi all’Islam. Ma egli rifiutò. Anche i preti e i fedeli lo imitarono, rifiutandosi di convertirsi. Per questo furono tutti fucilati a gruppi di cinque. Mons. Flavien Michel Melki fu fatto distendere a terra e picchiato a sangue fino allo sfinimento. Trascinato fuori fu ucciso a colpi di fucile. Il suo corpo martoriato e sanguinante fu gettato, come quello degli altri fedeli, nelle acque del fiume Tigri.
D. – E oggi le persecuzioni anticristiane continuano …
R. – Oggi, come cent’ anni fa, le tenebre sono calate in molte terre di antica civiltà cristiana. I fedeli vengono discriminati, perseguitati, cacciati, uccisi. Le loro case vengono segnate non con il sangue dell’agnello pasquale per essere salvate, ma con la N rossa (che significa nazareni, cristiani), a indicare la loro condanna. Come cento anni fa, ai tempi del martirio di mons. Melki, ai cristiani viene negata ogni libertà, costretti ad abbandonare la loro patria o a convertirsi forzatamente o a morire. In realtàè la morte che domina sovrana nella mente e nei cuori di pietra dei persecutori, che non sopportano la civiltà cristiana della libertà, della fraternità, del rispetto del prossimo, della giustizia, della carità.
D. – Di cosa hanno bisogno oggi i cristiani in Medio Oriente?
R. – I cristiani in Medio Oriente hanno bisogno della solidarietà, della preghiera, e della nostra presenza concreta. E da questo punto di vista è importante la beatificazione di mons. Melki, che è proprio un dono di Papa Francesco alla Chiesa del Medio Oriente e in particolare alla Chiesa siro-cattolica. E’ un dono per far conoscere a tutto il mondo il valore umano e cristiano di questo eroe di Cristo, che è il Beato Melki, e infondere coraggio e speranza ai fratelli umiliati e offesi dagli odierni oppressori. La Chiesa piange per i suoi figli uccisi o costretti a rinnegare la loro fede e si rallegra per tutti coloro che hanno conservato intatta la fede e che, esuli nel mondo, diventano portatori di vangelo in una civiltà, come quella occidentale, bisognosa di testimoni credibili di Dio.Questa Beatificazione è dunque un messaggio di Papa Francesco a tutti i cristiani, soprattutto a quelli perseguitati in Medio Oriente, perché continuino a sperare nel Signore, ad avere salda la fede e a cantare un inno di speranza col Salmo 23: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza» (Sal 23,1-4). È un canto di speranza nel trionfo del regno di Dio sulla terra. È un canto di vittoria che annuncia l’alba del giorno nuovo, dopo le tenebre della notte.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana