Santa Madre di Dio, ha ripetuto per tre volte Papa Francesco al termine della sua omelia, come al Concilio di Efeso, con i fedeli presenti. La Chiesa è donna e madre – ha ricordato nell’omelia della Festa di Maria Santissima Madre di Dio – ed è la vera cattolica, perché unisce.
Alle ore 10 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco presiede la celebrazione della Messa della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 55ma Giornata Mondiale della Pace sul tema: Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro: strumenti per edificare una pace duratura. Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco pronuncia nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo
Omelia del Santo Padre Francesco
I pastori trovano «Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,16). La mangiatoia è segno gioioso per i pastori: è la conferma di quanto avevano appreso dall’angelo (cfr v. 12), è il luogo dove trovano il Salvatore. Ed è anche la prova che Dio è accanto a loro: nasce in una mangiatoia, oggetto a loro ben noto, dimostrando così di essere vicino e familiare.
Ma la mangiatoia è segno gioioso anche per noi: Gesù ci tocca il cuore nascendo piccolo e povero, ci infonde amore anziché timore. La mangiatoia ci anticipa che si farà cibo per noi. E la sua povertà è una bella notizia per tutti, specialmente per chi è ai margini, per i rifiutati, per chi al mondo non conta. Dio viene lì: nessuna corsia preferenziale, nemmeno una culla! Ecco la bellezza di vederlo adagiato in una mangiatoia.
Ma per Maria, la Madre di Dio, non è stato così. Lei ha dovuto sostenere “lo scandalo della mangiatoia”. Anche lei, ben prima dei pastori, aveva ricevuto l’annuncio di un angelo, che le aveva detto parole solenni, parlandole del trono di Davide: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre» (Lc 1,31-32).
E ora lo deve deporre in una mangiatoia per animali. Come tenere insieme il trono del re e la povera mangiatoia? Come conciliare la gloria dell’Altissimo e la miseria di una stalla? Pensiamo al disagio della Madre di Dio. Che cosa c’è di più duro per una madre che vedere il proprio figlio soffrire la miseria? C’è da sentirsi sconfortati. Non si potrebbe rimproverare Maria se si fosse lamentata di tutta quella inattesa desolazione. Ma lei non si perde d’animo. Non si sfoga, ma sta in silenzio. Sceglie una parte diversa rispetto alla lamentela: «Maria, da parte sua, – dice il Vangelo – custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).
È un modo di fare diverso da quello dei pastori e della gente. Loro raccontano a tutti ciò che hanno visto: l’angelo apparso nel cuore della notte, le sue parole intorno al Bambino.
E la gente, all’udire queste cose, è presa da stupore (cfr v. 18): parole e meraviglia. Maria, invece, appare pensosa. Custodisce e medita nel cuore. Sono due atteggiamenti diversi che possiamo riscontrare anche in noi. Il racconto e lo stupore dei pastori ricorda la condizione degli inizi nella fede. Lì è tutto facile e lineare, si è rallegrati dalla novità di Dio che entra nella vita, portando in ogni aspetto un clima di meraviglia. Mentre l’atteggiamento meditante di Maria è l’espressione di una fede matura, adulta. Di una fede che non è appena nata, ma è diventata generativa. Perché la fecondità spirituale passa attraverso la prova. Dalla quiete di Nazaret e dalle trionfanti promesse ricevute dall’angelo – il suo inizio – Maria si trova ora nella buia stalla di Betlemme. Ma è lì che dona Dio al mondo. E mentre altri, di fronte allo scandalo della mangiatoia, sarebbero stati presi dallo sconforto, lei no: custodisce meditando.
Impariamo dalla Madre di Dio questo atteggiamento: custodire meditando. Perché anche a noi capita di dover sostenere certi “scandali della mangiatoia”. Ci auguriamo che tutto vada bene e poi arriva, come un fulmine a ciel sereno, un problema inaspettato. E si crea un urto doloroso tra le attese e la realtà. Capita anche nella fede, quando la gioia del Vangelo viene messa alla prova da una situazione dura in cui ci si trova a camminare. Ma oggi la Madre di Dio ci insegna a trarre beneficio da questo urto. Ci mostra che è necessario, che è la via stretta per arrivare alla meta, la croce senza la quale non si risorge. È come un parto doloroso, che dà vita a una fede più matura.
Ma come compiere questo passaggio, come superare l’urto tra l’ideale e il reale? Facendo, appunto, come Maria: custodendo e meditando. Anzitutto Maria custodisce, cioè non disperde. Non respinge ciò che accade. Conserva nel cuore ogni cosa, tutto ciò che ha visto e sentito. Le cose belle, come quello che le aveva detto l’angelo e ciò che le avevano raccontato i pastori. Ma anche le cose difficili da accettare: il pericolo corso per essere rimasta incinta prima del matrimonio, ora l’angustia desolante della stalla dove ha partorito. Ecco che cosa fa Maria: non seleziona, ma custodisce. Accoglie, non tenta di camuffare, di truccare la vita. Custodisce nel cuore.
E poi c’è il secondo atteggiamento: custodisce meditando. Il verbo impiegato dal Vangelo evoca l’intreccio tra le cose: Maria mette a confronto esperienze diverse, trovando i fili nascosti che le legano. Nel suo cuore, nella sua preghiera compie questa operazione straordinaria: lega le cose belle e quelle brutte; non le tiene separate, ma le unisce. Maria è la maddre della cattolicità. Possiamo dire in questo senso: Maria è cattolica. E così afferra il senso pieno, la prospettiva di Dio. Nel suo cuore di madre comprende che la gloria dell’Altissimo passa dall’umiltà; accoglie il disegno della salvezza, per il quale Dio si doveva posare su una mangiatoia. Vede il Bambino divino fragile e tremante, e accoglie il meraviglioso intreccio divino tra grandezza e piccolezza.
Questo sguardo inclusivo, che supera le tensioni custodendo e meditando nel cuore, è lo sguardo delle madri. È lo sguardo con il quale tante madri abbracciano le situazioni dei figli. È uno sguardo concreto, che non si fa prendere dallo sconforto, che non si paralizza davanti ai problemi, ma li colloca in un orizzonte più ampio. Vengono in mente i volti delle madri che assistono un figlio malato o in difficoltà. Quanto amore c’è nei loro occhi, che mentre piangono sanno infondere motivi per sperare! Il loro è uno sguardo consapevole, senza illusioni, eppure al di là del dolore e dei problemi offre una prospettiva più ampia, quella della cura, dell’amore che rigenera speranza.
Questo fanno le madri: sanno superare ostacoli e conflitti, sanno infondere pace. Così riescono a trasformare le avversità in opportunità di rinascita e di crescita. Lo fanno perché sanno custodire, sanno tenere insieme i fili della vita. C’è bisogno di gente in grado di tessere fili di comunione, che contrastino i troppi fili spinati delle divisioni.
Il nuovo anno inizia nel segno della Madre. Lo sguardo materno è la via per rinascere e crescere. Le madri, le donne guardano il mondo non per sfruttarlo, ma perché abbia vita: guardando con il cuore, riescono a tenere insieme i sogni e la concretezza, evitando le derive del pragmatismo asettico e dell’astrattezza.
La Chiesa è donna e madre. E mentre le madri donano la vita e le donne custodiscono il mondo, diamoci da fare tutti per promuovere le madri e proteggere le donne.
Quanta violenza c’è nei confronti delle donne! Basta! Ferire una donna è oltraggiare Dio, che da una donna ha preso l’umanità. All’inizio del nuovo anno mettiamoci sotto la protezione di questa donna, la Madre di Dio che è nostra madre. Ci aiuti a custodire e meditare ogni cosa, senza temere le prove, nella gioiosa certezza che il Signore è fedele e sa trasformare le croci in risurrezioni. Anche oggi invochiamola come fece il Popolo di Dio a Efeso, ripetendo tre volte il suo titolo di Madre di Dio: “Santa Madre di Dio, Santa Madre di Dio, Santa Madre di Dio!”.
In piedi tutti in piedi come ad Efeso repitiamo tre volte : Santa Madre di Dio.