Nella Cattedrale di Andohalo, dedicata all’Immacolata Concezione e situata nel quartiere di Antananarivo Renivohitra, il Pontefice incontra i vescovi del Madagascar. All’ingresso è accolto dal presidente della Conferenza episcopale, cardinale Désiré Tsarahazana, arcivescovo metropolita di Toamasina, e dal parroco
Barbara Castelli – Città del Vaticano
Il pastore è come il portiere in una squadra di calcio: deve sapersi muovere, prendendo la vita come viene; pur in mezzo alle contraddizioni, deve saper portare pace e speranza; deve saper aspettare paziente i frutti del suo lavoro; e deve saper discernere le vocazioni, tenendo il lupo lontano dal gregge, senza farsi tentare dei numeri. Sono i contorni della missione del vescovo messi a fuoco da Papa Francesco, incontrando, nella Cattedrale di Andohalo, i membri della Conferenza episcopale del Madagascar. Il Cem riunisce i presuli delle 5 arcidiocesi metropolitane e delle 17 diocesi suffraganee del Paese. Fondata nel 1965, è membro del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar (Secam).
Dinanzi ai tanti uomini e donne che desiderano “una nazione sempre più solidale e prospera, dotata di istituzioni solide e stabili”, un “pastore degno di questo nome” non può “essere indifferente alla vita di quanti gli sono stati affidati”. “La religione”, infatti, non può essere relegata “alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini”.
La dimensione profetica legata alla missione della Chiesa richiede, dovunque e sempre, un discernimento che in genere non è facile. In questo senso, la collaborazione matura e indipendente tra la Chiesa e lo Stato è una sfida continua, perché il pericolo di collusione non è mai remoto, specialmente se noi arriviamo a perdere il “mordente evangelico”.
“Ascoltando sempre quello che lo Spirito dice senza sosta alle Chiese”, rimarca il Pontefice nel suo discorso, dopo aver sostato in preghiera dinanzi al Santissimo, “saremo in grado di sfuggire alle insidie e liberare il fermento del Vangelo in vista di una proficua collaborazione con la società civile nella ricerca del bene comune”.
Pur in mezzo alle “contraddizioni”, in una “terra ricca con molta povertà”, i vescovi sono chiamati a svolgere la propria missione, tutelando “la vita e la dignità della persona umana”, contrastando le forme di “disuguaglianza” e “corruzione”. Occorre, dunque, essere seminatori di “pace e di speranza”, come recita il motto della visita, “contando sui propri sforzi e sul proprio impegno personale, ma sapendo che ci sono molti fattori che devono concorrere perché il seme germogli, cresca, diventi spiga e infine grano abbondante”.
Il seminatore stanco e preoccupato non si scoraggia, non si arrende, e tanto meno brucia il suo campo quando qualcosa va storto… Sa aspettare, è fiducioso; si fa carico delle delusioni del suo seme, ma non smette mai di amare il campo affidato alle sue cure. Anche se ne ha la tentazione, non fugge via per affidarlo a un altro.
“Noi vescovi, ad immagine del Seminatore”, prosegue Papa Bergoglio, “siamo chiamati a spargere i semi della fede e della speranza su questa terra”, sviluppando quel “fiuto” che “consente di conoscerla meglio e anche di scoprire ciò che compromette, ostacola o danneggia la semente”.
Pertanto, “i Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano”.
Ai vescovi del Madagascar, Papa Francesco ricorda che “per essere pastori secondo il cuore di Dio”, bisogna “essere i primi nella scelta di proclamare il Vangelo ai poveri”. “Oggi e sempre – insiste – i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, e l’evangelizzazione rivolta gratuitamente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare”.
Abbiamo un dovere particolare di vicinanza e di protezione verso i poveri, gli emarginati e i piccoli, verso i bambini e le persone più vulnerabili, vittime di sfruttamento e di abusi, vittime, oggi, di questa cultura dello scarto. Oggi la mondanità ci ha portato a inserire nei programmi sociali, nei programmi di sviluppo lo scarto, come possibilità. Lo scarto che sta per nascere e lo scarto di coloro che stanno per morire, per affrettare la partenza.
Un “pastore che semina”, inoltre, che “non ha né il controllo né la responsabilità dell’intero processo”, “dà spazio alle iniziative”, non cerca l’uniformità, perché la vita è variegata. Per chiarire ulteriormente il suo pensiero, Papa Bergoglio parla del pastore come di un portiere in una squadra di calcio: prendere la vita da dove viene, con i risultati che vengono. Inoltre, il pastore deve avere tre vicinanze: a Dio, ai suoi sacerdoti e al popolo.
Qualche tempo fa esponevo ai vescovi italiani la premura che i nostri sacerdoti possano trovare nel loro vescovo la figura del fratello maggiore e del padre che li incoraggia e li sostiene lungo il cammino È questa la paternità spirituale, che spinge il vescovo a non lasciare orfani i suoi sacerdoti e che si può “toccare con mano” non solo nella capacità di aprire le porte a tutti i sacerdoti, ma anche in quella di andare a cercarli per accompagnarli quando attraversano un momento di difficoltà.
Oltre alla disponibilità e alla vicinanza ai sacerdoti, il Pontefice insiste sul dovere di “accompagnamento e discernimento”, soprattutto “per quanto riguarda le vocazioni alla vita consacrata e al sacerdozio”. A tutti chiede di non fare entrare il lupo nel gregge, per sopperire alla mancanza di vocazioni.
A questo proposito, nello spirito dell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, vorrei sottolineare che la chiamata fondamentale, senza la quale le altre non hanno ragion d’essere, è la chiamata alla santità, e che questa “santità è il volto più bello della Chiesa”. Apprezzo i vostri sforzi per assicurare la formazione di autentici e santi operai per l’abbondante messe nel campo del Signore.
Il pensiero di Papa Bergoglio si rivolge anche ai laici, che pure sono chiamati a portare nel mondo il “fermento del Vangelo”, senza essere clericalizzati.
Cari fratelli, tutta questa responsabilità nel campo di Dio deve provocarci ad avere il cuore e la mente aperti, a scacciare la paura che rinchiude e a vincere la tentazione di isolarci: il dialogo fraterno tra di voi, come pure la condivisione dei doni e la collaborazione tra le Chiese particolari dell’Oceano Indiano, sia una via di speranza.
Nel salutare i vescovi malgasci, Papa Francesco ricorda le “due donne” che “proteggono” la Cattedrale: la beata Victoire Rasoamanarivo, “che ha saputo fare del bene, difendere e diffondere la fede in tempi difficili”; e soprattutto “l’immagine della Vergine Maria che, con le sue braccia aperte verso la valle e le colline, sembra abbracciare ogni cosa”.
Chiediamo a loro di allargare sempre il nostro cuore, di insegnarci la compassione proveniente dal grembo materno che la donna e Dio sentono di fronte ai dimenticati della terra, e di aiutarci a seminare la pace e la speranza.
Concluso l’incontro con i vescovi, il Pontefice si reca nella cappella di fronte alla Cattedrale per visitare la tomba della beata Victoire Rasoamanarivo, dove si ferma in preghiera silenziosa. Nata ad Antananarivo nel 1848, Victoire Rasoamanarivo, appartenente a una delle famiglie più potenti del Paese, viene educata secondo le credenze indigene dei suoi antenati. Nel 1861, tuttavia, giungono in Madagascar alcuni missionari Gesuiti francesi e la giovane si iscrive alla scuola della missione, ricevendo il battesimo nel 1863. Successivamente, viene data in sposa a un alto ufficiale dell’esercito, violento e dissoluto. Ciononostante, Victorie non mette in discussione il sacramento del matrimonio e rimane accanto al marito che, alla fine, accetta di ricevere il Battesimo. Donna di profonda preghiera, si dedica per tutta la sua vita a innumerevoli opere di carità in favore di poveri, prigionieri, abbandonati, lebbrosi. Muore il 21 agosto 1894, all’età di 46 anni. Il 30 aprile 1989, ad Antananarivo, san Giovanni Paolo II la proclama beata, prima malgascia autoctona a salire agli onori degli altari.
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