Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano per Vaticanews.va
La consolazione spirituale, luce dell’anima, ci permette “di vedere la presenza di Dio in tutte le cose”, anche nel dolore e nelle situazioni più dure, come ci insegna la “perfetta letizia” di san Francesco, consente “familiarità con Dio”, dona pace e speranza, ma necessita anch’essa di discernimento, per distinguerla dalle false consolazioni, che “portano a ripiegarsi su se stessi” e a ridurre il Signore “a un oggetto a nostro uso e consumo”. Così Papa Francesco nella nona catechesi dell’udienza generale sul tema del discernimento spirituale, dedicata alla consolazione, elemento importante “da non dare per scontato, perché può prestarsi a degli equivoci” e che analizza dopo la desolazione “buio dell’anima”. Chiarisce subito cos’è:
È un’esperienza di gioia interiore, che consente di vedere la presenza di Dio in tutte le cose; essa rafforza la fede e la speranza, e anche la capacità di fare il bene. La persona che vive la consolazione non si arrende di fronte alle difficoltà, perché sperimenta una pace più forte della prova.
E’ quindi, spiega “un grande dono per la vita spirituale e per la vita nel suo insieme”. “Un movimento intimo, che tocca il profondo di noi stessi” e non è, prosegue il Papa citando sant’Ignazio di Loyola “appariscente ma soave, delicata, come una goccia d’acqua su una spugna”. La persona consolata “si sente avvolta dalla presenza di Dio”, che non “cerca di forzare la nostra volontà”, ma non è “un’euforia passeggera: al contrario, come abbiamo visto, anche il dolore – ad esempio per i propri peccati – può diventare motivo di consolazione”.
E qui Francesco ricorda l’esperienza vissuta da sant’Agostino “quando parla con la madre Monica della bellezza della vita eterna”, e la perfetta letizia di san Francesco, “ peraltro associata a situazioni molto dure da sopportare”, e i tanti santi e sante “che hanno saputo fare grandi cose, non perché si ritenevano bravi e capaci, ma perché conquistati dalla dolcezza pacificante dell’amore di Dio”. È la pace che notava dentro di sè con stupore sant’Ignazio “quando leggeva le vite dei santi”, è “stare in pace con Dio”, e quella “che prova Edith Stein dopo la conversione”. Quando parla, un anno dopo il Battesimo, di “una vita nuova” che “comincia a colmarmi” e la spinge “verso nuove realizzazioni”. Una pace “genuina”, che fa “germogliare i buoni sentimenti in noi”.
La consolazione, chiarisce ancora il Pontefice, “riguarda anzitutto la speranza, è protesa al futuro, mette in cammino, consente di prendere iniziative fino a quel momento sempre rimandate”. E’ una pace – sottolinea – non per rimanere lì seduti godendola, no… ti dà la pace e ti attira verso il Signore e ti mette in cammino per fare cose buone”.
In tempo di consolazione, quando noi siamo consolati, ci viene la voglia di fare tanto bene, sempre. Invece quando c’è il momento della desolazione, ci viene la voglia di chiuderci in noi stessi e di non fare nulla… La consolazione ti spinge avanti, al servizio degli altri, alla società, alle persone.
La consolazione spirituale non è “pilotabile”, non è programmabile a piacere, è un dono dello Spirito Santo: consente una familiarità con Dio che sembra annullare le distanze.Qui Papa Francesco ricorda quando santa Teresa di Gesù Bambino, visitando a quattordici anni, a Roma, la basilica di Santa Croce in Gerusalemme, “cerca di toccare il chiodo lì venerato, uno di quelli con cui fu crocifisso Gesù”. Teresa lo considera “un trasporto d’amore e di confidenza”, e aggiunge “fui veramente troppo audace” ma il Signore “sa che l’intenzione mia era pura. Agivo con lui da bambina che si crede tutto permesso e considera come propri i tesori del Padre”. Ci dà così, sottolinea il Papa “una descrizione splendida della consolazione spirituale”.
Si avverte un senso di tenerezza verso Dio, che rende audaci nel desiderio di partecipare della sua stessa vita, di fare ciò che gli è gradito, perché ci sentiamo familiari con Lui, sentiamo che la sua casa è la nostra casa, ci sentiamo accolti, amati, ristorati.
Con questa consolazione, approfondisce Francesco “non ci si arrende di fronte alle difficoltà”. Con la stessa audacia, “Teresa chiederà al Papa il permesso di entrare al Carmelo, benché troppo giovane, e sarà esaudita”.
Vuol dire che la consolazione ci fa audaci: quando noi siamo in tempo di buio, di desolazione, e pensiamo: “Questo non sono capace di farlo, no…” Ti butta giù la desolazione. Tutto buio. Invece, in tempo di consolazione: “No, io vado avanti, lo faccio”. “Ma sei sicuro?” “Io sento la forza di Dio e vado avanti”. E così la consolazione ti spinge ad andare avanti e a fare delle cose che in tempo di desolazione tu non saresti capace di fare, di fare il primo passo.
Il rischio, aggiunge, sono le “false consolazioni”. Qualcosa di simile “a quanto capita nelle produzioni umane: ci sono gli originali e ci sono le imitazioni”.
Se la consolazione autentica è come una goccia su una spugna, è soave e intima, le sue imitazioni sono più rumorose e appariscenti, sono fuochi di paglia, senza consistenza, portano a ripiegarsi su sé stessi, e a non curarsi degli altri. La falsa consolazione alla fine ci lascia vuoti, lontani dal centro della nostra esistenza. Quando noi ci sentiamo felici, in pace, siamo capaci di fare qualsiasi cosa. Ma non confondere quella pace con un entusiasmo passeggero, perché l’entusiasmo oggi è, poi cade e non c’è più
Per questo è fondamentale il discernimento, “anche quando ci si sente consolati”. Perché, conclude il Pontefice, “la falsa consolazione può diventare un pericolo, se la ricerchiamo come fine a sé stessa, in modo ossessivo, e dimenticandoci del Signore”. E cita san Bernardo: “si cercano le consolazioni di Dio e non si cerca il Dio delle consolazioni”. Con la dinamica del bambino di cui ha parlato nella catechesi sulla desolazione, “che cerca i genitori solo per avere da loro delle cose, ma non per loro stessi”.
Anche noi corriamo il rischio di vivere la relazione con Dio in modo infantile, di ridurlo a un oggetto a nostro uso e consumo, smarrendo il dono più bello che è Lui stesso.
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