L’espressione che ho usato allora è stata “guerra mondiale a pezzi”. Quello che accade in Ucraina lo viviamo da vicino e per questo ci preoccupiamo, ma pensiamo al Rwanda 25 anni fa, alla Siria 10 anni fa, al Libano con le sue lotte interne o al Myanmar oggi.
Quello che stiamo vedendo sta accadendo da molto tempo. Una guerra, purtroppo, è una crudeltà al giorno. In guerra non si balla il minuetto, si uccide.
E c’è un’intera struttura di vendita di armi che la favorisce.
Qualcuno esperto di statistiche mi ha detto, non ricordo i numeri, che se non si fabbricassero armi per un anno, non ci sarebbe più fame nel mondo. Credo sia giunto il momento di ripensare il concetto di “guerra giusta”.
Ci può essere una guerra giusta, c’è il diritto di difendersi, ma il modo in cui il concetto viene usato oggi deve essere ripensato. Ho affermato che l’uso e il possesso di armi nucleari è immorale. Risolvere le cose con una guerra significa dire no alla capacità di dialogo, di essere costruttivi, che gli uomini hanno. Questa capacità di dialogo è molto importante. Esco dalla guerra e passo al comportamento comune.
Pensa a quando stai parlando con qualche persona e, prima che finisci, ti interrompe e ti risponde. Non sappiamo ascoltarci. Non permettiamo all’altro di dire la sua. Bisogna ascoltare. Ascoltare quello che dice, ricevere. Dichiariamo guerra prima, cioè interrompiamo il dialogo. Perché la guerra è essenzialmente una mancanza di dialogo. Quando sono andato a Redipuglia nel 2014, per il centenario della guerra del 1914, ho visto l’età dei morti nel cimitero e ho pianto. Quel giorno ho pianto. Il 2 novembre, qualche anno dopo, sono andato al cimitero di Anzio e quando ho visto l’età di quei ragazzi morti, ho di nuovo pianto. Non mi vergogno di dirlo.
Che crudeltà. E quando è stato commemorato l’anniversario dello sbarco in Normandia, ho pensato ai 30.000 ragazzi rimasti senza vita sulla spiaggia. Aprivano le barche e ordinavano loro: “Scendere, scendere”, mentre i nazisti li aspettavano. È giustificabile, questo? Visitare i cimiteri militari in Europa aiuta a rendersene conto.
Francesco, lei è stato una delle voci più importanti in un periodo di grande solitudine e paura nel mondo durante la pandemia. Ha saputo descriverlo come i limiti di un mondo in crisi in campo economico, sociale e politico. E in quell’occasione ha detto una frase: “Da una crisi non si esce mai uguali, si esce migliori o peggiori”. Come pensa che ne stiamo uscendo? Dove siamo diretti
?Non mi sta piacendo. In alcuni settori c’è stata una crescita, ma in generale non mi piace perché è diventata selettiva. Guarda, il fatto stesso che l’Africa non abbia i vaccini o abbia le dosi minime significa che la salvezza della malattia è stata dosata anche in base ad altri interessi.
Il fatto che l’Africa abbia così tanto bisogno di vaccini indica che qualcosa non ha funzionato. Quando dico che non si esce mai uguali, è perché la crisi inevitabilmente ti cambia. Inoltre, le crisi sono momenti della vita in cui si compie un passo avanti. C’è la crisi dell’adolescenza, quella della maggiore età, quella dei quarant’anni.
La vita segna le tappe con le crisi. Perché la crisi ti mette in movimento, ti fa ballare. E bisogna saperle affrontare, perché se non lo fai, le trasformi in conflitto. E il conflitto è qualcosa di chiuso, cerca la soluzione al suo interno e si autodistrugge. Invece, la crisi è necessariamente aperta, ti fa crescere. Una delle cose più serie della vita è saper vivere una crisi, non con amarezza.
Ebbene, come abbiamo vissuto la crisi? Ognuno ha fatto quello che ha potuto. Ci sono stati degli eroi, posso parlare di quelli che ho avuto più vicini qui: medici, infermieri, infermiere, sacerdoti, suore, laici, laiche che hanno davvero dato la vita. Alcuni sono morti. Credo che in Italia ne siano morti più di sessanta.
Dare la vita per gli altri è una delle cose emerse in questa crisi. Anche i sacerdoti si sono comportati bene, in generale, perché le chiese erano chiuse, ma hanno telefonato alla gente. C’erano giovani sacerdoti che chiedevano agli anziani di che cosa avessero bisogno al mercato e facevano la spesa per loro. Cioè, le crisi ti costringono a essere solidale perché tutti sono in crisi. Ed è lì che si cresce.
L’intervista completa a Papa Francesco su Vaticannews.va
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