Adriana Masotti – Città del Vaticano per Vaticannews.va
La passione per l’evangelizzazione, cioè lo zelo apostolico è il tema del ciclo di catechesi che prende in via oggi.
Papa Francesco lo introduce dicendo che esso è “un tema urgente e decisivo per la vita cristiana” e per la Chiesa che nasce missionaria ed è chiamata ad essere “testimone contagiosa di Gesù, protesa a irradiare la sua luce fino agli estremi confini della terra”.
E subito precisa che evangelizzare non significa fare proselitismo, che le due cose sono diverse.
Il desiderio di uscire per raggiungere gli altri a cui annunciare il Vangelo, osserva quindi il Papa, può accadere però che si effievolisca. E prosegue:
A volte sembra eclissarsi, sono cristiani chiusi, non pensano agli altri. Ma quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione, l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Senza zelo apostolico, la fede appassisce. La missione è invece l’ossigeno della vita cristiana: la tonifica e la purifica.
Obiettivo di queste catechesi sarà, dunque, “ravvivare il fuoco che lo Spirito Santo vuole far ardere sempre in noi” e la prima riguarda un episodio riportato dal Vangelo: la chiamata dell’apostolo Matteo.
Gesù, racconta Matteo stesso, vede in quel pubblicano, disprezzato da tutti perché considerato “collaborazionista, traditore del popolo”, un uomo.
Francesco sottolinea quel “vede”, cioè lo sguardo d’amore di Gesù che si avvicina a quel peccatore. Tutto parte da lì, afferma, dal fatto che Gesù non si ferma agli aggettivi, come pubblicano o peccatore, ma va alla sostanza, alla persona:
Possiamo chiederci: com’è il nostro sguardo verso gli altri? Quante volte ne vediamo i difetti e non le necessità; quante volte etichettiamo le persone per ciò che fanno o pensano! Anche come cristiani ci diciamo: è dei nostri o non è dei nostri? Questo non è lo sguardo di Gesù: Lui guarda sempre ciascuno con misericordia e predilezione. E i cristiani sono chiamati a fare come Cristo, guardando come Lui specialmente i cosiddetti “lontani”.
Matteo risponde allo sguardo di Gesù, prosegue il Papa, compie un movimento, si alza e lo segue. Francesco osserva che il dettaglio del brano evangelico “si alzò” è importante perché segna il distacco di Matteo dal potere. “A quei tempi – spiega – chi era seduto aveva autorità sugli altri che stavano in piedi davanti a lui”. Gesù apre a Matteo “gli orizzonti del servizio”.
Questo fa Cristo e questo è fondamentale per i cristiani: noi discepoli di Gesù, noi Chiesa, stiamo seduti aspettando che la gente venga o sappiamo alzarci, metterci in cammino con gli altri, cercare gli altri? E’ una posizione non cristiana, dire: “Ma che vengano, io sono qui, che vengano.” No, vai tu a cercarli, dai tu il primo passo.
Matteo si è messo in movimento, ma per fare che cosa?, si domanda Papa Francesco. Saremmo portati a pensare a chissà quali nuove esperienze, e invece il futuro discepolo torna nella propria casa per preparare, come racconta il Vangelo di Luca, “un grande banchetto”, a cui “partecipa una folla numerosa di pubblicani, gente come lui”. E il Papa commenta:
Matteo torna nel suo ambiente, ma ci torna cambiato e con Gesù. Il suo zelo apostolico non comincia in un luogo nuovo, puro e ideale, ma lì dove vive, con la gente che conosce. Ecco il messaggio per noi: non dobbiamo attendere di essere perfetti e di aver fatto un lungo cammino dietro a Gesù per testimoniarlo; il nostro annuncio comincia oggi, lì dove viviamo. E non comincia cercando di convincere gli altri, convincere no: testimoniando ogni giorno la bellezza dell’Amore che ci ha guardati e ci ha rialzati. e sarà questa bellezza, comunicare questa bellezza a convincere la gente, non noi, lo stesso Signore. Noi siamo quelli che annunciano il Signore, non annunciamo noi stessi, né annunciamo un partito politico, una ideologia.
Francesco ricorda un’espressione di Benedetto XVI che a questo proposito diceva: “la Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione”. E racconta di quando in un ospedale in Argentina arrivò un gruppo di suore coreane che non sapevano una parola in spagnolo, eppure subito gli ammalati si sentirono amati perchè con i loro gesti e i loro sguardi avevano comunicato Gesù. “Questa è l’attrazione, contraria al proselitismo”, conclude il Papa, ed è “questa testimonianza attraente e gioiosa”, la meta a cui ci porta l’amore di Gesù.
Dopo la catechesi , nei saluti ai fedeli di lingua italiana, Papa Francesco non ha mancato di rivolgere un pensiero al dramma che si vive in Ucraina. “Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, sempre nel nostro cuore – ha affermato -; a questo popolo che sta sperimentando crudeli sofferenze esprimiamo il nostro affetto, la nostra vicinanza e la nostra preghiera”.
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